La compassione inconfessabile

Live report Teatro degli Orrori @ Deposito Giordani, Pordenone

5 Marzo 2012

E' quella che chiamano una data zero. In più vi è la trepidazione, la curiosità nel vedere la nuova formazione- soprattutto per la delegazione di bellunesi, già da subito pronti a far notare la bravura del “nostro” Marcello Batelli, già Planet Brain e NVCC.

La band sale sul palco con sobria onestà, ma appare contratta. I primi brani (Rivendico, Non vedo l'ora) si susseguono senza soluzione di continuità e senza presentazioni; poi con Skopje e le parole: “striscia fuori dal grembo del mare un piccolo granchio...si sotterra e si addormenta nella sabbia di fango e detersivi” nel cambio di ritmo si rompe quella contrattura iniziale e Il teatro degli orrori torna a essere quella macchina-da-guerra che trasuda parola su parola, riff su riff- trasuda indignazione, rivolta, ribrezzo e compassione verso l'esistente.

Ecco che con questa espressione credo si possa riassumere la temperie di questa performance: ribrezzo e compassione verso l'esistenza, dove la compassione è un patire assieme (patire-con), farsi carico di tutti i mali dell'umanità, urlarli senza pose: quando dal pubblico si sente una bestemmia, Capovilla dice: anche la bestemmia è una forma di preghiera, forse la più sincera.

Quell'invocazione che si può sentire “per le strade di Baghdad” (Cleveland- Baghdad), il sentimento oceanico che abbraccia quell'umanità abbruttita dai languori della guerra in ogni sua forma, sia essa sociale, epocale, previdenziale, etnica o linguistica, ma che confessa al contempo “io sono il suo temporale/ io sono il mondo intero/sono il cominciamento/sono la fine di ogni cosa/ l'orizzonte” e “il mio cuore non è abbastanza grande per sopportare tutte le sue periferie” (in un'ottima esecuzione di Martino).

Nelle contraddizioni, o apparentamenti tali che ci appartengono e sono semantizzate anche nell'armonizzazione del cantato con le linee di basso in E' colpa mia o nell'incipit di Direzioni diverse, eseguito in chiave elettronica con una pressante cassa in quarti per poi esplodere come un bombardamento emotivo, nel fragore di padri che hanno agito dimenticando l'esistenza dei propri figli.

Questo senso di sconfitta sembra segnare il volto di Capovilla, questa volta sobrio (in molteplici sensi) ed essenziale: le parole tra un brano e l'altro sono poche e soppesate, solo all'inzio di Ion è raccontata la storia dell'immigrato morto bruciato vivo del suo “padrone”, quasi si volesse espiare quel “groppo in gola” poi cantato. Vi è solo una licenza teatrale in E lei venne!, nel citare Baudelaire circumnavigando ossessivamente l'asta del microfono, mentre si denuncia la completa follia di ognuno di noi.

Insomma, un concerto sincero, che è sorretto dall'urgenza di dire qualcosa e, anche dove i testi possono sembrare didascalici, non vi è ulteriore retorica nella presentazione, solo il dato performativo- pura datità, così come solo lì da vedere con orrore le storie raccontate.

(da segnalare inoltre le interessanti esecuzioni di Pablo, Dimmi addio - leggermente diversa da quella dell'album e del secondo bis Lezione di musica in essenziale equilibrio tra elettronica, impatto scenico e parete di suono).

 
 

Nota bene: Il Teatro degli orrori suoneranno sabato 28 aprile 2012 al Rivolta.

 
 
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