Elektro Guzzi live report

1 giugno 2013 - Summer Student Festival, Padova

8 Giugno 2013
 - Prefe

Sabato sera, mentre decine di migliaia di persone assaltavano Padova per vedere Bruce Springsteen all’Euganeo (o, nel peggiore dei casi, Tony Humphries a Villa Barbieri) una monovolume targata Austria procedeva a passo d’uomo fra i fan in coda cercando di raggiungere il Summer Student Festival.

Al suo interno gli Elektro Guzzi, band partita dall’Austria per sfidare il Boss in questa lotta impari sotto la tradizionale pioggia gelida del maggio patavino, mentre uno sparuto gruppo di loro stalker (di cui mi fregio di esser parte) li attendeva con trepidazione.

Gli Elektro Guzzi sono in tre (mi sentirei di azzardare “3+1”, visto che il fonico si allarga un po’ rispetto alla media dei suoi colleghi) e suonano, semplicemente, della ottima techno con un basso una batteria e una chitarra. Come se fosse normale. Il loro palco è scarno, niente console, nessun computer, vinile, sequencer, drum machine, sintetizzatore… nulla che possa fare pensare che loro saranno il dj della serata. E invece, ciò che siamo abituati a sentire eseguire da dei macchinari qui entra nella dimensione di una band con tanta naturalezza che viene piuttosto spontaneo chiedersi com’è che non lo fanno tutte le discoteche del mondo.

Sul palco saltano subito all’occhio le tonnellate di effetti a pedale dall’aria estremamente ricercata in dotazione al bassista e al chitarrista, mentre la batteria è ridotta all’osso, denudata di ogni tom e del timpano, e con un parco piatti piuttosto ristretto. La cura per il suono è (tanto nel complesso quanto per i singoli) maniacale, e non potrebbe essere altrimenti dato il genere che il gruppo intende suonare: un tripudio di effetti non meglio identificati ora trasformano il basso in un sintetizzatore, ora rendono incomprensibile il legame fra le mani del chitarrista e il suono che questo produce; la stessa batteria è effettata oltre il pensabile, con delay che si rincorrono da una cassa all’altra dell’impianto trasformando un colpo di bacchetta sul bordo del rullante in una sinfonia percussiva di alcuni secondi di durata. Tutta questa sovrabbondanza di effetti (analogici, a occhio e croce) sulle prime note del soundcheck sembra decisamente eccessiva, ma una volta che la band suona a regime tutto si incastra perfettamente.

Lo show comincia presto (suonano in apertura di Heatsick), la pioggia, che sino a quel momento non si è fatta vedere, accorre al primo batter di cassa per non perdersi il concerto, mentre il pubblico è intento a affollare i bar situati a una distanza siderale dal palco. Va da sé, la sensazione sulle prime note del concerto per noi dodici spettatori che ci accalchiamo sulle transenne oscilla fra lo sconforto e lo stupore per cotanta indifferenza, ed è lecito temere il flop totale.

Questo timore, per fortuna, svanisce in pochi minuti: il gruppo sembra non curarsi della situazione poco promettente, comincia con il suo martellare ipnotico e durante le prime canzoni la gente accorre felice alla base del palco, per rimanerci sino all’ultima nota ballando e incassando una tenue e fastidiosa pioggia continua, pretendendo infine un sostanzioso bis.

Un piccolo sondaggio autocondotto origliando a destra e a manca svela che il gradimento per la band è trasversale, e unisce chi generalmente è abituato a capelli lunghi e chitarre elettriche distorte e chi preferisce visual e dj ai piatti. La loro scaletta non prevede nessuna pausa, le canzoni sono fra loro mixate, con il passaggio fra un brano e l’altro che ripropone all’orecchio tutte le caratteristiche del classico cambio di disco di un Dj.

I tre musicisti, oltre a rivelarsi personaggi squisiti e straordinariamente disponibili al di fuori del palco, si dimostrano molto caratteristici durante la performance: il bassista (Jakob) ha tutta l’aria di essere un robot, sia dal punto di vista tecnico che da quello emotivo, sembra che abbia la funzione risparmio energetico attivata, muove impercettibilmente le dita, si sposta raramente, credo di poter dire che non sbatte le ciglia, non lascia trasparire nulla di simile a quelle cose che noi umani chiamiamo emozioni ed è di una precisione e ossessività disarmante.
Il batterista (Bernhard), suona per la quasi totalità del concerto con gli occhi chiusi, in una sorta di estasi della cassa dritta (sospetto che anche passeggiando cammini in quattro quarti), dimostrando come spesso il ritmo efficace è dato dalla sottrazione più che dall’aggiunta; nei passaggi fra un brano e l’altro armeggia con un mixer posato al suo fianco, che sortisce pesanti effetti sul suono del suo strumento. Il chitarrista (Bernhard anch’esso) è l’estroso: ha un aspetto più alternativo dei suoi colleghi (piuttosto precisini), un approccio meno matematico allo strumento, di tanto in tanto balla scompostamente e riesce a tirare fuori dalla sua chitarra dei suoni che ti colgono davvero di sorpresa; anche perché una chitarra tradizionale in quella musica non si saprebbe proprio dove infilarla.

Nessuno dei tre si cura particolarmente del pubblico, non pronunciano una sillaba per tutta l’esibizione, guardano di rado aldilà del confine del palco e danno l’idea di essere completamente assorbiti dal loro stesso groove; di tanto in tanto incrociano gli sguardi per coordinarsi nei passaggi, mentre molleggiano il capo al ritmo dei loro circa 125 Bpm; ma tralasciando queste piccole debolezze terrene danno l’idea di essere degli automi. E lo dico in senso positivo. 

Va da sé che il punto di forza di questa formazione rischia di essere anche il tallone D’Achille, poiché inevitabilmente (almeno in paesi poco inclini alle novità musicali tipo… che so… il nostro) in fase organizzativa deve affrontare diffidenze sia da chi è abituato a organizzare live ( “ma noi non facciamo musica da discoteca!”) sia da chi è abituato a fare serate con Dj (“cosa significa una batteria?”).

Per il momento, diffidenza o meno, pare che se la cavino comunque piuttosto bene, e infatti mentre scrivo stanno volando verso il Giappone, per suonare a Tokyo, Kyoto ed Osaka. Saranno inoltre al Sonar a Barcellona quest’anno, come già successo in passato, e hanno in bacheca un EBBA, vinto nel 2012. Se sapete che suonano dalle vostre parti, intese come un area corrispondente a un cerchio di raggio di 400 km con voi al centro, andate a vederli.

Alla fine della loro esibizione sale sul palco a chiudere il festival Heatsick, artista Berlinese che propone uno spettacolo che definirei electro-lo-fi, armato di una sola tastiera Casio (che credo abbia avuto modo di vedere la guerra delle Falkland, forse combattendola in prima linea), di cui non sarà fatto un report in questa sede.
Spiace solo constatare che a fronte di lineup così ghiotte in un festival gratuito, ben riuscito (anche se la pioggia lo ha funestato) e in un ambiente suggestivo, a mezzanotte del weekend bisogna ridursi in totale assenza di musica altrimenti i vicini rompono le palle.

 
 

Links utili:


www.elektroguzzi.net
soundcloud.com/Heatsick



Credits foto
:
marcopasqualotto.it

 
 
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