Ivano Fossati live report

Teatro Malibran, Venezia - 10 Dicembre 2011

14 Dicembre 2011

Gran concerto quello di Ivano Fossati a Venezia, che come annunciato in una recente intervista, è al suo ultimo tour. Ha deciso di abbandonare le scene perché bisogna sapere quando dire basta “piuttosto che cantare le canzoni dei miei 40 anni di carriera senza aggiungere niente. Ci sono altre cose, non ancora ben chiare,che farò in futuro. Il mio mestiere è bello e privilegiato, ma non so se da qui a cinque anni sarò in grado di aggiungere qualcosa di nuovo alla mia musica. Nel dubbio preferisco‘divertirmi’, nel senso migliore dei modi. Mi staccherò dal mestiere della discografia”.

Queste chiare e inequivocabili parole ci dicono che Ivano Fossati ha trovato il Teatro Malibran di Venezia affollato di gente.


Molto sereno, stimolato dalla voglia di accomiatarsi dal suo pubblico che per molti anni lo ha seguito in tutte le sue trasformazioni e percorsi. E’ inutile elencare la quantità di canzoni che ha scritto per se e per i numerosi artisti con cui ha collaborato, ma anche le sue qualità di discografico e produttore.

Si presenta sul palco quando da poco sono passate le 21. Camicia scura, pantaloni casual e gli inseparabili occhiali. Parte subito con due brani del nuovo disco “La decadenza” e “Quello che manca al mondo”. Un’atmosfera calorosa e attenta, come sottolineerà il cantautore genovese durante uno dei pochi attimi in cui si concede se non per cantare o suonare. La chitarra elettrica, soprattutto, che potrei sbagliarmi, ma dovrebbe essere una Epiphone Brodway, particolare che annotiamo perché passa per essere uno strumento abbastanza economico e di produzione coreana.

Immagino che per i puristi questo potrebbe essere uno spunto interessante, ma dovunque arrivi e per quanto poco costi, è suonata dannatamente bene.

Al pianoforte non rinuncia. Memorabili le esecuzioni delle applauditissime ed emozionantissime “Carte da decifrare”, “La costruzione di un amore”, “Stella benigna” ma si cimenta anche con l’armonica a bocca e il flauto traverso, di cui però da l’idea di non esserne esattamente padrone. Ne sembra consapevole, e anzi pare quasi scherzarci su quando, proprio nel commiato finale, si esibisce in un improbabile assolo. Ma il pubblico è tutto per lui e gli consente qualsiasi cosa pur di averlo sul palco qualche minuto in più. E’ l’ultimo tour, e se da una parte c’è il rispetto e l’affetto per una decisione presa, dall’altra c’è la consapevolezza che certi momenti non saranno più ripetibili. L’atmosfera è talmente intima che lo si legge e lo si sente nei volti e negli applausi di tutti coloro che assiepano il teatro veneziano in ogni ordine di posto.

E’ evidente il piacere che prova nel suonare, soprattutto quando esegue i brani più recenti, ma c’è tanta carica anche nell’esecuzione di “Cara democrazia” o “La pianta del Tea”, una canzone che lui stesso ha definito come “una di quelle che da speranza”.

Una band come sempre all’altezza, con il figlio Claudio sempre più bravo alla batteria e con le percussioni. Si fa non poco notare anche al basso l’istrionico e bravissimo Max Gelsi, che ha suonato anche nell’ultimo disco ed è storico componente della band di Elisa.

Fondamentale come sempre l’apporto di Pietro Cantarelli al pianoforte, alla fisarmonica, alle chitarre, alla voce, che ha curato anche arrangiamenti e produzione.

Due ore e mezza di musica, in cui è difficile trovare un momento migliore di un altro. E’ vero che quarant’anni di carriera non si possono racchiudere così, in una serata, tantomeno in una recensione, ma si può affermare con certezza che un brano come “Una notte in Italia” ha la stessa freschezza dei più recenti.

E questa è la scommessa più grande per qualsiasi artista, vincere la sfida del tempo.

 
 

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