La Cucina di QB del 1 maggio 2011

La storia del caffè

1 Maggio 2011

“Prendo tre caffè alla volta per risparmiare due mance” oppure “Questo caffè è una ciofeca!”: sono alcune delle frasi che il mitico principe De Curtis, in arte Totò dedicò alla bevanda più buona del mondo.
La moka è sul fuoco e le tazzine sul vassoio: benvenuti nella mia cucina!

Taccuini Storici ci racconta che al contatto con la cultura cattolica, il caffè incontrò diverse opposizioni. Siccome era una preparazione mussulmana, il clero chiese formalmente a Clemente VIII di proibirla. Narra la leggenda che il Papa, famoso per aver mandato al rogo Giordano Bruno, sorseggiando la bevanda disse “E’ così squisita che sarebbe un peccato lasciarla bere esclusivamente agli infedeli”, e poi procedette al suo battesimo per renderla in grazia cristiana. È invece documentato che il medico personale di Clemente VIII, il noto botanico Andrea Cesalpino, fu il primo occidentale a descrivere nelle sue opere la pianta del caffè. Beethoven, grande amatore del caffè forte, sembra si desse la pena di contare settanta chicchi per ogni tazza che avrebbe bevuto. Una storiella veneziana recita che Casanova, appena scappato dai Piombi, non resistette alla tentazione di fermarsi al caffè Florian per assaporarne una tazza. Il filosofo, scrittore e drammaturgo Voltaire sembra bevesse fino a cinque caffè al giorno. Honoré de Balzac, che dedicava anche un pomeriggio se doveva scegliere la miscela giusta per preparare la nera bevanda, precisava nel suo “Trattato sugli eccitanti moderni”: “il caffè mette in movimento il sangue, ne fa sgorgare gli spiriti motori, eccitazione che precipita la digestione, caccia il sonno e permette di utilizzare un po’ più a lungo le facoltà cerebrali”.

Degustare il caffè è un rito. Lo zucchero è il suo condimento naturale, sia esso di barbabietola o di canna, bianco o scuro. Ma chi ama davvero il caffè lo prende amaro e bollente.
È da ricordare che la zolletta di zucchero individuale è una trovata che risale al 1854, ad opera del droghiere parigino Eugene Francois. Altri condimenti abituali del caffè sono il latte o la panna liquida, serviti in piccoli contenitori a parte o direttamente in tazza.
Se il caffè è ben forte e concentrato, alla turca o all’italiana, l’uso consiglia di accompagnarlo con un bicchiere d’acqua fredda a parte, per sciacquarsi la bocca.
L’abitudine di proporre sul piattino un quadratino o un pezzo di cioccolato viene della Svizzera e dal Belgio: più recentemente sono comparsi i raffinati chicchi di caffè torrefatti ricoperti di cioccolato fondente. Il biscottino, spesso aromatizzato allo zenzero o alla cannella, è invece una tradizione anglosassone mentre a Venezia veniva servito il Baicolo, punta di diamante della Serenissima biscotteria. A guardarli si comprende come la forma, che ricorda vagamente la sagoma di un pesciolino, abbia ispirato il loro nome che nel dialetto lagunare indica i piccoli branzini.
Nelle grandi occasioni il caffè servito a “regola d’arte” deve essere presentato con un vassoio di leccornie dolci, non più grandi di un boccone, che comprendono cioccolatini e pasticcini spesso ricoperti al cioccolato. Mentre Venezia è ancora una volta maestra di bon-ton: il caffè veniva servito riunendo su un vassoietto un caffè mescolato con latte, un bicchiere di vino aromatico e uvetta macerata nella grappa.

