Lo sguardo morto di un vecchio punk

A proposito di Giovanni Lindo Ferretti ad Atreju

28 Settembre 2015

Più che la presenza di Giovanni Lindo Ferretti ad Atreju, la storica festa dei giovani di destra, che non mi sorprende affatto, mi sconforta chi cerca ancora giustificazioni al suo operato attuale in nome di un passato ormai defunto.

E’ vero che nella comunicazione d' oggi si può dire tutto o si può non dire niente, che si confonde la  cronologia del tempo, che tutto è veloce, troppo veloce, ma qui si tratta di non vedere l'evidente . E' vero che io sono “old style”, e forse non c’è posto per un “old style” nel tempo dei social dove si straparla di tutto senza che le parole e i gesti abbiano un peso. Ma sembra chiaro che il Lindo ha da tempo deciso da che parte stare: dalla parte più reazionaria.

Da giovane mi hanno dato “una cassetta degli attrezzi” che saranno forse obsoleti ma dei quali non riesco a liberarmi. Perché senza quegli strumenti non riesco a leggere il mondo. Per me sono tutto. Sono memoria e traccia e insieme, sono metodo per mappare l'infinita infosfera, sono la bussola con cui partire per non perdersi.

Non riesco a farmi attraversare dal flusso ininterrotto di informazioni senza scindere e analizzare attraverso quella “cassetta degli attrezzi”.

Per capire quest’informazione che dice tutto e  che dice niente.

Questi vecchi arnesi mi dicono che il tutto e il niente non stanno mai solo nelle notizie in sé, ma anche e soprattutto nel vissuto di chi le vive, di chi le ha vissute, di chi ha vissuto l’attimo in cui sono state “prese”, prodotte o generate.

Ancora una volta, insomma, il destino delle informazioni è nei corpi e nelle vite vissute. Bisogna guardare lì.

Qui vedo il limite alla nostra capacità di comprensione del reale.

Le parole e i gesti seppur spersi nella liquidità digitale hanno un peso spesso tragico. Chi ha conosciuto le vite dei migranti, chi ha guardato i loro occhi, chi ha ascoltato le loro storie,  lo sa.

Ecco perché non capisco chi giustifica certe azioni. E non tollero Giovanni Lindo Ferretti che con il cuore infranto, con gli occhi gonfi di lacrime ci racconta  che suo malgrado è costretto da una legge superiore ad appoggiare chi costruisce muri e prendere le armi contro chi contende gli spazi della sua vita libera e del suo benessere, a difendere i confini della patria.

Perché il confine, come mi è stato  insegnato, non è qualcosa che sta fermo sui limiti economici e geopolitici delle nazioni, ma è qualcosa che ci portiamo dentro. Dentro di noi, dentro il linguaggio, dentro il corpo, dentro ciò che facciamo.

Non può esserci buona fede nel Giovanni Lindo Ferretti, del “prima gli italiani”. Perché portatore di confini da difendere e non di frontiere da attraversare.

Il "fascismo" , comprensivo del nazionalismo e dell'integralismo religioso, dell'autoritarismo politico e dell'aggressività sessuale e così via... può essere ricondotto a una ossessione fondamentale: l'ossessione dell'identità, l'ossessione dell'appartenenza, dell'origine, della riconoscibilità .

Quella “cassetta degli attrezzi” che sempre mi aiuta a scindere e riconoscere mi dice che il vecchio punk ora è un  privilegiato che da sfogo all’egoismo ottuso di chi non riesce più ad allargare lo sguardo oltre se stesso.

 
 

 
 
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