Kanye West – The Life Of Pablo

by MonkeyBoy (Vinylistics)

4 Marzo 2016

Il 14 febbraio scorso è uscito il nuovo album di Kanye West. Quando nelle ultime settimane sono cominciate ad arrivare notizie riguardo il settimo lavoro del rapper/producer originario di Chicago il mio pensiero è stato più o meno questo: se sarà un capolavoro come My Beautiful Dark Twisted Fantasy o anche solo se sarà grandioso come (a suo modo fu) Yeezus – per citare gli ultimi due – questo articolo si scriverà da solo, ed ancora una volta celebreremo il talento innato di West. MaThe Life Of Pablo è tutto tranne che una pietra miliare dell’hip-hop. Alcune cose sono davvero buone ed altre molto meno, ma per una psicologia difficile come la sua fare solo un buon lavoro non basta mai.

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La storia è nota. West inizia a lavorare su quello che un tempo doveva essere Yeezus 2 già nel novembre del 2013 – le registrazioni di No More Parties In LA sono addirittura del 2010, durante le session di MBDTW. Negli ultimi tre anni, dunque, scrive e registra in diverse località non solo d’America ma del mondo. Tra le altre: Los Angeles, il Messico, l’Isola di Wight, il Canada e Firenze. Inizialmente si sarebbe dovuto chiamare So Help Me God (quanto sarebbe stato meraviglioso?), includendo alcuni singoli poi rilasciati a parte o regalati ad altri (tra cui All DayFourFiveSeconds eTell Your Friends). A maggio dello scorso anno, Ye cambia idea: ora il disco, senza precisa data di uscita, si chiama SWISH ma attenzione perché lo stesso rapper lascia intendere che il titolo possa mutare ancora.

Cosa che puntualmente avviene su Twitter il 26 gennaio scorso quando viene annunciato Waves con relativa tracklist. Passano solo nove giorni e l’album torna a non avere un nome. Il 9 febbraio però, sempre via social, l’acronimo T.L.O.P., ora titolo ufficiale, fa impazzire l’internet per 24 ore durante le quali la gente (aka chi non c’ha un cazzo da fare) prova ad indovinarne la soluzione. Arriviamo finalmente a The Life Of Pablo e giovedì 11, nel mezzo dell’evento per la sfilata della sua linea Yeezy Season 3 al Madison Square Garden, Kanye West mostra la cover e fa sentire parte del nuovo LP. Se siete disorientati voi ad aver letto, immaginatevi cosa ci doveva essere nella sua testa.

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Il cielo stellato sopra di me, la chiarezza di idee dentro di me.

Il giorno 12 modifica per l’ultima volta la tracklist, portandola da 10 a 17 brani. Per far posto a Waves – fortemente voluta in lista da Chance The Rapper – l’uscita è stata posticipata al 14, sia perGOOD Music che per Def Jam. E qui veniamo a noi, perché mentre il nuovo lavoro esiste solo per la piattaforma Tidal dell’amicone Jay-Z – inizialmente per una settimana, poi pare per sempre con tanti saluti ad iTunes – West è già al lavoro su una possibile rielaborazione della traccia Wolves di fatto sancendo un nuovo termine di paragone per chi è affetto da mania della precisione e del perfezionismo in modo patologico. Ora, dove tutto ciò abbia portato il nostro eroe lo analizzeremo fra poco; ma se alla fine di una delle settimane più strane e intense della tua vita dichiari di essere indebitato per 53 milioni di dollari e ne chiedi 1 miliardo a Mark Zuckerberg come investimento su te e le tue idee, be’ o sei un fottuto pazzo o sei un genio. Oppure sei semplicemente molto confuso.

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Yeezy che reagisce alle mie battute.

Con tutto questo in testa ti appresti all’ascolto del disco ed Ultralight Beam sembra spazzare via ogni tipo di dubbio. Downtempo ottimamente prodotto (in mezzo c’è anche Rick Rubin) e compiuto in ogni suo aspetto, ha nelle parti vocali di Kelly Price e Chance The Rapper i suoi momenti migliori. Un gran bel pezzo sulla fede in Dio con cori liturgici da una parte e beat azzeccatissimi dall’altra, avrebbe dovuto chiudere l’album e si capisce il perché. In effetti, tra le altre cose, West aveva dichiarato che The Life Of Pablo fosse un disco gospel e molto forte è la componente spirituale. Le successive Father Stretch My Hands Pt. 1 e Pt. 2 continuano sulla stessa linea – con in più un groove quasi r&b – ma nonostante i featuring di Kid Cudi la prima e Desiigner la seconda, danno un’idea di incompletezza rispetto alla traccia iniziale.

