Rumore bianco

Ovvero il rischio apatia nel flusso sonoro infinito

8 Febbraio 2016

“E se la morte non fosse altro che suono?
Rumore elettrico.
Lo si sente sempre. Suono ovunque. Che cosa tremenda.
Uniforme, bianco”

 da Rumore bianco di Don DeLillo

 

...mi chiedo se serve tutto questo indaffararsi ad ascoltare  miriadi di suoni, un’offerta talmente grande da rendere impossibile per chiunque orientarsi. Mi chiedo,  se il rifugiarsi nel passato di molti, il ritornare a quei nomi  che costituiscono una garanzia, non sia diretta conseguenza di  questo disorientamento. Mi chiedo a cosa serve questo saltare da un ascolto all'altro, questo naufragare alla deriva nell'oceano di suono senza avere mai il tempo di soffermarsi su niente. Me lo chiedo e lo chiedo a chi è più giovane di me: Tutto questo ha senso?

I brani che ascoltate in streaming o nelle playlist costruite per l'ascolto nell'ipod come li scegliete?

Sinceramente non l'ho ancora capito e non ho trovato qualcuno che mi abbia dato una risposta convincente.

Del resto in questo flusso sonoro infinito, si rischia l’apatia.

L’apatia verso il senso e di contro la dipendenza  verso la connessione con la musica infinita.

La musica in sottofondo mentre si viaggia, mentre si lavora, mentre si fa sport e addirittura mentre si conversa con altri con un orecchio libero e uno con la cuffia collegata al dispositivo multimediale. Si sente moltissima musica ma non si ascolta veramente più niente. Dove per ascoltare intendo “dare attenzione”.

Per chi, come il sottoscritto, da giovane ha consumato certi dischi a furia di ascolti, ne ha imparato a memoria i testi  facendoli diventare stimolo di ricerca e di approfondimento, in una parola di crescita, è stata dura abituarsi alla digitalizzazione e alla musica infinita. Ma alla fine, si sa, il mondo cambia compreso quello musicale e così mi sono lasciato trasportare dolcemente da questo flusso continuo, anzi spesso sono entrato in piena sintonia con l'attuale oceano di suono scegliendo solamente le scie a me più congeniali.

 

 

.. poi d'improvviso quelle domande sono tornate a ronzare nella mia mente. Il motivo?

E' molto semplice: in questo periodo ho ripreso in mano un libro letto molti anni fa: Rumore bianco di Don DeLillo che pur essendo una forma di espressione molto diversa dalla musica mi ha fatto rendere conto che negli ultimi anni non ricordo un solo disco (parlo di quella cosa che un tempo chiamavamo album) che mi abbia scosso, eccitato, depresso e turbato, e che abbia inciso sulla mia percezione del mondo e di me stesso e che abbia contribuito così in profondità alla mia cognizione dell'inquietudine e del dolore come ha fatto di recente questa rilettura.

E ora ho quasi paura del momento in cui sarò costretto  a trarre le conseguenze che derivano da questa semplice e banale constatazione.

 
 

 
 

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