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Joseph Conrad: “Un avamposto del progresso”; “La laguna” (2/6)

17 Agosto 2017

 
ReadBabyRead #347 del 17 agosto 2017


Joseph Conrad 
Un avamposto del progresso
La laguna

(parte 2 di 6)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast


voce: Francesco Ventimiglia


“La stazione commerciale era affidata a due bianchi. Kayerts, il capo, era piccolo e grasso; Carlier, il suo vice, era alto, con un gran testone e un tronco massiccio poggiato su due lunghe gambe sottili. Il terzo uomo era un negro della Sierra Leone. Sosteneva di chiamarsi Henry Price, anche se per ragioni oscure i nativi di quella parte del fiume gli avevano dato un altro nome, con cui ormai era conosciuto da tutti: Makola. Makola parlava inglese e francese con un accento melodioso, aveva una magnifica grafia, sapeva fare di conto, e intratteneva un suo rapporto intimo con gli spiriti del male. Aveva sposato una negra di Loanda molto grassa e altrettanto rumorosa. Davanti alla porta del loro basso capanno tre ragazzini si rotolavano al sole. Silenzioso e impenetrabile, Makola disprezzava i due bianchi”.


Un avamposto del progresso
di Joseph Conrad


I primi due racconti
 che Joseph Conrad pubblicò nel 1897, su due diversi giornali, vengono ora riproposti, in un unico, elegantissimo volumetto, da Adelphi (Un avamposto del progresso, 2014): scelta tanto più meritoria, in quanto, come noto, l’editoria italiana si mostra generalmente piuttosto refrattaria verso il genere letterario del racconto, o comunque di ogni narrazione che non sfami gli onnivori lettori con corposi tomi sulle cinquecento pagine, ma provi piuttosto a misurarsi nella squisita arte necessaria a sviluppare e condurre a conclusione una storia nel giro di qualche decina di pagine, al più.

Arte di cui questi due racconti, e soprattutto il secondo in ordine di pubblicazione, ma qui impaginato per primo, rappresentano già due splendidi esempi.

Nel più antico, infatti, La laguna, oltre alla raffinatezza, non aliena da toni e preziosità da prosa lirica, degli squarci descrittivi che intercalano la voce narrante, Conrad adotta per la prima volta il meccanismo narrativo destinato ad essere portato alla perfezione in molte delle sue opere maggiori: quello, cioè, per cui una parte della narrazione, naturalmente il suo nucleo più ricco di passione e d’intensità umana, viene svolta non dal narratore, ma da uno dei personaggi interni al racconto, talvolta a grande distanza, cronologica o spaziale, dal teatro della vicenda. Un espediente narrativo che rende la storia, come è facile capire, assai più coinvolgente, per il lettore, che se fosse stata narrata tutta con l’imparzialità “fotografica” del narratore onnisciente caro alla grande narrativa del pieno Ottocento.

È dunque Arsat, «un uomo giovane, robusto, con un ampio torace e le braccia muscolose», vestito appena di un sarong e «in testa, niente», che accoglie il «bianco» (nient’altro ci viene detto, di questo personaggio che si lascia facilmente interpretare come un alter ego di Conrad stesso) in viaggio sul fiume, e gli dà ospitalità per la notte. Sarà appunto la notte in cui, mentre all’interno del capanno la sua giovane donna «respira e brucia come se dentro avesse un fuoco. Non dice niente; non sente niente; brucia e basta», divorata da un male di cui non conosceremo la causa e per cui il nuovo venuto non ha portato alcuna medicina, Arsat ripercorrerà per il suo ospite occidentale la storia che lo ha condotto, per amore di quella di donna, ad abbandonare in mano dei suoi nemici la persona a lui più cara: suo fratello.

Sì che quando, all’alba, dopo che un maestoso uccello bianco si alza in volo nella luce del sole per «sparire nel blu come se avesse lasciato la terra», la donna «non brucia più», ci sembra di cogliere il senso di questo explicit imposto dal destino (essendo ormai il cielo di Conrad del tutto deserto di dei) ad Arsat: che di fronte ad esso però – nelle righe finali del racconto, mentre il «bianco» si allontana sul suo sampan – assume, da eroe già pienamente conradiano, la posa di un qualche protagonista di laicizzata tragedia greca: «Era in pedi, solo, nella luce spietata: e oltre il chiarore immenso di un giorno senza nuvole scrutava  la tenebra di un mondo senza illusioni».

La tangenza rispetto alla grande tragedia è ancora più evidente nell’altro racconto, che presta il titolo al volume, giacché i due protagonisti, dalla cui descrizione il racconto stesso prende le mosse, resteranno indissolubilmente legati uno all’altro – un po’ come poi i due ufficiali rivali attraverso i decenni, nei Duellanti – fino alla conclusione, di alto, drammatico impatto emotivo e, perché no, morale.

Meno elaborato, rispetto alla “Laguna”, sul piano della tecnica narrativa – che è, rigorosamente, focalizzata sull’esterno dei personaggi e condotta con scrupolosa sovrapponibilità del tempo narrativo al tempo dell’azione – il racconto è invece più complesso su quello dell’impalcatura ideologica. E lo dimostra il fatto che al delitto e al castigo risolutivi, oltre che da un crescendo di angoscia (l’isolamento rispetto al mondo da cui si proviene, i viveri che si rarefanno, il ritardo del battello, che giungerà, sì, nelle ultime pagine, ma solo per affrettare la sconvolgente katastrofé) misurato con la sapienza narrativa di un Conrad già perfettamente padrone dei propri mezzi, i due protagonisti vengano indotti dal lanciarsi contro una sola ingiuria, «schiavista».

Con quella parola, è come se l’imbiancatura perbenista che essi hanno cercato di darsi – uno vuol arricchire per procurare la dote all’amatissima, e poco avvenente, figliola, l’altro, per più prosaiche questioni di bolletta, e di riscatto di fronte all’intero gruppo famigliare – crollasse, e, preannunciata dall’amara ironia del titolo, non restasse che la nuda, belluina ferocia dell’essere umano: la redditività dell’avorio strappato dalla Compagnia per loro tramite ai quasi subumani nativi l’ha resa socialmente accettabile, ed essa ormai non ha più alcuna remora a scatenarsi. Fino alle estreme, tremende conseguenze: che ci prendono alla gola, come un tuffo nel nostro stesso sangue.


di Mario Massimo
da Flanerì.com, 22 dicembre 2014


Le Musiche
, scelte da Claudio Tesser

Miles DavisThe Mask [Miles Davis]
Jon Hassell/Brian EnoDelta Rain Dream [Jon Hassel/Brian Eno]
Jon Hassell/Brian EnoRising Thermal 14 16' N; 32 28' E [Jon Hassel/Brian Eno]
Jon Hassell/Brian EnoCharm (Over 'Burundi Cloud') [Jon Hassel/Brian Eno]
Herbie HancockWatermelon Man [Herbie Hancock]
Jon Hassell/Brian EnoBa-benzele [Jon Hassel/Brian Eno]
Jon Hassell/Brian EnoChemistry [Jon Hassel/Brian Eno]
Herbie HancockVein Melter [Herbie Hancock]
Jon HassellRavinia/Vancouver [Jon Hassel]

 
 

Copertina:
Una foto dello scrittore Joseph Conrad con lo sfondo di una veduta del porto di Port Said.

 
 

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