Tracy Bryant – Subterranean

by MonkeyBoy (Vinylistics)

14 Aprile 2016

Alcuni mesi fa vi parlai di Billy Changer, della sua vita, della sua band e della sua carriera solista appena agli inizi. Oggi tocca a Tracy Bryant – che dei Corners è frontman e fondatore – presentarsi al grande pubblico con il proprio LP d’esordio, Subterranean, pubblicato da quelle teste matte della Burger Records.

A dire il vero il primo tentativo in solitaria di Tracy Bryant è datato 2014, rilasciato in una doppia cassetta (ovviamente dalla label di Fullerton e da Lolipop Records) condivisa proprio col suo compagno di band Billy, in cui erano contenute in versione acustica alcune song ora in questo primo full-length. Nascere e crescere artisticamente in California è una buona cosa da sempre, ma ai giorni nostri è di certo sinonimo di fermento musicale e culturale come mai in questo secolo. Dai Thee Oh Sees a Ty Segall, dai Tomorrow Tulips agli Allah-Las (e potrei continuare per un bel po’) le nuove coordinate del Golden State sfumano tra neo-psichedelia e garage, tra lo-fi e surf-rock quasi senza soluzione di continuità. Certo aumenta anche la concorrenza ed emergere come uno su mille è sempre più difficile.

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I Corners partono nel 2011 da Echo Park come tipica band surf, poi l’arrivo di Billy Changer aggiunge un tocco post-punk al loro sound ma Bryant cerca qualcosa di ancora diverso, un’ulteriore sfumatura che arricchisca la sua tavolozza di colori. Quindi chiama a produrre Matt Rendon (The Resonars) e si chiude in uno studio di Tucson, Arizona, per una settimana con Joo-Joo Ashworth (chitarra) e Jeremy Katz (basso) dei Froth, e con Cameron Gartung (batteria) proveniente dai Mystic Braves.

Fortemente influenzato dal Southwest americano (ma avrebbe potuto essere altrimenti?),Subterranean prende a riferimento i 60’s così come artisti dei 70’s e degli 80’s tipo CrampsThe Gun Club e Peter Murphy. Per uno cresciuto dal padre a Kinks, Rolling Stones e ? & the Mysterians la componente ‘rock di chitarre’ non può non essere preponderante, ma qui si affaccia anche una nuova sensibilità pop, a volte nostalgica ed indolente altre volte più gotica e dark.

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Tra i brani più vicini alla tradizione della West Coast troviamo l’indie-pop di Hey Spaceman! (dedicata con ben poca fantasia agli Spacemen 3) che, allegra e spensierata, si muove tra un azzeccatissimo riff di chitarra elettrica ed un buon folk di quella acustica; a seguire c’è la title-track, un alt-rock che pur mantenendo i ritmi abbastanza alti è avvolto in una confezione ben più pop ed educata della precedente. A conti fatti, l’orecchiabilità è il vero valore aggiunto che il nativo di Los Angeles ha inserito nel suo arsenale, per tutti valga l’esempio di The Background Singer, surf-rock dall’ottimo ritornello e pieno di chitarre jangle come dio comanda, con una melodia semplice ma di gran resa.

Altrove, se Shining è il surf-pop sentito e risentito ma che funziona sempre, peggio va in termini di forza ed originalità a Start The Motor, mentre I’m Never Gonna Be Your Man è talmente breve da essere innocua ma non spiccando per alcun motivo sarebbe stato lo stesso se non ci fosse stata. Ciò nonostante, quando paga dazio al suo background, Tracy Bryant è convincente ed onesto. Ci sono tutti i crismi che vi possano venire in mente: delay, riverberi, eco. C’è tanto amore per il passato ma è tutto immerso in un’attitudine contemporanea, l’energia e la vitalità del terzo millennio.

Dove diventa chiaro che si voglia marcare uno stacco anche abbastanza netto col pur recente passato è nell’altra metà dei brani, quelli oscuri e notturni. Non tanto per la traccia che apre il disco, la cavalcata desertica psych-rock Come Around fatta di bassi assai carichi e batteria roboante, quanto per pezzi come The Gun, inaspettatissimo momento indie-pop quasi strumentale di stampo anni ’80 (pure qui più o meno chiaramente omaggiando i Gun Club) notevole anche grazie ad una voce monotòna e distaccata.

Il terzetto finale, da Want alla conclusiva 17,000 Miles passando per Tell You non fa che spingere ancor più sul lato oscuro del songwriting di Bryant con risultati davvero buoni ma che diventano ottimi se guardati in prospettiva. Tra psych-garage cupo e meditativo, ritmi più sostenuti e quasi ballabili, fino ad arrivare al capolinea con una lenta e nera ninnananna per chitarra pianoforte e voce sospirata, rimane la sensazione di un buon album ottimamente prodotto – notevole l’evoluzione dei brani già presenti nella cassetta di due anni fa – che fa della tensione fra retrò e contemporaneità senza dubbio la sua qualità migliore.

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Ormai piuttosto ben inserito nel giro che conta – Come Around è stata usata per un video delThrasher MagazineSubterranean è nella colonna sonora del nuovo film sul surf della Volcom – Tracy Bryant continua instancabilmente a dividersi fra Corners e progetti solisti. A maggio uscirà il nuovo album della sua main band, mentre da gennaio sta lavorando ad un concept acoustic-rock con Leonard Kaage a Berlino...continua su Vinylistics

 
 
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