Il Don Giovanni di e con Filippo Timi

La recensione dello spettacolo in scena dal 22 al 26 gennaio a Mestre

23 Gennaio 2014

Il Don Giovanni 
Vivere è un abuso, mai un diritto

Teatro Toniolo
dal 22 al 26 Gennaio 2014

di e con Filippo Timi

e con Umberto Petranca, Alexandre Styker, Marina Rocco, Elena Lietti, Lucia Mascino, Roberto Laureri Matteo De Blasio, Fulvio Accogli
regia e scena Filippo Timi
regista Assistente Fabio Cherstich
luci Gigi Saccomandi
suono Beppe Pellicciari
costumi Fabio Zambernardi
in collaborazione con Lawrence Steele

produzione Teatro Franco Parenti, Teatro Stabile dell'Umbria

"Don Giovanni - Vivere è un abuso, mai un diritto" è uno spettacolo scritto e diretto dal cetriolo di Filippo Timi, interpretato dallo stesso Filippo Timi e da un bel manipolo di bravi attori, tra cui svettano di sicuro Umberto Petranca (il valletto Leporello) e Marina Rocco (la contadinella Zerlina).

Ho scritto “cetriolo” invece di “cazzo” per non essere osceno. Però non ci faccio bella figura davanti al Balbo (nessuna offesa, è uno degli autori di punta del teatro italiano ed è dotato di straordinario humour nero), perché lui è proprio l'oscenità che mette in scena per tre ore e quindici minuti: solo orgogliosa, esibita oscenità. Tutto quel che normalmente dovrebbe starsene buono buonino lontano dal palcoscenico e dagli occhi impellicciati degli spettatori qui diviene sigillo, segno, totem e alzabandiera: pere, cacate arcigne e spigolose, membri maschili, lunghe pomiciate gay, bestemmie, volgarità, bassezze. Qui si vede tutto. Benvenuti al freak show dell'infimo.

Mi spiego: è come se tutto quello su cui il Balbo ha posato occhio orecchio e intelletto nella sua vita, da Kubrick a Youtube, dall'Andrea Chenier di Umberto Giordano alla sigla di Casa Vianello, da Molière a Mila Hazuki, sia stato per anni immagazzinato sotto l'ombelico, e poi risputato fuori in forma di opera postmoderna-kistch-debordante-logorroica, sprezzante del pudore e della sintesi. Si ride davvero tanto, se non avete freni etici a tapparvi il culo, eppure siamo di fronte ad uno spettacolo solipsistico, autistico, il grido di gioia e di morte di un uccello eterno bambino.

Siamo nella testa di Peter Pan mentre si masturba, un momento prima che quella piccola morte che è l'orgasmo esploda e se lo porti via. Noi non dovremmo poter ascoltare e vedere le parole e le immagini partorite da un pene in quel momento. Anche perché dai peni non si partorisce, secondo me. Però è così, ma l'imbarazzo non è comunque molto: più di una volta il Balbo, a furia di sparare col mitra, sbaglia mira e le sue provocazioni non disturbano più di tanto la pubblica quiete. Siamo nel 2014, se mi parti scrivendo a caratteri cubitali Mo' te faccio er cucchiaio delle punzecchiature, al minuto 40 per farmici cascare tu devi fornicare per davvero sul palco, lanciare seme di scimmia sugli spettatori, altrimenti sorrido e faccio spallucce. Io. Due signore, invece, al primo pendulo ignudo e saltellante di giovane virgulto se ne sono andate con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così di chi si è ricordata come è fatto un cazzo.

Cos'altro? Ah sì, la trama: non c'è; lo spettacolo dura tantissimo e la narrativa non c'è, ed è giusto così, ché la narrativa riguarda le zone alte del corpo e qui, come detto, sono altre zone, sempre determinanti ma spesso mute, a chiacchierare briosamente, ubriache di amplessi e di cupio dissolvi. Ma ci sono costumi mai visti, uno spettacolo nello spettacolo, una irresistibile gazzarra glam, ad opera di un genio di nome Fabio Zambernardi (merita la citazione, coadiuvato dallo stilista Lawrence Steele) e frastornante è anche il disegno luci di Gigi Saccomandi. Veramente, durasse la metà sarebbe è così divertente e friccicarello che andrebbe imposto a tutte le scuole elementari e medie parificate "Cuore sanguinante di Gesù deposto male", ma in mezzo a tanto sfarzo osceno c'è ovviamente un mucchio di letame di troppo, e quando alla fine Don Giovanni comprende di essere solo una “pozzanghera di piscio da condannato a morte” non puoi che convenire con uno strameritato sticazzi.
Anche perché pensi che C.B., nel 1970, un Don Giovanni l'aveva fatto durare 75 minuti e in una frase aveva già detto tutto quel che c'era da dire: “"Don Giovanni è arte fatta a pezzi, musica a brani. Don Giovanni è un trattato sulla morte, sulla putrefazione dei morti ancora viventi."

 
 
loading... loading...