ReadBabyRead propone un classico di valenza universale. Da un'idea di Claudio Tesser, sulle note di un superbo Miles Davis, Francesco Ventimiglia legge "Antigone" di Sofocle nella perfetta traduzione di Massimo Cacciari.

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Sofocle: “Antigone” (6/6)

18 Giugno 2015

ReadBabyRead propone un classico di valenza universale. Da un'idea di Claudio Tesser, sulle note di un superbo Miles Davis, Francesco Ventimiglia legge "Antigone" di Sofocle nella perfetta traduzione di Massimo Cacciari.


ReadBabyRead #234 del 18 giugno 2015

Sofocle
Antigone (traduzione di Massimo Cacciari)

(parte 6 di 6)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast


Legge: Francesco Ventimiglia


L’Antigone di Sofocle non è un testo qualunque. È una delle azioni durature e canoniche della storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica.
[George Steiner]


Antigone, una tragedia liquida
di Claudio Tesser

La genesi dell’operazione è semplice: da molti anni, almeno 30, non ascoltavo Bitches Brew di Miles Davis e mi è venuto il desiderio di farlo.

Non scopro nulla di nuovo affermando che si tratta di un lavoro superbo, un vertice della produzione musicale del ‘900 e fin dalle prime battute, dalle prime vertiginose aperture sonore ho pensato: “sarebbe una colonna sonora perfetta per una tragedia greca”.

Del perché possiamo anche parlarne; Davis in quel periodo era più che mai alla ricerca delle sue radici, razziali, spirituali e così, presumo, nacque quella musica dagli echi ancestrali e contemporaneamente futuribili, che narra un movimento che percorre i secoli, che muove la terra e i popoli e che si lancia in avanti e guarda al cielo, agli dei antichi e alle forme della coscienza allargata.

Davis in questo suo momento pare ci voglia trasmettere e parlare, attraverso la sua musica, di qualcosa di molto antico e ancora sconosciuto e ciò che è sconosciuto, anche se appartiene e proviene dal nostro passato più remoto, proprio in quanto sconosciuto, va di diritto a collocarsi nel nostro futuro in una speciale linea di continuità che attraversa il nostro presente nel quale possiamo accogliere ogni istanza e urgenza di ricerca e riflessione.

È così anche nella tragedia greca dove le parole pesano come sbozzate dal silenzio e gettano i loro enigmi, passioni, pensieri universali e profondi davanti a noi affinché perpetuamente ci si possa ricordare di loro e con loro confrontarsi.

Immagino queste parole come severe e salde imbarcazioni traversare il mare conturbante e imprevedibile delle note davisiane, dialogare alla pari, con lo stesso volume di suono, dileguarsi, riemergere, sovrapporsi e poi fuggire rapide nel silenzio.

Ecco, sopra scritta, come dicevo, la genesi del lavoro che presentiamo da questa settimana in avanti per altre cinque settimane; non so se effettivamente servivano queste spiegazioni ma mi è stato chiesto di farlo e non era cortese rifiutare; aggiungo, perché Antigone?, perché è un testo bellissimo, perché parla finalmente di etica, di morale, perché ci indica che gli dei non amano né la protervia né l’arroganza.

Infine riporto una citazione da “Il mondo del silenzio” di Jacques Picard:

La musica è silenzio che, sognando, inizia a suonare.”


Claudio Tesser


LA PAROLA CHE UCCIDE
di Massimo Cacciari

(continua dalla puntata precedente)

(...) Creonte denuncia la solitudine di Antigone; Antigone la esalta addirittura nel suo dialogo-polemos con la sorella; il Coro è costretto a riconoscerla con dolore. Ma non può esservi polis di solitari, polis di mortali che pretendono di sottrarsi all’occhio della legge, di abitare un “luogo” inaccessibile al suo sguardo. L’amore per Ade va bandito dallo spazio e dal tempo della città. Ma l’Ade che anima la parola di Antigone è certamente archè di ogni forma e di ogni nome divini. E allora? Dovrà la città rendersi autonoma da tale Archè? Dovrà la sua parola rappresentarne l’oblio? Se lo Zeus di Creonte riduce il divino all’archè politica; quello di Antigone abbandona per sempre i templi della città. Nella lotta tra i due principî sembra consumarsi, allora, l’immagine tragica dell’assenza del divino nello spazio della polis. Ecco il «più tremendo», il deinoteron, di cui il mortale è capace, e il cui “spettacolo” sgomenta il Coro.

