A 84 anni, nel 1919, Violette Ailhaud scrive questo splendido minuscolo capolavoro femminista

ReadBabyRead #212 del 15 gennaio 2015

Violette Ailhaud: “L’uomo seme” (2/2)

15 Gennaio 2015


Violette Ailhaud

L’uomo seme
(parte 2 di 2)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast


Legge: Sarah Ventimiglia


“Ça vient du fond de la vallée. Bien avant que ça passe le gué de la rivière, que l'ombre tranche, comme un lent clin d'œil, le brillant de l’eau entre les iscles, nous savons que c'est un homme. Nos corps vides de femmes sans mari se sont mis à résonner d'une façon qui ne trompe pas. Nos bras fatigués s'arrêtent tous ensemble d'amonteiller le foin. Nous nous regardons et chacune se souvient du serment. Nos mains s'empoignent et nos doigts se serrent à en craquer les jointures : notre rêve est en marche, glaçant d'effroi et brûlant de désir. L’homme monte.”


Saule-Mort, 19 giugno 1919.

Ho deciso di raccontare quel che è successo dopo l'inverno del 1852 perché, per la seconda volta in meno di settant'anni, il nostro villaggio ha perso tutti i suoi uomini. L'ultimo è morto il giorno dell'Armistizio, l'11 novembre scorso.
Per noi donne non c'è vittoria, ma vuoto, e io unisco le mie lacrime a quelle di tutte le donne, tedesche o francesi, che vagano nelle loro case dove non c'è più un uomo. Piango quelle braccia perdute fatte per stringerci e per rovesciare la pecora durante la tosatura. Piango quelle mani rubate, fatte per accarezzarci e per tenere la falce per ore.
Avevo sedici anni nel 1851, trentacinque nel 1870 e oggi ne ho ottantaquattro. Ogni volta la Repubblica ci ha falciato via i nostri uomini come noi si falcia il grano. Un lavoro perfetto. Ma il nostro ventre, la nostra terra di donne, non ha più dato messi. A forza di falciare gli uomini, è il seme che è venuto a mancare. La storia che racconto oggi, nella sera della mia vita, si è svolta in provenzale. All'epoca non avevamo altra lingua che quella, ricevuta dai nostri genitori. Il provenzale - patois, lo chiamano i detrattori - è la mia lingua materna e io la ammiro per la sua resistenza. Tuttavia ho scelto di scrivere la nostra storia in francese affinché quello di cui rendo testimonianza possa diffondersi al di là della nostra regione e anche perché amo questa seconda lingua. L'ho imparata, l'ho adottata come si adotta una patria, e l'ho insegnata. È quella della Repubblica per la quale tutti i nostri uomini hanno dato le loro vite in un colpo solo e noi le nostre nel corso della nostra esistenza di donne.

Violette Ailhaud

Saule-Mort è la frazione del paese di Poil nelle Alpes-de-Haute-Provence. Violette Ailhaud ha vissuto lì i suoi ultimi anni. Ed è lì che è morta nel 1925. Nel suo testamento e era anche una busta, che non poteva essere aperta dal notaio prima dell'estate del 1952. Dopo l'apertura, la consegna indicava che il suo contenuto, un manoscritto, dovesse essere affidato al maggiore dei discendenti di Violette, tassativamente di sesso femminile, in un'età compresa tra i quindici e i trent'anni. Yvelyne, ventiquattro anni, si è così ritrovata in possesso di questo testo nel luglio del 1952.


Un paese 
di sole donne nella Francia del 1852.
Dal lutto all’arrivo dell’uomo-seme

Nel 1851 Luigi Napoleone Bonaparte revocò di colpo la costituzione e assunse pieni poteri; le reazioni non furono forti a Parigi, dove i leaders dell’opposizione vennero arrestati e costretti all’esilio, ma soprattutto nel Midi. La mobilitazione qui fu massiccia: contadini, operai occuparono i luoghi dell’autorità, crearono un esercito, si apprestarono alla lotta. La resistenza è di qualche mese, poi le piccole repubbliche del sud, arroccate sulle vette delle Alpi Basse, devono capitolare, gli uomini, a migliaia, vengono arrestati, deportati, esiliati: molti di essi vengono subito passati per le armi. In questa storia dimenticata, si spopolano interi villaggi, dove restano solo le donne, che devono svolgere tutti i lavori tradizionalmente maschili.

