Presentato dal Ministro Balduzzi tra lacune ed inefficacia

Piano nazionale amianto

di Stefania Divertito

17 Aprile 2013

Avezzano, esterno giorno. Il professore di scuola media Giuseppe C. ha deciso di intervenire in prima persona su un tubo ostruito. Prende una mazzetta e inizia a demolirne una parte. Orgoglioso, mostra il risultato. L’amianto sfaldato, spezzato, volatile, non lo spaventa. «Mica sto lì a respirarlo. E poi se avessi chiamato una ditta specializzata, quanto avrei pagato? Mica posso permettermelo? Tanto, fanno tutti così»

È con quesiti di questo tipo che deve vedersela il piano nazionale amianto presentato qualche giorno fa a Casale Monferrato, l’epicentro della tragedia nazionale dell’amianto, dal ministro della Salute Renato Balduzzi.

Linee di intervento per un’azione coordinata delle amministrazioni statali e territoriali”, si legge nel frontespizio.

Di intervento non c’è molto, nel piccolo dossier scaricabile dal sito del ministero, ma tanti buoni propositi, quelli sì. Insieme a un timing molto risicato che riguarda solo alcuni aspetti di questo problema che ogni anno miete, solo in Italia, almeno 3000 vittime.

Con un picco che ancora deve arrivare ed è previsto per il 2015-2020. Le tonnellate di amianto che ancora ricoprono tetti, tubature, sono inserite nelle intercapedini o sono finite in discariche improvvisate e abusive, sono 32 milioni.

Depositi per inertizzazione, discariche per il corretto smaltimento: assolutamente insufficienti.

Costi per la rimozione legale: troppo elevati, e variabili, di regione in regione.


I registri poco obbligatori

Se all’inizio del ‘900 ad ammalarsi erano soprattutto gli operai, i minatori, i lavoratori che tutti i giorni erano al contatto con la fibra di asbesto, oggi non è più così. A Casale Monferrato sono caduti i giardinieri, i postini, parrucchieri, e così nel resto d’Italia: complice una malattia che ha un’incubazione che può durare anche 30 anni, è spesso molto difficile trovare l’eziologia e capire dove è stato respirato l’amianto killer.

A meno che non ci si trovi di fronte a un lavoratore esposto.

Si chiama mesotelioma pleurico il tumore che ha la firma, il marchio, dell’avvelenamento da amianto. Ma i registri obbligatori che dovrebbero funzionare in ogni regione, a volte sono dei miraggi.
«Il registro nazionale dei mesoteliomi - c’è scritto nel documento del ministero – si struttura come un network ad articolazione regionale. Presso ogni amministrazione regionale è istituito un centro operativo».

Ma ad esempio alcuni operai che lavoravano per una ditta esterna che si occupava della manutenzione degli impianti geotermici a Larderello, colpiti da asbestosi e anche da mesotelioma, non solo non erano stati “registrati” come ammalati di amianto, ma in due casi è stata errata anche la diagnosi. Venivano curati per un’asma bronchiale. Avevano i polmoni pieni di fibre di asbesto. E non è il solo caso: l’Osservatorio nazionale amianto, la più rappresentativa associazione di vittime, con ha una sede quasi in ogni capoluogo di provincia, più volte ha denunciato casi di “diagnosi errate”.

L’avvocato Ezio Bonanni, specializzato proprio in cause di questo tipo è il presidente dell’Ona. Le ultime denunce riguardano i casi di amianto in aviazione.

Proprio qualche giorno fa è morto uno degli associati, Nunzio Pierini, uno dei volti più noti, portavoce del problema nella sua categoria. Non ce l’ha fatta, dopo una lunga malattia: «In molti casi – ci aveva raccontato un paio di mesi fa, quando lo avevamo sentito telefonicamente – il mesotelioma non viene diagnosticato. In alcune categorie lavorative come la mia, non siamo considerati ufficialmente esposti, e quindi si tende a nascondere la reale implicazione della situazione nel suo complesso». Nunzio Pierini è venuto a mancare una settimana fa a Lanciano, ma la sua battaglia verrà portata avanti dai suoi colleghi, e dall’Osservatorio.


Screening? Questo sconosciuto

Il ministero della Salute ha ancora molto da fare sul fronte della raccolta delle informazioni, dello screening e dell’epidemiologia. «Occorre sviluppare la raccolta dati su questi tumori – c’è scritto nel rapporto – e sulla loro possibile origine professionale». In alcuni casi, in verità, bisogna proprio iniziare da zero.

Inoltre in base alle informazioni raccolte proprio presso gli archivi regionali, in molti casi c’è poco scambio di dati tra i Renam e le banche dati dell’Inail, dell’Istat e dell’Inps. Un altro problema che rende difficile, in alcuni casi impossibile, capire fino in fondo l’entità del problema. I medici hanno l’obbligo di segnalare ai registri regionali ogni nuova diagnosi di mesotelioma. Ma, come abbiamo visto, non accade sempre.


