La cucina di QB del 22 Maggio 2011

In vino veritas: storia del vino

25 Maggio 2011

22a puntata

Confesso la mia inadeguatezza in fatto di vino. Per me esistono due macrocategorie: mi piace e non mi piace. Poi c’è l’ulteriore diversificazione in bianco e nero e per quanto riguarda il bianco, fermo o con bollicine, una mia grande passione. Per fortuna oggi abbiamo con noi un vero esperto, Gil. Salve e benvenuti nella mia cucina. 

Taccuini Storici ci svela che per i Greci Dioniso, per i Romani Bacco, era il dio del vino e dell’estasi. 
 Secondo la versione più diffusa del mito, Dioniso era nato dall’unione di Zeus con Semele, figlia di Cadmo, re di Tebe. Zeus per avvicinare la donna, che era mortale, le aveva nascosto il suo vero aspetto, ma Semele, istigata dalla gelosa Era, gli chiese di poterlo ammirare nella sua forma di dio del cielo, ed essendogli Zeus comparso con la folgore, restò incenerita. Zeus allora salvò dal suo corpo il piccolo Dioniso e lo cucì nella propria coscia per portarne a compimento la gestazione; quando il bimbo nacque, lo affidò agli asili nido dell’Olimpo ovvero alle ninfe del monte Nisa affinché lo allevassero. Cresciuto nella solitudine dei boschi, educato da Sileno, Dioniso così per gioco piantò la vite, inebriandosi dell’ “umòr che da essa cola”. 
 "Il giovanotto con la bella capigliatura azzurra ondeggiante e un mantello scuro sopra le forti spalle" (inno omerico), insegnò agli uomini la viticoltura percorrendo il mondo su un carro trainato da pantere (simbolo d'irrazionalità) con al seguito un corteo di musici, danzatrici e divinità minori, che quando si tratta di festeggiare non mancano mai. 
 Il suo nome presso i romani divenne appunto Bacco “colui che strepita”, per via del rumore e delle grida che facevano i suoi seguaci e le baccanti, le graziose sacerdotesse del dio che bevevano vino e mangiavano foglie di edera, cui era attribuita la proprietà di ispirare frenesia. Si abbandonavano discinte e urlanti a danze frenetiche e questo rituale includeva anche la possibilità di sbranare e mangiare animali vivi. Nel mondo latino le orge dei baccanali diedero luogo ad eccessi di ogni tipo che ne decretarono la proibizione nel 186 a.C. 
 Poi in epoca imperiale il culto venne rilanciato clamorosamente sempre per il fatto che di far festa non ci si stanca mai. 
Durante il Medioevo una trasposizione della ritualità in onore di Bacco avvenne nei banchetti delle streghe, i famosi Sabba che si celebrano tutt’ora il 31 ottobre, il 30 aprile e altre 4 festività pagane assorbite nel cristianesimo. Ma davvero non ci siete mai stati? 

Per i Romani il vino non ricalcava la tradizione dell'invasamento religioso tipica della cultura greca (simposio) dove colui che beveva era posseduto dal vino e dalle divinità (Eros, Dionisio o le Muse). Nel banchetto romano si presentava simultaneamente la carne ed il vino, identificando quest'ultimo come una bevanda e non una droga. 
 Nella Roma delle origini, il vino rappresentava se non una rarità, almeno un lusso. Berlo era considerato un privilegio dei capi famiglia e dei maschi adulti, sottoposto a concessione per le mogli e precluso alle donne nubili. 
 Il vino costava troppo, bisognava centellinarlo, e perciò si allungava mescolandolo (da qui “mescere”) con acqua calda in capienti coppe. Puro si consumava solamente come medicina e per i pranzi votivi. 
Quando Roma, a seguito delle conquiste territoriali, incrementò il volume degli scambi l’umanità più diversa iniziò a rifocillarsi di vino nelle taverne che si aprivano nelle strade delle città. Il vino veniva servito caldo, accompagnato da cibi che, già pronti, potevano essere mangiati con facilità. Una ostentazione di ricchezza era invece, bere il vino raffreddato facendolo passare attraverso la neve. Il lungo invecchiamento era considerato irrinunciabile per i vini destinati alle mense importanti, come testimonia  Petronio, nella cena di Trimalcione, citando un Falerno vecchio di cento anni. 
 A Plinio, autore tra l’altro della prima guida di vini italiani ed esteri, si attribuisce la paternità del celeberrimo detto “in vino veritas”, riferito sia alle virtù medianiche conferite dall’ebbrezza, che alle facilità di parola generata da una bevuta. 
 Furono i militari romani, tra i migliori estimatori del vino, ad esportare la coltivazione della vite in Europa settentrionale. Nel kit del bravo soldato, infatti, erano presenti anche una vite ed una piantina di ulivo che dovevano essere piantate nelle terre conquistate. Questo avveniva prima liberamente poi seguendo precise regole dettate dagli imperatori dando vita alle aree oggi famose e rinomate come Bordeaux, Borgogna, Loira e Champagne. 

Si chiacchiera sul vino e devi parlarne tu perché io non ne so nulla! 