In entrambe torna pesante l’uso di Auto-Tune ma se Pt. 1 è assai autoindulgente, con testi a tratti al limite del ridicolo (“Now if I fucked this model and she just bleached her asshole, and i get bleach on my t-shirt, I’mma feel like an asshole”), Pt. 2 ha invece liriche confessionali, trattando temi familiari e introspettivi (la morte della madre, il suo incidente in macchina e il difficile rapporto mai avuto col padre). Più avanti tornerà il gospel in Low Lights – pieno di riferimenti alla Bibbia e, attenzione, a San PAOLO di Tarso – che altro non è che l’intro di HighLights, altro pezzo molto riuscito che si avvale della produzione di Southside e del feat. di Young Thug, oltre all’abuso di Auto-Tune, naturalmente.

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Tra i momenti più riusciti c’è ovviamente Famous ormai celebre sia per la misoginia (e l’inutilità) del riferimento a Taylor Swift (“I feel like me and Taylor might still have sex. Why? I made that bitch famous (God damn)”) che per la presenza di Rihanna alla voce che ricanta Nina Simone. Questo pezzo comunque validissimo, che richiama alla mente il Kanye West di Late Registration, è indicativo del suo talento assoluto nel sampling, arte nella quale Yeezy non è secondo a nessuno nella storia. Se qui abbiamo la celebre Bam Bam di Sister Nancy e la sconosciuta Mi Sono Svegliato E…Ho Chiuso gli Occhi degli italianissimi RDM, in Freestyle 4 troviamo Human dei Goldfrapp che non stravolge, sia chiaro, ma porta il brano in una dimensione più sofisticata e sperimentale, che si rifà alle cose diYeezus e ben si sposa col freestyle, appunto.

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Diciamo ‘ciao’ alle buone notizie.

La prima metà contiene la gran parte dei brani migliori, è tutto sommato focalizzata, ben rifinita ed omogenea nei temi. Ad eccezione del nonsense auto-celebrativo di I Love Kanye – ma come dice inFeedback“Name me one genius who ain’t crazy” – ci troviamo di fronte non proprio all’album della vita ma comunque ad uno dei migliori della produzione di West. Poi, però, arriva la seconda parte e sono dolori. Waves – che ospita Chris Brown e sul finale Kid Cudi – ha un beat leggero e synth rarefatti che uniti a liriche spesso semplici al limite del banale (“Waves don’t die”) vorrebbero dare una certa idea di spiritualità ma finiscono per essere inconsistenti. Anche l’accoppiata che dovrebbe in qualche modo umanizzare Ye, ossia Real Friends e Wolves, ritorna all’ascolto come fosse appannata, come fossero b-side di singoli magari pubblicati durante i GOOD Fridays, e tutto questo fatta la tara alle collaborazioni eccellenti (Ty Dolla $ignBoi-1da, Frank Ocean tra gli altri) che non spiccano e non fanno fare il salto di qualità ma anzi annegano nel disorientamento generale.

Senza considerare l’altro momento Maccosa, ovvero Silver Surfer Intermission, una telefonata dal carcere (!) fatta da Max B a French Montana, nella quale il primo appoggia la scelta di Kanye West di intitolare il disco Waves (Max B è chiamato Wavy Daddy) nonostante la mezza faida nata con Wiz Khalifa che aveva frainteso il riferimento e attaccato Ye. Cioè questo è anche qualcosa di divertente, se non consideriamo il contesto diseducativo al massimo, e direi innocuo. Ma se poi hai una canzone come 30 Hours – cui hanno contribuito Drake, Nelly e Pharrell, in cui c’è André 3000 ed il magnifico sample Answer Me di Arthur Russell – e invece di farne venire fuori una bomba atomica crei cinque dei più ripetitivi minuti della tua carriera, be’ c’è un problema no?

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Il fatto è che forse la testa di Kanye West invece che sull’ottimizzare il materiale di The Life Of Pablo era concentrata su tante, troppe cose, come l’inutile tirata alla Nike di FACTS (Charlie Heat Version) o chissà cos’altro. Il risultato è un album che manca di coesione e che vive, trionfa e si appiattisce in singoli momenti invece di portare avanti un discorso coerente, nel bene e nel male. In quest’ottica anche gli spunti sicuramente positivi come le parti a cappella, l’utilizzo di bassi e percussioni assolutamente non convenzionali per l’hip-hop e altro non bastano a farne un capolavoro come il suo creatore vorrebbe. Certo non è il talento quello che manca, se anche in una seconda metà così così abbiamo pezzi come FML (con il determinante contributo dei The Weeknd), No More Parties In LA(feat. Kendrick Lamar e prodotto con Madlib) e la danzabilissima conclusione di Fade. Ma tutto ciò fa di West un nuovo Pablo Picasso? Pablo Neruda? Pablo Escobar? ‘Which One’?

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