Al conflitto tra Antigone e Creonte la città dovrà sopravvivere, ma non perché possa conciliarlo. Il suo tempo ha divorato Antigone. E l’amore di Emone per lei - quell’amore che egli avrebbe voluto conservare in armonia col comando del padre. Anche Tiresia soccombe; la sua arte divinatoria non salva nessuno; il suo sapere è ormai l’inutile sapere del già stato; il divenire della città si sottrae ormai alla potenza dei suoi dèi. Ciò che incombe, ciò che è necessario affrontare è la cura per la città, perché la città resista nei suoi confini di umana, troppo umana saggezza, di prudenza e di misura. In tali confini non è dato sapere il futuro, avere a guida l’oracolo del dio. Scrutarlo possiamo, soltanto, per deboli indizi, sulla base dell’historia, della conoscenza e descrizione dei fatti, dell’accaduto. L’attuale comando, la sovranità presente delle leggi non potrà mai “scontarlo” in sé, come pretendeva Creonte. E mai la città potrà accordarsi alla potenza solitaria del dio di Antigone. Ma Creonte deve sopravvivere. A lui non è concesso il farmaco della morte. Il genio di Sofocle ha colto qui il punto essenziale; la tensione tragica si sarebbe spezzata se anche Creonte avesse posto fine ai suoi giorni. Creonte credeva che solo la polis salvasse, ed esperimenta ora, suo malgrado, che solo la polis sopravvive. Poiché nella polis soltanto ha “creduto”, ora deve divederne il destino. Insieme al Coro dei vecchi, che canta le parole della rinuncia e del disincanto. E a Ismene. La presenza assente della sorella va sempre “ascoltata” in questa conclusione del dramma. È nei suoi confronti che Antigone aveva rivelato fino in fondo l’essenza della propria solitudine; il gesto con cui la allontana da sé è speculare a quello con cui Creonte decreta, simmetricamente, la non-sepoltura di Polinice e la sua sepoltura da viva. Il “bando” di Antigone condanna Ismene all’ordine della polis; solo lì potrà abitare, non importa sotto quali leggi, suddita sempre. Nel tempo della polis dovranno instancabilmente cercare occasionali compromessi la prudenza degli anziani e la volontà di potenza dei regnanti, la timorosa pietas di Ismene e la paura servile della prima guardia, immagine di quella del plethos, della plebe disprezzata da Antigone. Qui sarà chiamato a sopravvivere Creonte, sconfitto insieme al cieco Tiresia. Dura legge e dura prova, la cui necessità la parola tragica enuncia senza ombra di consolazione. E perciò il pathos che suscita fa sapere - e solo nel sapere “guarisce”. 

Massimo Cacciari


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

Miles DavisShhh/Peaceful [Miles Davis]
Miles DavisIn A Silent Way/It’s About That Time [Joe Zawinul/Miles Davis]
Miles DavisPharaoh’s Dance [Joe Zawinul]
Miles DavisBitches Brew [Miles Davis]
Miles DavisSpanish Key [Miles Davis]
Miles DavisJohn McLaughlin [Miles Davis]
Miles DavisSanctuary [Wayne Shorter]
Miles DavisFeio [Wayne Shorter]

 
 

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Juliette Binoche in una scena dello spettacolo che la vede protagonista nei panni dell’eroina “Antigone” di Sofocle. La tragedia è stata ritradotta per l’occasione dalla poetessa canadese Anne Carson, l’innovativa messa in scena è del regista belga Ivo van Hove (Londra, Barbican Theatre, marzo 2015).

 
 

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