Quando arrivò in caffè nelle nostre tazze? Da alcune ricerche si tende a datare la scoperta del caffè attorno alla metà del IX sec. in Etiopia, Altipiano Abissino, dove i nomadi preparavano un decotto di frutti rossastri raccolti da arbusti. Il liquido ottenuto, utilizzato come rimedio energetico e stimolante, era diverso dalla bevanda che conosciamo oggi. Dagli stessi frutti, fatti essiccare al sole, macinati grossolanamente e mescolati al grasso, si ottenevano delle gallette facili da trasportare, con le quali durante le migrazioni veniva preparata una bevanda calda. 
Numerose sono le ipotesi a proposito della strada presa dalla pianta del caffè verso il mondo islamico. La prima indicherebbe nei mercanti di schiavi i trasportatori di alcuni chicchi raccolti nelle scorrerie in Etiopia. Un’altra tesi segnala i dervisci mussulmani, che si recavano alla Mecca partendo dall’Etiopia, come coloro che fecero arrivare il caffè nella “felice Arabia” (Arabia Saudita e Yemen odierni). L’origine del processo di trasformazione del chicco verde in bevanda è anch’esso assai controverso. Certi botanici europei rivelano che gli abitanti dell’Etiopia masticavano le bacche crude della pianta del caffè per trarre beneficio dal loro effetto stimolante. Altri scritti raccontano di un vino prodotto nell’area medio orientale, ottenuto dal succo fermentato delle medesime bacche rosse mature, chiamato “vino d’Arabia”. 
Agli inizi il caffè era consumato prevalentemente nell’ambito di cerimonie religiose o per finalità terapeutiche. Le virtù della bevanda erano apprezzate dai medici del XI secolo che la consigliavano nella cura di calcoli renali, gotta, morbillo e tosse. Questa bevanda calda e forte era assai gradita dai mussulmani anche durante il Ramadan, il mese nel quale i fedeli digiunano dall’alba al tramonto. Nel XVI secolo, da sostanza soprattutto terapeutica, il caffè divenne simbolo di convivialità, raggiungendo l’Egitto, la Siria e la Turchia.
Attorno al 1554 nacque a Costantinopoli la “caffetteria”: presso questi locali arredati con caldi divani e tappeti si incontravano intellettuali, studenti e artisti. In seguito al grande successo della bevanda i luoghi della sua somministrazione si ampliarono. Dalle minuscole e popolari botteghe di caffè, ai crocevia delle strade dove dei venditori ambulanti la preparavano su piccole lampade ad alcol. Le classi più agiate preferivano invece consumare il caffè a casa propria, preparandolo con chicchi macinati, acqua bollente, e l’aggiunta di spezie quali cardamomo, cannella o chiodi di garofano.
Il primo locale europeo sembra sia stato inaugurato ad Oxford nel 1650, ma c’è chi attribuisce il primato a Venezia (1640 ca.), seguita da Marsiglia, Parigi e Vienna.
Per celebrare la popolarità e il successo della bevanda nera, ma soprattutto dell’ambiente dove essa veniva consumata, nel XVIII sec. Carlo Goldoni gli dedicava la commedia: “La bottega del caffé”. In questo periodo furono diverse le funzioni sociali attribuite alle caffetterie. In Inghilterra, alcune diedero origine agli esclusivi “club”, luogo di riunione dei gentiluomini aristocratici; in altri paesi diventarono invece spazio d’incontro della borghesia. Quando in epoca post napoleonica ci fu una maggiore fluidità fra le classi sociali, un’umanità varia iniziò a frequentare le botteghe del caffé, che diventarono così spazio privilegiato per la circolazione delle idee politiche, letterarie e artistiche più diverse. Nella metà dell’Ottocento a Parigi, capitale del lusso e del divertimento, nacquero poi i “cafè chantant” e i “caffé concerto”, dove la musica dilettava gli avventori, trasformando l’ambiente in un teatro di mondanità gaudente e cosmopolita. Nelle iconografie dei pittori impressionisti di tardo Ottocento, il caffé diventò il luogo caratteristico della vita sociale, ritrovo d’intellettuali, artisti e gente comune.
Da quando questa bevanda appartiene ai riti della socialità, ognuno dice la sua a proposito della questione sul come prepararla. Brillat-Savarin affermava: “I turchi che possiamo considerare i nostri maestri in materia… non utilizzano mai un macinino per il caffè, ma lo frantumano in un mortaio con l’aiuto di un pestello. Il caffè frantumato in un mortaio è da preferirsi al caffè macinato”. Il famoso politico francese Talleyrand sull’argomento si esprimeva con queste parole: “Il caffè deve essere: caldo come l’inferno, nero come il diavolo, puro come un angelo, dolce come l’amore”.

