ReadBabyRead propone un classico di valenza universale. Da un'idea di Claudio Tesser, sulle note di un superbo Miles Davis, Francesco Ventimiglia legge "Antigone" di Sofocle nella perfetta traduzione di Massimo Cacciari.

ReadBabyRead_233_Sofocle_5

Sofocle: “Antigone” (5/6)

11 Giugno 2015

ReadBabyRead propone un classico di valenza universale. Da un'idea di Claudio Tesser, sulle note di un superbo Miles Davis, Francesco Ventimiglia legge "Antigone" di Sofocle nella perfetta traduzione di Massimo Cacciari.


ReadBabyRead #233 dell'11 giugno 2015

Sofocle
Antigone (traduzione di Massimo Cacciari)

(parte 5 di 6)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast


Legge: Francesco Ventimiglia


L’Antigone di Sofocle non è un testo qualunque. È una delle azioni durature e canoniche della storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica.
[George Steiner]


Antigone, una tragedia liquida
di Claudio Tesser

La genesi dell’operazione è semplice: da molti anni, almeno 30, non ascoltavo Bitches Brew di Miles Davis e mi è venuto il desiderio di farlo.

Non scopro nulla di nuovo affermando che si tratta di un lavoro superbo, un vertice della produzione musicale del ‘900 e fin dalle prime battute, dalle prime vertiginose aperture sonore ho pensato: “sarebbe una colonna sonora perfetta per una tragedia greca”.

Del perché possiamo anche parlarne; Davis in quel periodo era più che mai alla ricerca delle sue radici, razziali, spirituali e così, presumo, nacque quella musica dagli echi ancestrali e contemporaneamente futuribili, che narra un movimento che percorre i secoli, che muove la terra e i popoli e che si lancia in avanti e guarda al cielo, agli dei antichi e alle forme della coscienza allargata.

Davis in questo suo momento pare ci voglia trasmettere e parlare, attraverso la sua musica, di qualcosa di molto antico e ancora sconosciuto e ciò che è sconosciuto, anche se appartiene e proviene dal nostro passato più remoto, proprio in quanto sconosciuto, va di diritto a collocarsi nel nostro futuro in una speciale linea di continuità che attraversa il nostro presente nel quale possiamo accogliere ogni istanza e urgenza di ricerca e riflessione.

È così anche nella tragedia greca dove le parole pesano come sbozzate dal silenzio e gettano i loro enigmi, passioni, pensieri universali e profondi davanti a noi affinché perpetuamente ci si possa ricordare di loro e con loro confrontarsi.

Immagino queste parole come severe e salde imbarcazioni traversare il mare conturbante e imprevedibile delle note davisiane, dialogare alla pari, con lo stesso volume di suono, dileguarsi, riemergere, sovrapporsi e poi fuggire rapide nel silenzio.

Ecco, sopra scritta, come dicevo, la genesi del lavoro che presentiamo da questa settimana in avanti per altre cinque settimane; non so se effettivamente servivano queste spiegazioni ma mi è stato chiesto di farlo e non era cortese rifiutare; aggiungo, perché Antigone?, perché è un testo bellissimo, perché parla finalmente di etica, di morale, perché ci indica che gli dei non amano né la protervia né l’arroganza.

Infine riporto una citazione da “Il mondo del silenzio” di Jacques Picard:

La musica è silenzio che, sognando, inizia a suonare.”


Claudio Tesser


LA PAROLA CHE UCCIDE
di Massimo Cacciari

(continua dalla puntata precedente)

(...) Ma, se fosse cosi, allora il divino di Antigone non potrebbe in alcun modo assicurare salvezza alla polis. Creonte pecca risolvendo il divino nell’ordine politico - ma non sarà peccato, contrapposto e complementare, immaginarlo come pre-potente ogni forma e ogni nome? E se lo Zeus che “parla” ad Antigone non ha essenzialmente nulla a che fare con quello che salva la polis, allora sarà proprio la parola di Antigone a condurre a quella aberrante desacralizzazione del potere che il Coro prevedeva con terrore essere l’esito della parola di Creonte. Potrebbe una città fiorire nella potenza venerando lo Zeus infero di Antigone? “amando” il divino che non si dona alla luce dei templi, delle statue e delle leggi? Questa è la domanda che Creonte rivolge al Coro, chiedendone aiuto e comprensione. Il “fatto” in sé scatena questo conflitto che investe il senso dell’umano e del divino e la totalità delle loro forme.

