La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio

Piccolo excursus nel mondo del linguaggio

23 Marzo 2011

di Barbara Barbieri

A scuola ci insegnavano che l’uomo si distingue dall’animale poiché gli è stata donata la parola, strumento alato e terreno allo stesso tempo, veicolo affascinante di una potenza enorme.

Incredibile pensare a quanto un mucchio di segni assemblati in modo più o meno arbitrario possa creare il linguaggio, quel che ci permette di dare un nome agli input che i nostri sensi ci trasmettono.
Ma l’essere umano, quando ha qualcosa di potente tra le mani, raramente è capace di gestirlo nel migliore dei modi, anzi tende a sfruttarlo fino a stravolgerlo.
Poteva la parola avere sorte diversa?
Indubbiamente no. Non è un caso, infatti, che il potere e la prepotenza si nutrano di arte retorica, modellando il linguaggio come fosse un manichino che periodicamente cambia forma.

Gianrico Carofiglio si cala nel ruolo dell’avvocato difensore delle parole per far capire quanto sia impellente la necessità di conoscerne quantitativamente e qualitativamente il più possibile.
Ci ricorda che questa necessità è prima di tutto civile dal momento che: “Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità.
Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica”.
Non bisognerebbe mai dimenticarsene.

Nella prima parte di questo libro lo scrittore focalizza la sua attenzione di filologo sul recupero della conoscenza di cinque parole ben precise (vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta), dimostrando attraverso un’acuta indagine che comincia nel mondo letterario per poi sconfinare in quello etico e sociale, come ognuna di esse sia strettamente legata alle altre.

La seconda parte, invece, tratta un argomento molto interessante e probabilmente poco visitato: il linguaggio giuridico che, anzi che essere codificato in modo da essere semplice e comprensibile, è astruso, una lingua d’elite piena di tecnicismi e arcaismi; eppure le leggi riguardano tutti, dal più al meno colto dei cittadini.

Con uno stile chiaro e dinamico, arricchito da sfiziose citazioni che rimbalzano tra presente e passato (troviamo le parole di Bob Dylan, Primo Levi, Gramsci, Bob Marley, Barack Obama e altri), questo saggio si presenta come l’ottimo e curioso risultato di una divagazione letteraria che, oltre a far senz’altro riflettere, si lascia leggere tutto d’un fiato.

 
 
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