Regole d’oro per un buon caffè
* Freschezza della polvere: si consiglia di acquistare una quantità di grani sufficiente soltanto per due o tre settimane, altrimenti se i grani sono già macinati vanno consumati entro cinque giorni dall’apertura del pacchetto, conservato quest’ultimo in una scatola ermetica al fresco e al riparo dall’umidità. * Dose della polvere: per ogni tazza è di un cucchiaio da minestra ben pieno. * Acqua da bollire: deve essere pura senza la presenza di cloro.

Metodi di preparazione
* Infuso: è il principio del caffè alla turca, in base al quale si fa bollire (secondo la regola tre volte di seguito) il caffè ridotto in una polvere impalpabile, dopo averlo mescolato con acqua e zucchero, in un pentolino con il fondo largo e il collo stretto. La bevanda viene poi riposare affinché la polvere si depositi sul fondo del recipiente, e servita in piccole tazze senza filtrare. La macerazione consiste invece nel lasciare riposare la polvere di caffè nell’acqua bollente per almeno cinque minuti prima di filtrarla. Questi due procedimenti d’infusione hanno a che vedere con la pratica casalinga. * Percolazione: una corrente di acqua bollente passa attraverso il caffè macinato. Qui l’acqua progredisce: grazie al proprio peso come nel sistema a filtro o nella “napoletana”, oppure è sospinta da una pressione dovuta al vapore come nella “moka”. * Espresso: è una variante della percolazione, basta sul passaggio di acqua meno calda ma sotto forte pressione, che permette di ottenere un caffè dal sapore concentrato, di forte densità e vellutato, coperto nella sua tazzina da una spessa crema color nocciola.

Giudizio sulla qualità di una tazzina di caffè
* Sapore: generato dalla varietà dei chicchi; può essere acidulo, soave, amaro, fruttato o cioccolatosa. * Corpo: si manifesta con la rotondità del gusto. * Aroma: costituito dalle centinaia di componenti aromatiche che si sviluppano con la torrefazione; può essere fumé, caramellizzato, cioccolatoso, floreale, fruttato, limonato.

Chiacchiere sulle diverse tipologie di caffè
Le piantagioni di caffè nascono e si trasformano nella cintura tropicale. Due sono le principali specie dalle quali derivano tutte le altre. “Coffea Arabica Linné” o Arabica, la più antica, che rappresenta il 70% della produzione mondiale. “Coffae Canephora Pierre” o Robusta, molto diversa dalla precedente, più resistente al caldo e alle malattie, che offre un caffè più corposo e potente ma meno profumato. I grandi caffè sono miscele, dalle formule segrete, con gusti caratteristici che devono raggiungere l’equilibrio ideale tra struttura, acidità e aroma. Questo mondo riserva sogni golosi. Come l’intenditore di vini dedica attenzioni speciali alla scelta del vitigno, l’amatore di caffè sa distinguere un ricco Moka d’Etiopia da un Haiti corposo, un Colombia leggero e profumato da un Santos brasiliano dolce e soave, un Kenia dall’aroma discreto di liquirizia da un Papuasia finemente insaporito al cacao. Il bevitore di “caffè d’origine” è capace di pagare sei volte più del prezzo medio del caffè per una tazza di Blue Mountain giamaicano. Questo, un’Arabica eccezionale, coltivata fino a duemila metri, sulle montagne della Giamaica, deve il suo aroma all’acqua pura e al calore tropicale fresco temperato delle foschie d’altura. Gli adoratori della tazzina di caffè nero sarebbero capaci di tutto per avere il privilegio di degustare il raro Kono delle Hawai, coltivato sulle pendici riparate del vulcano Mauna Loa, o il Malabar indiano dal gusto selvaggio.