Si comprende allora che se la tragedia è costitutivamente “arte politica”, ma essa lo è in un senso che trascende ogni riferimento ai contenuti della techne politikè e ai conflitti interni alla sua dimensione. Essa è “arte politica” poiché radicale messa in crisi di ogni idea di “autonomia” dell’agire politico. Ma l’agire politico rappresenta il culmine della potenza del fare umano. E dunque la sua costitutiva problematicità illumina di luce tragica tutte le forme del fare. Lo “spettacolo” della potenza di quel mortale che è l’uomo, tremenda nei confronti di tutti gli altri enti e di se stessa, suscita necessariamente la ricerca, l’interrogazione intorno ai suoi stessi limiti. La scienza non nasce semplicemente dal terrore-meraviglia per la straordinaria potenza di cui il pensiero dell’uomo è capace, ma dalla considerazione della sua inesorabile finitezza. Questo il Coro vuole si apprenda. E ciò che limita il potere dell’uomo è il divino: il divino che dona il fondamento delle leggi, le facoltà necessarie all’armonia della polis. Ma, prima ancora e ben più essenzialmente, il divino che ha decretato il No supremo alla sua vita, che ne ha fatto una vita mortale, una vita, cioè, che in sé si nega, una non-vita. E tutte le sue opere, tutte le forme del suo fare debbono osservare tale limite, custodirne in sé la coscienza, non presumere di poterlo oltrepassare.

Ora il Coro vede bene che l’agire di Creonte non s’accorda alla Dike divina ed è macchiato da hybris; il Coro comprende come l’idea che muove Creonte, che la città possa essere «salva» per le sue stesse leggi, in forza del suo stesso ordine, conduce a sciogliere ogni suo legame con il divino e a dimenticare, alla fine, la stessa peitharchia, la stessa “arte” dell’ascolto e della persuasione. L’ossessione contro il pericolo della anarchia acceca Creonte e lo costringe a dimenticare il limite delle leggi e della sovranità. Tutto questo si riflette chiaramente nella parola del Coro. Ma Antigone? Antigone rappresenta il problema che si scaglia contro il suo sguardo. È la parola di Antigone quella che potrebbe richiamare la polis al suo legame con Dike? È  forse la sua figura quella che potrebbe incarnare i principî espressi nei versi finali del Primo Stasimo? Certamente no; l’esclusivo pathos della figlia di Edipo per l’Originario, la sua passione per ciò che si sottrae al logos che apre, disvela, illumina, non può che considerare la polis come mero artificio, i suoi ordini come convenzioni, alla fine sempre impotenti rispetto all’energia della voce senza parola che chiama il suo spirito. (...)  

Massimo Cacciari

(segue alla puntata successiva)


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

Miles DavisShhh/Peaceful [Miles Davis]
Miles DavisIn A Silent Way/It’s About That Time [Joe Zawinul/Miles Davis]
Miles DavisPharaoh’s Dance [Joe Zawinul]
Miles DavisBitches Brew [Miles Davis]
Miles DavisSpanish Key [Miles Davis]
Miles DavisJohn McLaughlin [Miles Davis]
Miles DavisSanctuary [Wayne Shorter]
Miles DavisFeio [Wayne Shorter]

 
 

Logo di articolo:
Un’immagine dal film “I cannibali” di Liliana Cavani (1970), liberamente ispirato ad “Antigone” di Sofocle, riambientando la vicenda in un imprecisato prossimo futuro.

 
 

    audio

loading... loading...