Venerdì 9 Luglio 2013 - Park Nord Stadio Euganeo - Padova

Uno spettacolo con con Matilde Facherise, Massimo Betti e Stefano Fascioli

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Venerdì 9 Luglio 2013

Sherwood Festival
Park Nord Stadio Euganeo
Viale Nereo Rocco - Padova
#sherwood13


Lavorare ... Stanca
con
Matilde Facheris

e
Massimo Betti alla chitarra
Stefano Fascioli al contrabbasso


Una serata a cura di Donne in movimento



Ideazione, regia e drammaturgia: Matilde Facheris
Musiche originali e arrangiamenti: Massimo Betti e Stefano Fascioli


Luci di: Paolo Vaccani e Juan Carlos Tineo Reyes


Scenografia di: Andrea Cavarra


in coproduzione con la Cooperativa sociale onlus e.s.t.i.a.


si ringrazia Campo Teatrale



I° PREMIO FESTIVAL ANTEPRIMA 89 CON LA SEGUENTE MOTIVAZIONE:
“Per aver affrontato con sensibilità rara e investimento personale
tematiche universali particolarmente sentite in quest'epoca quali quelle
del lavoro e del rapporto tra il tempo del lavoro e la libertà dell'individuo
segnalando in particolare la generosità in scena di Matilde Facheris.”


LAVORARE...STANCA

Un monologo con canzoni e musica dal vivo che parte dal racconto semiserio della precarietà totale, lavorativa e sentimentale, dell'attrice che lo interpreta, per approdare al caso dei suicidi a France Telecom, in particolare alla vicenda di Michel Deparis, cinquantenne, suicidatosi il 13 luglio del 2009, dopo aver lasciato una lettera lucida e disperata.


NOTE DI REGIA

Lo spettacolo si interroga sul senso e sull'importanza del lavoro nella vita di ogni essere umano; un senso ormai stravolto nella nostra società moderna. Una riflessione inoltre sul senso del tempo ed infine il tentativo di immaginare una nuova forma di organizzazione sociale che permetta una vita migliore, più umana e felice.
Sono una precaria totale: donna, senza figli, attrice e sempre di fretta.

Ho cominciato a riflettere sul tempo, sul bisogno di riappropriarsi del suo senso. Mai come al giorno d’oggi viviamo come se fossimo eterni, come se avessimo sempre
tempo per fare le cose importanti che ci aspettiamo e che chiediamo dalla vita, eppure non abbiamo mai abbastanza tempo. Quasi tutto intorno a noi è fatto per farci risparmiare tempo eppure noi siamo sempre di corsa. Tutta la nostra vita è una corsa, una strada lunghissima e noi continuiamo a volerla percorrere sempre più in fretta.
Proprio mentre riflettevo su tutto questo e cominciavo a scrivere il testo dello spettacolo, sono rimasta profondamente colpita dal caso di France Telecom: 24 suicidi in 18 mesi, ed in particolare dalla vicenda di Michel Deparis, cinquantenne, dipendente di France Telecom, maratoneta e quindi avvezzo alla resistenza e al dolore dei crampi, che si è suicidato la notte del 13 luglio 2009.

Michel ci ha tenuto a far sapere, scrivendolo in una lettera, che la colpa del suo suicidio non è del lavoro in sé che non l’ha mai spaventato, ma dei nuovi capitani d'azienda, che hanno piegato il lavoro ad un'esclusiva logica finanziaria. In pochi anni la realtà dei lavoratori di France Telecom è diventata un inferno.

Questa vicenda mi ha costretta ad osservare meglio me e il mondo del lavoro intorno a me.

Faccio l'attrice, forse il lavoro precario per eccellenza: salto continuamente da un lavoro all’altro, sono sempre alla ricerca di un ingaggio, non ci sono orari né giorni di festa. Però, nonostante le molte difficoltà che incontro, il mio lavoro mi rende felice.

Forse è questo che mi differenzia dai dipendenti di France Telecom? Forse è questo quello che consente di sopportare orari impossibili, paghe da miseria? Forse è questa la grande fortuna di un lavoro artistico?

Il lavoro è la tua creatività, la tua realizzazione, la tua vita.
I lavoratori di France Telecom quando si sono trovati sballottati in una flessibilità estrema che sembrava fatta apposta per spingerli ad andarsene, si sono sentiti dei falliti, arrivando a pensare che il loro tempo non valesse più la pena di essere vissuto.
Dovremmo provare ad immaginarci soluzioni differenti al nostro vivere.

Una speranza, utopica probabilmente, l’ho trovata in un breve romanzo epistolare di Silvano Agosti “Lettere da Kirghisia”, nel quale si racconta di una città che forse non esiste dove “non si lavora più di quattro ore al giorno. Le rimanenti ore della giornata vengono dedicate al sonno, al cibo, alla creatività, all’amore, alla vita, a se stessi, ai propri figli. La produttività si è così triplicata, dato che una persona felice sembra essere in grado di produrre, in un giorno, più di quanto un essere sottomesso e frustrato riesce a produrre in una settimana.”

Anche se Kirghisia non dovesse esistere l'importante è capire che il vero schiavo non è quello che ha la catena al piede ma quello che non è più capace di immaginarsi la libertà.

 
 

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