Slowfood e il caffè buono pulito e giusto
Creare una rete che coinvolga tutti gli attori della “filiera caffè”, dei Paesi centroamericani e caraibici per facilitare lo scambio e la diffusione delle esperienze, migliorare il tenore di vita dei piccoli produttori di caffè delle comunità rurali di montagna, ridurre la vulnerabilità socio-economica e culturale e rendere sostenibile la coltivazione del caffè: questi gli obiettivi che si pone il programma “Rete regionale per l’appoggio alle associazioni di piccoli produttori di caffè” della Regione Centroamericana e Caraibica, finanziato dal Governo Italiano attraverso la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri e tramite l’Istituto Agronomico per l’Oltremare di Firenze. Un progetto denso di attività al quale la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus partecipa in partnership insieme alla ong toscana Ucodep. Dopo aver selezionato un gruppo comunità di piccoli produttori di caffè nelle zone più vocate dell’America centrale e dei Caraibi, a dicembre 2007 si è tenuto un primo seminario di presentazione del progetto, che ha visto la partecipazione dell’International Coffee Organization (ICO), dell’Associazione Nazionale del Caffè del Guatemala (ANACAFE), dell’Istituto del Caffè del Costa Rica (ICAFE), dell’Istituto del Caffè dell’Honduras (IHCAFE) e del Ministero dello Sviluppo, Industria e Commercio del Nicaragua (MIFIC). Il seminario ha affrontato i temi della produzione di qualità, del mercato del caffè e dello sviluppo locale, ma soprattutto ha fornito una prima occasione di incontro e di contatto tra le diverse comunità di produttori che formeranno la rete di Cafè y Caffè.

Un vademecum per la produzione di caffè di qualità
Ora il progetto è giunto alla sua fase centrale: a marzo è stata organizzata una missione tecnica presso le comunità di produttori di Nicaragua, Honduras, Costa Rica e El Salvador che fanno parte del progetto. Cristiana Peano (Fondazione Slow Food) e Chiara Sgreva (IAO) hanno verificato come molte cooperative portino avanti una produzione eco-sostenibile, che riduce al minimo il consumo di acqua e ottimizza gli scarti di produzione. Nel frattempo, la Fondazione Slow Food sta ultimando un vademecum per la produzione di caffè di qualità: la missione tecnica ha permesso di approfondire le specificità di ciascuna zona di produzione in modo da adattare le indicazioni contenute nel vademecum alle diverse realtà produttive. Il vademecum verrà presentato e discusso insieme ai produttori nel corso del secondo seminario del progetto, previsto a Huehuetenango dall’8 al 12 di aprile: quattro intense giornate di lavoro per discutere di valorizzazione dei cru e delle specificità del territorio, di tecniche di produzione eco-sostenibile e di esempi virtuosi di cooperazione all’interno delle reti.

Accorciare la filiera
Una parte importante del progetto è rivolta alla creazione di nuovi sbocchi commerciali per il caffè delle comunità coinvolte: otto torrefattori di qualità (cinque italiani, due statunitensi e un danese) sono stati invitati in Guatemala per visitare il Presidio del caffè delle terre alte di Huehuetenango. Il gruppo parteciperà alla sessione conclusiva del seminario di aprile e in questo modo avrà la possibilità di conoscere tutti i produttori del progetto e di degustare i diversi caffè. E’ invece prevista una visita più approfondita al Presidio del caffè di Huehuetenango: qui i torrefattori conosceranno l’intero processo produttivo, ma soprattutto, potranno prendere contatti con la comercializadora del Baluarte (l’impresa commerciale del Presidio) e acquistare il caffè di Huehuetenango direttamente dai produttori. Sempre nell’ottica accorciare la filiera del caffè, Manrique Lopez Castillo, referente del Presidio guatemalteco, a maggio si recherà negli Sati Uniti per incontrare alcuni torrefattori californiani particolarmente attenti alla provenienza e alla qualità del caffè e parteciperà alla fiera annuale della Specialty Coffee Association of American, il principale evento statunitense dedicato al caffè di qualità.

I brani musicali
Sammy Davis Jr - Candyman
Fiorella Mannoia - Caffe nero bollente
Alex Britti - 7000 caffè
Neri per Caso - 7000 Caffè
Gino Paoli - In un caffè

 
 

Lins utili:
www.lacucinadiqb.com

 
 

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