Mogwai - Rave Tapes

by Aria, Vinylistics

17 Febbraio 2014

Voto: 7/10

Bene o male, con cognizione di causa o adcapocchiam, tutti - ma proprio tutti - hanno detto la propria sul nuovo dei Mogwai. Noi Vinilistici potevamo starcene in disparte? Ovviamente no.

E ok, lo ammetto: quando ad ottobre scorso si parlava di questo ottavo lavoro della band di Glasgow, tutta la negatività di cui è fatta la mia persona si è ritirata, compattata e come uno tsunami si è abbattuta su Remurdered, singolo che ne ha anticipato l’uscita. Ma come darmi torto?! Sembrava di essere tornati negli anni 80 e neanche con troppo impegno. Insomma, dai Mogwai dell’indiscutibile gran Rock Action, del mio affezionatissimo Happy Songs For Happy People e - tanto per non parlare di cose troppo lontane da oggi - del conturbante Les Revenants (colonna sonora dell’omonima serie tv francese) uscito un anno fa, ci si aspetta qualcosina in più. Mentre il mio umore era più o meno questo nei confronti dei Mogwai, il resto dell’internet sembrava super eccitato ed entusiasmato da questa anteprima. Ed è proprio in momenti tipo quello che potrete capire che ci sono band che godono di una stima incondizionata a prescindere da ciò che fanno.

I Mogwai, sani portatori di post-rock che negli anni ci hanno abituato fin troppo bene non restando mai fermi, mai uguali e mai negli esatti confini di questo filone musicale, giustamente sono una di quelle band.

Immaginate, quindi, quanto senso di colpa io abbia provato inizialmente. Solo inizialmente, non vi preoccupate troppo.

Pubblicato il 20 gennaio scorso dalla loro stessa casa discografica, la Rock Action Records, sotto la direzione produttiva dell’amico Paul Sauvage, Rave Tapes è un album che necessita più di un ascolto per capire.

“Cosa?” vi starete chiedendo voi. La risposta è presto detta: cosa ci portano i Mogwai a quasi tre anni di distanza da Hardcore Will Never Die, But You Will. (Chiedersi semplicemente cosa hanno ancora da dire è troppo scontato, hanno sempre qualcosa da dire.)

La prima risposta che viene da darsi guardando la cover dell’album, dalle forme geometriche e i colori del tutto impersonali, è una sola parola: noncredodivolerlosapere,no,no,no.

Ripensando poi a Remurdered viene da fare 1+1 e si parte male.

Poi però vi ricordate che per qualcuno 2+2=5 e allora forse una possibilità a questo album va data, non dimenticando che per molti, essendo loro i Mogwai, gli è praticamente dovuta.

Si parte con Heard About You Last Night e tac, quello che si è pensato fino ad ora sembra già un’idea da accantonare e gettare nel cestino più vicino che avete: onirica e riflessiva, sembra continuare la scia di Les Revenants e tutto si fa già più interessante. Si continua con Simon Ferocious introdotta da una tastiera minimale che ci fa intuire quale sia stavolta la piega presa dalla band scozzese: suoni elettronici per un’atmosfera intimista più che mai. Eppure continua a mancare qualcosa. La terza traccia dell’album è Remurdered e neanche ora che si è nel mood del disco se ne riesce a capire bene il senso. Saranno tutte queste pulsazioni elettriche che risultano quasi forzate a non andarmi giù. Hexon Bogon fa un po’ lo stesso effetto, non ritrovando alcun segno di evoluzione, nessun punto dove focalizzare le sensazioni inquiete del tipico intreccio di chitarre dei Mogwai. Si nuota, si nuota ma non si riesce a definire una direzione.

Poi ci si ritrova a metà album con le idee confuse, tante piccole sfumature da cogliere in brani come Repelish e Master Card che risultano come una seconda anteprima di ciò che sta per cambiare nell’album. Come un antipasto di arpeggi e viraggi ben dosati prima di servire la portata principale, ovvero, l’ultimo terzetto di canzoni: Blues Hour, No Medicine For Regret e The Lord Is Out Of Control.

La prima, la mia preferita dell’album, è una vera perla disarmante e spettrale che in sei intensi minuti e più, sembra riportarci ai tempi di Rock Action. Tra No Medicine For Regret e The Lord Is Out Of Control ci si chiede davvero perché tutto questo impeto emozionale esploda solo ora che siamo alla fine.

Mentre ci facciamo prendere da queste domande esistenziali, ascoltiamoci una delle canzoni più belle dell’album.

Quindi i Mogwai sono tornati. Cosa ci hanno portato?

Nulla di nuovo, nulla di rivoluzionario che ci faccia restare a bocca aperta.

Semplicemente un’altra sfumatura della loro musica che, come vi dicevo prima, ha sempre qualcosa da dire. Ma tra dire qualcosa e aggiungere qualcosa, c’è una bella differenza.

E stavolta proprio non sono riuscita a vederla.

 
 

Tratto da:
http://vinylistics.altervista.org

 
 
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