Oggi è difficile farsi un'idea del sapore del vino di allora. 
 Gli haustores, i sommeliers dell'epoca, classificavano i vini in un'infinità di modi (dolce, soave, nobile, prezioso, molle, delicato, ecc.), dimostrando così di avere un palato sensibilissimo. Il vino si mesceva in coppe larghe e quasi piatte. Prima di iniziare un banchetto, vi era l'uso di eleggere, sorteggiandolo ai dadi, un "magister bibendi". Costui, che doveva astenersi dalla bevanda, aveva il compito di stabilire quante parti di acqua, calda o fredda, vi si mescolavano. 
 Le diluizioni preferite, dopo aver scartato quella metà acqua e metà vino, giudicata pericolosa, erano quelle chiamate “a cinque e tre”. La proporzione a cinque era formata da tre quarti d’acqua e due di vino; quella a tre, invece, da due parti d’acqua per una di vino. 
 All'inizio si servivano i vini migliori come il Falerno “rosso cupo”, mentre man mano che il convivio procedeva, si mettevano in tavola quelli sempre più scadenti. Molti predicavano, come Plinio, che il vino doveva essere puro, ma i “raffinati” della tavola, usavano misture d’ogni tipo. La più comune era quella fatta con l’aggiunta di miele, al fine di ottenere il vinum mulsum ritenuto assai prelibato. Altre misture erano realizzate con pece, resine, profumi femminili, acqua marina e addirittura cloruro di sodio o gesso. 
Durante la giornata ogni scusa era buona per bere un buon bicchiere di vino. Si brindava alla salute di un amico, di una persona importante o della donna amata e in questo caso si bevevano tante coppe, quante erano le lettere che ne componevano il nome. 

Siamo tutte sommelier, articolo de Il corriere del Veneto, 8 maggio 2011
Il vino diventa cultura, boom di partecipanti ai corsi. 
 Aumentano sempre di più i giovani e le donne 

Boom di donne ai corsi per sommelier (archivio) 

Chiamateli enofili, enonauti, enoappassionati, enoturisti, discepoli di Bacco. Comunque li vogliate definire nell’ultimo quinquennio il loro volto e il loro numero è cambiato. Basta varcare la soglia di un corso per sommelier o di una serata di degustazione per accorgersi che l’età si è abbassata in maniera importante e che le donne da queste parti non hanno bisogno di quote rosa. Parola di Dino Marchi, presidente Ais Veneto (Associazione Italiana Sommelier) che racconta, con entusiasmo e un pizzico d’incredulità, la febbre del vino che negli ultimi ha contagiato un pubblico sempre più ampio. Se la curiosità per il mondo enologico è ormai un dato assodato, quello che non smette di stupire è la presenza nei corsi, un tempo appannaggio dei professionisti, di una percentuale di semplici amatori che sfiora il settanta per cento. Termini come affinamento, verticale, retrogusto e barrique hanno travalicato le pareti di  cantine e ristoranti e sono entrati a far parte del linguaggio comune. Crescono le adesioni agli eventi nei wine-bar, la consultazione di siti, blog e social network dedicati, l’acquisto di guide e riviste, i viaggi e i tour nei territori vocati, le visite alle fiere di settore. I partecipanti sono giovani, donne, single, ma anche coppie unite dalla passione per bianchi, rossi e bollicine. «Oggi nei nostri corsi i giovani sono diventati la maggioranza - racconta Marchi - l’età media oscilla tra i 25 e i 40 anni, mentre fino a qualche anno fa gli appassionati non professionisti sfioravano l’età pensionabile o comunque un’età matura. Dietro a tutto questo c’è indubbiamente un cambiamento di concezione importante. Molti dei nostri seminari sono frequentati da persone che sono alla ricerca di una carta in più da giocare nei diversi ambiti della propria vita, non ultimo quello professionale. Saper parlare di vino, entrare nella cultura enologica risulta molto utile per il proprio business, visto che molti affari si concludono proprio davanti a un calice di vino. Altri ne fanno uno strumento di seduzione e incontrano in quest’ambito la propria anima gemella o un allegro gruppo di amici». Gli iscritti Ais nella nostra regione sono circa 3.200, di cui ben 1.400 con un’età compresa tra i 20 e i 30 anni. Il dato più interessante è quello relativo agli iscritti che negli ultimi cinque anni ha subito un incremento del cinquanta per cento, con una percentuale di semplici amatori sempre più alta. Le donne che partecipano ai corsi Ais sono circa il trentacinque per cento delle presenze, con un numero di iscritte pari a novecento. Alcune sono semplici appassionate, altre si avviano a una professione che fino a qualche tempo fa era prerogativa esclusiva del mondo maschile. «Sono donne curiose, che mettono molta tenacia nell’imparare, che vogliono completare la propria conoscenza del vino, desiderano ordinare da sole al ristorante o abbinare in maniera perfetta piatti e bevande - continua Marchi - hanno grandi doti come sommelier e sanno riconoscere le tante delicatezze proposte dall’esame olfattivo ». Gli enoappassionati stanno modificando anche i trend relativi al mercato dell’oggettistica del vino. Secondo una recente indagine effettuata per Vinitaly 2011 i «wine-lover » spendono in attrezzatura cifre che vanno da un minimo di centocinquanta fino a svariate migliaia di euro. Il cambiamento investe insomma anche lo shopping: ai corsi è facile sentire parlare di ricercati cavatappi vintage, bicchieri e calici, salva goccia e preziose cantine climatizzate. Il lato negativo di tanta diffusa passione è da ricercarsi nella superbia di alcuni giudizi e nel diffondersi di eccessivi tecnicismi come evidenzia la divertente satira del sommelier interpretata dal comico Antonio Albanese. «A tratti alcuni comportamenti sono diventati caricatura, molto lontana dalla realtà del vino - conclude Marchi - noi cerchiamo di insistere molto sulla modestia e sulla necessità di dosare con sapienza i giudizi, ricordandosi che il vino è anche divertimento e che l’appassionato dovrebbe sorridere davanti a un calice». 

E la ricetta? Io pensavo di cedere la cucina a Gil per una sangria da mucho gusto!

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Link utili:
lacucinadiqb.com

 
 

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