TORRES – Sprinter

by stfmrk

11 Agosto 2015

“Ehi, è uscito un nuovo pezzo di Anna Calvi e io non ne sapevo niente?”

No, non è uscito un nuovo pezzo di Anna Calvi. Il suo nome è TORRES (aka Mackenzie Scott). Si, TORRES, caps lock incluso (e io rifletterei un paio di volte prima di trascurare una donna che ha così voglia di gridare il suo nome), e nella mia sconfinata ignoranza non mi ero mai accorto della sua esistenza prima di qualche settimana fa. E dire che il suo debutto, malgrado non avesse fatto breccia nei cuori aridi del grande pubblico, aveva provocato una scossa di terremoto nel territorio degli addetti ai lavori (Pitchfork docet). Quello che mancava nel suo rookie era un suono che la rappresentasse a pieno malgrado un paio di tracce (Honey e Chains) lasciassero intendere quello che la ragazza da Nashville, Tennessee, USA sarebbe stata in grado di concepire. A tratti Welchiana (Mother EarthFather God) ma senza avere la potenza e il timbro caratteristici di Florence (volevo scrivere senza urlare ma so che qualcuno si sarebbe potuto offendere), a tratti morbida ma senza la giusta intensità. Fin troppo (passatemi la bestemmia) pop. Poco incisiva.

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E allora quale miglior svolta, per una donna, di un nuovo hairstyle. Fuori il castano. Dentro il biondo (con il sopracciglio scuro fa tanto Cara Delevingne). Con questa premessa ci si sarebbe potuto aspettare che la nostra si abbandonasse definitivamente agli effluvi dell’esser commerciale/invisibile. Mai niente di più sbagliato. Sprinter, in una parola, spacca (e non spacca come possono spaccare le Savages, tanto per citare donne che hanno la necessità di farsi sentire ma che, malgrado siano decisamente osannate, hanno la profondità di un tweet di Gasparri. Ok, giuro non volevo tirarle in ballo in realtà. Forse, semplicemente, non amo il loro genere ma la loro esibizione al Northside mi turba ancora dopo quasi due mesi). Ma torniamo alla bionda. Quest’album sembra esprimere in tutto e per tutto quello che era stato solo abbozzato nel primo disco. Sprinter non è un’ascesa verso lo zenith, non è un rollercoaster; è un fiume che, impetuoso alla sorgente, giunge a valle meno incazzato, meno travolgente, mai leggero, mai banale, mai scarno in cui i suoni si intrecciano a testi carichi di significato in maniera del tutto naturale.

Il disco inizia a suonare con la voce, nuda, di TORRES. Strange Hellos è un pezzo dal gusto sfacciatamente ‘90. Sembra uscito direttamente dalla scena grunge di Seattle (e sì che la nostra è cresciuta a Macon, Georgia, dalla parte opposta degli States). Le chitarre si sviluppano ed intrecciano intorno alla voce che finalmente sembra aver quel carattere deciso e personale che mancava nel primo LP. Ed è questa la caratteristica che salta immediatamente all’orecchio di chi ascolta. New Skinprocede sulla falsariga tracciata un attimo prima. Un inizio morbido, per farci prendere confidenza con la sua voce, non perfetta (e nei live questa sensazione si palesa ancor più e, sia chiaro, non è affatto quello che potremmo definire un difetto), sporca. E un testo che ci accompagna, ci incoraggia, malgrado le difficoltà che si possono incontrare quando si “cambia pelle”, quando si aprono scenari nuovi: “The darkness fears what darkness knows, but if you’ve never known the darkness then you’re the one who fears the most”.

Come a voler celebrare questo cambiamento arriva, immediato...continua a leggere su Vinylstics

 
 
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