“Sono tutti, a loro modo, acrobati in equilibrio su un filo” - Davide Ferrario

Recensione del film "La luna su Torino" di Davide Ferrario

In Equilibrio sulla Vita

8 Aprile 2014

Davide Ferrario fa iniziare il suo ultimo “piccolo” lungometraggio là dove Sorrentino fa finire il suo film da Oscar. La luna su Torino - da Ferrario scritto, prodotto e diretto - si apre con la camera che scorre a pelo d'acqua sopra il Po o forse uno dei tre suoi affluenti che bagnano la città. Non c'è nulla della ricercatezza e della magniloquenza che mette in evidenza quella di Bigazzi tra le sacre sponde del Tevere: presto si alza e va a inquadrare in perpendicolare la linea del 45° parallelo che attraversa Torino. E' questo il centro della narrazione. Siamo a metà dell'emisfero, alla stessa distanza dal Polo e dall'Equatore. Il destino di Davide sul 45° lo ha fatto nascere, a Casalmaggiore, poi lo ha portato a vivere a trecento metri dal parallelo, nella campagna torinese: c'è qualcosa nel film che lo riguarda direttamente. Qualcosa che attiene all'esperienza degli equilibristi che camminano sulla fune, esposti alla possibilità di scivolare verso sud o verso nord, “scoprendo magari di essere più simili ai mongoli dei Gobi che a molti italiani” dice Davide. Una lunga linea virtuale, metafora di quella costante e concretissima ricerca di equilibrio che è la vita.

Incontrammo Davide Ferrario per la prima volta nel '98, quando uscì Figli di Annibale. Ci era piaciuta quella storia di rapina sgangherata ma a lieto fine e lo invitammo a parlarne. L’ Fm di Sherwood trasmise in diretta un paio d’ore di conversazione effervescente con Davide, Silvio Orlando, Diego Abatantuono e una nutrita rappresentanza della crew tecnica. Fu lì che capimmo di avere parecchi punti di vista in comune, così siamo rimasti in contatto. Qualcuno si ricorderà di lui allo Sherwood Festival del 2009 ad affrontare il tema dei diritti dei detenuti prendendo a pretesto il suo Tutta colpa di Giuda o al Cso Pedro ancora a parlare di carcere (ha fatto per più di dieci anni il volontario a Torino) o dentro al penale Due Palazzi di Padova a presentare Fine amore mai nel 2002. Mai abbandonato il documentario e mai smesso di sperimentare, per tutti il controverso Guardami, drammatica parabola di una pornostar, che provocò una energica presa di posizione del responsabile del Vaticano per la cultura cardinale Poupard: medaglia che Davide porta con orgoglio.

 

Sempre nel solco del cinema indipendente il suo ultimo lavoro denuncia un’evidente parentela con Dopo mezzanotte, anche questo film a basso costo e autoprodotto, uscito giusto dieci anni fa. Nuovamente tre giovani attori quasi sconosciuti a perimetrare la narrazione. Vivono assieme nella stessa grande villa in decadenza sulle colline, ma hanno età, vite, abitudini, frequentazioni diverse. Li accomuna la precarietà e la difficoltà nella ricerca di un senso da dare alle proprie vite. Esistenze sospese sul filo, in un equilibrio instabile dove scivolare, cadere, significa dover scegliere, decidere, valorizzare un’opportunità. C’è un tono lieve che Davide dice derivi dalle Lezioni americane di Calvino: la prima è dedicata alla leggerezza. Un respiro onirico che non ho colto in nessuno dei suoi film precedenti. Una Torino inaspettata sia negli squarci notturni che nelle traiettorie diurne. Una scrittura che sembra voler concedere spazio libero all’improvvisazione, a nicchie di ironia, a una atmosfera rarefatta. Eppure mantenendo la città bene ancorata alla sua identità, che spesso sono facce di anziani a sottolineare. Una città che può anche rinchiuderti: in una grande e bella casa, in un bioparco animalisticamente corretto, in un’agenzia di viaggi che non ti fa conoscere il mondo.

 

Mentre ricordo come al nostro primo incontro Davide mi disse che fare cinema era il mestiere più bello del mondo, dopo il documentario (peraltro ben contaminato da finzione) Piazza Garibaldi del 2011 La luna su Torino mi fa pensare che il suo approccio sia felicemente descritto da una battuta che mette in bocca ai suoi protagonisti: “perché passare il tempo a scrivere storie? per far passare un po’ d’aria fresca nella testa”. Di aria fresca in questo film ce n’è molta. Poi per chi vuole in questa freschezza sono rinvenibili anche nitide tracce di filosofia, di politica, di visione del mondo nel cuore della crisi, di percezione della catastrofe culturale e civile che ci sta contaminando. Della maturazione di un cineasta disposto a fare tutto il giro e tornare magari al punto di partenza. Perché in realtà tutta la narrazione ruota attorno alla domanda più antica: qual è il nostro posto nel mondo?

 
 

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ComingSoon.it

Davide Ferrario

 
 
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