Qui si inserisce la notevolissima memoria romanzesca di Violette Ailhaud, L’uomo seme, caso letterario in Francia negli scorsi anni, che ora Playground propone opportunamente nella precisa traduzione di Monica Capuani (pp. 56, € 7,00).


L’autrice era la figlia amatissima di uno dei capipopolo, Ailhaud de Volx, oratore brillante, destinato a spegnersi in prigionia. Lei aveva ricevuto una istruzione, aveva nella sua casa una piccola dotazione di libri a cui spesso tornava. Per questo le tocca di narrare la vicenda di un paese di sole donne, che si legano in una promessa comune: il primo uomo che sarà nel villaggio avrà il compito di fecondare tutte, di ridare la vita a un luogo inaridito.

La scrittura avviene nel 1919 quando, in conseguenza del conflitto, «per la seconda volta in meno di settant’anni, il nostro villaggio ha perso tutti i suoi uomini»; anche se il manoscritto resta, per sua volontà testamentaria, ignoto fino al 1952, quando viene consegnato a una sua discendente, Yvelyne.

Il ritmo è, all’inizio, quello di un compianto: «per noi non c’è vittoria, ma vuoto, e io unisco le mie lacrime a quelle di tutte le donne, tedesche o francesi, che vagano nelle loro case dove non c’è più un uomo. Piango quelle braccia perdute fatte per stringerci e per rovesciare la pecora durante la tosatura. Piango quelle mani falciate, fatte per accarezzare e per tenere la falce per ore».

Diciassettenne, promessa a Martin, sente le fucilate dei soldati che lo uccidono, è lei a seppellirlo insieme a un suo amico sotto i ciottoli. Piange a lungo, urla nella casa vuota, poi si consegna alla quotidianità dura della vita dei campi, in un paese arido, collocato in una posizione difficile, insomma un posto che «bisogna meritarselo».

Il racconto si snoda per atti simbolici: Rose, la figlia del panettiere, mette il suo bell’abito da sposa su uno spaventapasseri, la madre del suo promesso prende l’abito del figlio deportato e lo pone accanto, come a creare il fantasma di un desiderio impellente. Una coppia simbolica veglia sull’idea dell’uomo-seme, che giunga di nuovo a fecondare le loro vite. Quando arriva il maniscalco Jean, che si presta al suo ruolo, pur amando dal primo istante la narratrice, il sogno si trasforma in realtà in modi inaspettati.

Poetico, ispirato e sensuale allo stesso tempo, L’uomo seme può essere senza dubbio definito un piccolo gioiello. Una scrittura scarna, incisiva, possente. Una storia che ci porta fin nelle viscere del desiderio e dell'urgente conquista della sopravvivenza.

Luca Scarlini

Alias, supplemento settimanale de "il Manifesto"
23 febbraio 2014


Le Musiche
, scelte da Claudio Tesser

Wim Mertens, Circular Breathing [Wim Mertens]
Giovanna Marini & Quartetto Urbano, C’est un chant des Anarchistes... [Tradizionale]
Giovanna Marini & Quartetto Urbano, La révolution [Tradizionale]
Wim Mertens, Multiple 12 [Wim Mertens]
Wim Mertens, Mains [Wim Mertens]
Giovanna Marini & Quartetto Urbano, Quarante-huit, on est en train de courir... [Tradizionale]
Giovanna Marini & Quartetto Urbano, Sent un po', Gioan te se recordet [Tradizionale]
Giovanna Marini & Quartetto Urbano, L'Italia l'è malada (La boje!) [Tradizionale]
Wim Mertens, Inergys [Wim Mertens]
Wim Mertens, Inergys (Reprise) [Wim Mertens]

 
 

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Un’immagine dal libro a fumetti “L’homme semence” di Laetitia Rouxel e Mandragore (2013, Coedizione di “Editions Parole” et “L’oeuf”), tratto dal bellissimo breve memoir di Violette Ailhaud.

 
 

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