Affetti Speciali

“Questo film parla della sofferenza per le perdite”. Pablo Giorgelli

15 Ottobre 2013

C’è da noi un cinema invisibile anche se di qualità, premiato in rassegne prestigiose, ottimamente recensito ovunque. E' il caso di Las Acacias, dell'argentino Pablo Giorgelli, cui è stata conferita la Caméra d’Or (premio per la migliore opera prima) al festival di Cannes 2011. Proposto in ritardo e in pochissime copie, in pochissime sale, per pochissimi giorni, è un limpido esempio della sudditanza della nostra distribuzione cinematografica alla logica del profitto. La stessa in grado di propinare centinaia di copie per paccottiglia senza valore - ma corredata da megastar ed effetti sempre più speciali, magari in 3D - le cui garanzie di incasso sono certe tanto quanto l’inutilità del prodotto. Qualcuno riesce ad aggirare il tritarifiuti, come il recente Lo sconosciuto del lago del francese Guiraudie, forse perché preceduto da una solida (e ingiustificata) fama di film scandalo. Altri, come questo, beato chi riesce a prenderli per la coda, magari in qualche piccola sala che una volta si chiamava d’essai e che ora rischia l’estinzione per gli stessi motivi più sopra sinteticamente esposti: argomento che meriterebbe uno spazio a sé, vedremo in un futuro prossimo.

Come il film francese anche questo argentino è girato a bassissimo costo e proposto in lingua originale sottotitolata in tutto il mondo oltre che a noi colonizzati: il che, oltre a restituire identità alla pellicola, consente di risparmiare anche un po’di quattrini. La trama è di una semplicità estrema: Rubén, camionista argentino non più giovanissimo, trasporta un pesante carico di tronchi d’acacia dal Paraguay verso l’Argentina e accetta di dare un passaggio a una giovane donna paraguaiana, Jacinta. Quando questa sta per salire nell’abitacolo Rubén si accorge che regge al collo Anahì, la sua bambina di cinque mesi. Anche se la cosa non sembra piacergli, le farà scendere davanti la casa di loro parenti, alla periferia di Buenos Aires, dopo aver guidato attraverso 1.500 km di strade polverose. Ma non è un road movie.

Giorgelli, che è anche autore della sceneggiatura assieme a Salvador Rosselli e si avvale dell’aiuto della moglie Maria quale responsabile del montaggio, ha trascorso cinque anni su questo progetto, slittando in questa direzione, mentre stava lavorando a un’altra sceneggiatura, anche in ragione di una grave malattia che aveva colpito suo padre. Dalle pochissime battute consegnate ai protagonisti si intuisce poco alla volta che la vicenda nasce dal dolore che si prova di fronte alla perdita di una persona cara, dalla solitudine che ne deriva, frutto di autoreclusione. Alla fine dei soli 85 minuti che costituiscono la durata del film si realizza che ognuno di noi porta in sé la possibilità di rinascere, di ricostruire la propria esistenza. Partendo da un periodo di isolamento e sofferenza muta è possibile approdare a un’altra epoca, a un’altra terra, a un altro orizzonte. E’ importante, è decisivo cogliere l’attimo, il momento in cui risolvere il conflitto con noi stessi, in cui vincere le difficoltà che si incontrano nel comunicare con l’altro. I tronchi di acacia hanno la corteccia dura e sono ricoperti di spine, ma dentro scorre la linfa: Las Acacias è un viaggio interiore.

Dimostra coraggio e sprezzo del pericolo l’autore rinchiudendo quasi tutto il suo film dentro l’abitacolo di un vecchio camion Scania, inglobando anche noi al suo interno, facendoci guardare strade e aree di sosta che rimandano una realtà fuori dal tempo attraverso il gioco degli specchi retrovisori, i protagonisti ritratti costantemente in campo e contro-campo da una camera che subisce le vibrazioni del mezzo. Vincendo la sfida contro un possibile effetto claustrofobico inserisce tra l’uomo e la donna questa straordinaria bambina dagli occhi grandi e scuri che si limita a fare tutto quello che fanno le creature della sua età: mangia, sbadiglia, dorme, ha fame, piange, urla che le si cambi il pannolino. Eppure è lei il fulcro della vicenda, è lei che provoca il cortocircuito. Perché i protagonisti non parlano quasi, comunicano attraverso lo sguardo, l’espressione del volto: è Anahì a rompere potentemente le difese, ad abbattere gli steccati.

Come nel film di Guiraudie non c’è musica e allo stesso modo alla banda sonora è dedicata la massima attenzione attraverso una meticolosa selezione e valorizzazione dei suoni addizionali naturali, puntando sulla centralità del rumore del motore del camion: una sorta di mantra che pervade tutta la durata della proiezione, arrivando a creare un impalpabile effetto ipnotico. E’ un espediente che ci aiuta a decifrare la moltitudine di sentimenti, di stati d’animo che si sovrappongono, il passato dei protagonisti che in controluce affiora pur senza che loro quasi ne parlino. A ricordarci che difficile mestiere sono gli affetti.

 
 

Marco Rigamo

Links utili:
www.lesacacias-lefilm.com

 
 
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