Regioni a due velocità

Le regioni dovrebbero anche aiutare la sorveglianza sanitaria degli esposti ad amianto per formare un archivio epidemiologico. Ma basta scendere verso Sud, in Italia, e si entra nel buco nero dell’informazione in merito. È lo stesso ministero a prendere atto dei limiti: «Sulla mappatura – c’è scritto – c’è ancora molto da fare, come testimoniano le numerose criticità riscontrare. Tra l’altro, le informazioni fornite dalle regioni non sono omogenee e sono in larga misura carenti i dati sulle industrie, sulle scuole e sugli ospedali. Inoltre la partecipazione della popolazione spesso non ha corrisposto alle attese e alle richieste di informazioni da parte dell’ente pubblico».

Con queste premesse, difficile ipotizzare la riuscita del piano che tra l’altro deve rosicchiare fondi per il suo funzionamento a quelli a disposizione per i tumori rari.

Sembra una guerra tra poveri.


Bonifiche cercansi

Se dalla prevenzione ci spostiamo alla bonifica, il quadro diventa ancora più problematico: il ministero ha mappato 34 mila siti che contengono amianto. In 19 regioni. Vuol dire che due regioni non hanno fornito dati, e sono Sicilia e Calabria. Dal governo si ipotizza un sistema incentivante, dei premi su chi fornisce dati: il tutto per favorire la trasmissione di informazioni che dovrebbero già essere obbligatorie per legge.

Ma si sa che in Italia, il termine “obbligatorio” spesso si accompagna al condizionale.

Eppure il ministero è ottimista: in 3-5 anni, promette, saranno bonificati gli edifici scolastici. «Il reperimento delle risorse finanziarie – si ipotizza nel Piano – può essere coadiuvato da interventi di defiscalizzazione delle attività di bonifica. Ad esempio, il sistema incentivante per la sostituzione delle coperture con pannelli fotovoltaici ha già dato ottimi risultati in quelle regioni che lo hanno praticato. È anche da prevedere l’esclusione dei fondi destinati alla bonifica dell’amianto dal “Patto di stabilità”.


I 500 buchi neri

Ci sono ben 500 luoghi di allarme sociale dove cioè è urgente la bonifica, dove non si sa dove infilare l’amianto tirato giù dai tetti, dal cemento, pescato nelle discariche abusive. Cave e miniere dismesse, scrive il ministero, potrebbero essere luoghi da tramutare in discariche, ma l’opposizione dei residenti è in agguato e poi servirebbe una modifica legislativa.


La giungla legislativa

Nel frattempo, è arrivata in Italia una ditta francese che propone l’inertizzazione del minerale: lo trasforma in una sorta di vetro, rendendolo non solo innocuo, ma anche utile per massetti stradali, pavimentazioni, muri di cinta. Insomma, da un minerale tossico potrebbe uscirne uno utile. Con costi ridotti, anche ambientali, soprattutto rispetto all’ipotesi discarica.

Per spingere verso soluzioni del genere però servirebbe, oltre alla volontà politica, anche una modifica legislativa: significa mettere mano a un ginepraio di norme, leggi e lacciuoli che coinvolgano anche gli enti locali. Allo stato attuale, sono almeno 100 i testi legislativi che coabitano nel nostro sistema, spesso cozzando l’uno contro l’altro. Il ministro Balduzzi ha promesso di redigere un testo unico..

Ma anche qui, si tratta di una promessa fuori tempo massimo: l’ennesima in un testo che non ha valore di legge, fatta dal ministro uscente, in un governo sfiduciato.

 
 

L'autrice:

Stefania Divertito: Nata a Napoli, 38 anni, svezzata e cresciuta nei vicoli della periferia orientale.
Da 13 anni lavoro come cronista e redattrice al quotidiano Metro, mi sono via via specializzata in tematiche ambientali. Nel 2004 ho vinto il premio Cronista dell’anno assegnato dall’Unione cronisti italiani per l’inchiesta, che allora durava da 4 anni ma che prosegue ancora, sull’uranio impoverito. Da essa è nato un libro: “Uranio il nemico invisibile”, (Infinito edizioni).
Inquinamento e denuncia sociale, il binomio che mi manda in visibilio. Mi sono occupata di amianto nel saggio “Amianto, storia di un serial killer” (2009, edizioni Ambiente) dove ho sperimentato il linguaggio della narrazione unita all’inchiesta giornalistica. Su questo filone ho scritto “Toghe Verdi” (2011,Edizioni Ambiente) che racconta delle battaglie giudiziarie e di resistenza civile dei territori di storie che vanno dalla centrale a carbone di Porto Tolle, all’acciaieria di Trento, allaTav del Mugello, a Malagrotta.
Ho collaborato con Vanity Fair, l’Espresso, Linkiesta.it
A marzo 2013 ho vinto il premio Pasolini città di Roma per il giornalismo, proprio per le inchieste ambientali su Metro.

Leggi l'abstract della rubrica settimanale Storia di veleni

L'articolo è tratto da GlobalProject.info

 
 
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