Hai paura del buio? Afterhours live report

Venerdì 21 Marzo - Estragon - Bologna

24 Marzo 2014
 - Momo

Questa storia termina il 21 marzo 2014. Gli Afterhours salgono sul palco fortemente acclamati da un caldissimo Estragon, fanno un lungo show e scendono dal palco.

Tutto finito? Non sembra. L’emivita del farmaco Hai paura del buio? è piuttosto lunga, come l’attesa del pubblico in sala che, tra una nota di musica classica e il vociare, fischia e urla ad ogni movimento su quel palco del quale sono al fianco, vicino a una scaletta dalla quale sbirciare, privilegiato, tutto quello spettacolo.

Il serpentone umano lì fuori non accenna a diminuire, al contrario della capienza di un Estragon che, come in pochissime occasioni, appare allo stesso tempo troppo piccolo e troppo grande per quel popolo pronto ad abitarlo per poche ore.

Si apre la porta del backstage e tre degli attori protagonisti entrano rapidamente verso la zona dei camerini, non faccio a tempo a riprendermi dall’abbraccio di Emidio Clementi che, evidentemente, non si è fatto sfuggire un evento così atteso quando, frettolosamente, giungono le 22:35 e davanti a noi, allineati al muro delle stanze dei bottoni dell’Estragon per non disturbare, salgono sul palco loro, co-protagonisti delle loro canzoni.

Credo di aver intravisto lo spettro di un Pirandello che, beffandosi di noi che attendiamo schiena al muro un improbabile plotone di esecuzione, ci degna di un Questa sera si recita a soggetto. Già conosciamo parte della trama, un po’ grazie a chi ha visto la data-zero e molto grazie al concept stesso, ma non abbiamo ammesso spoiler a questo banchetto.

I suoni di Hai paura del buio? rompono quel silenzio di là della transenna e il sold out della sala emette lunghe vocali di approvazione. Parte 1.9.9.6. e non c’è un Bennato ad alterarne il testo, quanto un Agnelli in perfetta forma a recitare un testo-simbolo di chi negli anni ’90 ha scelto la sua strada in direzione di una band.

Il suono è grande, grosso e fa un po’ di paura, seppure il buio venga puntualmente squarciato da un impianto-luci mai visto così potente su un palco della band lombarda, e mentre varco il confine delle transenne per iniziare il mio percorso a ostacoli verso il bar opposto mi chiedo se sia in effetti più maestoso e forte quel buio o quella luminosità. La formazione non è la stessa, anche se Iriondo sembra uscito da una macchina del tempo, ma il suono è maestoso, ruvido e potente come quasi 20 anni fa.

C’era motivo per non aspettare il ventennale?
Ci sono cose durate 20 anni che fanno molta più paura (e danni) del buio.

Male di miele dà forti colpi di pettine a tutto il pubblico, le cui urla sembrano non avere un limite apprezzabile da un comune fonometro. Ciò che non sembra essere fonte di timore è la forza della voce di Manuel dal palco, nemmeno nella difficile Rapace. È nella mistura di Elymania che riesco a trovare la lucidità, levigata da un vodka-lemon, di osservare come la band stia eseguendo perfettamente questa specie di “copione”, non come marionette ma con un’ottima attitudine da palco.

Pelle lascia spazio a facce che si scontrano tra le lingue o combinazioni occhichiusi - sguardoalsoffitto - ripresadasmartphone - schermoacceso per chiamate, registrazioni vocali, messaggi che forse non saranno mai inviati, ma a smontare ogni servitù della gleba del pubblico parte una tiratissima Dea. Senza finestra e Simbiosi rallentano e allentano la tensione, preparando il terreno per una Voglio una pelle splendida che, per una volta, non fa la primadonna.

La sensazione è quella di devozione verso un disco. Una certa forma di snobismo latita tra il pubblico per emergere solo nel momento dei “singoloni”, ma anche i più burberi e altezzosi non riescono a fare a meno di cantare. Qualcuno è annoiato dai cori, ma passa subito. La temperatura all’interno dell’Estragon, nel frattempo, sale ancora.

È giunta l’ora di tornare al bar, e lo strumentale dell’inizio di Terrorswing sembra aver invitato non solo me a distogliere solo per un attimo lo sguardo da quel palco - luna park dei sentimenti.

Terminata la coda, Lasciami leccare l’adrenalina riporta l’anarchia tra un pubblico che, fermo solo nella parte di coda, contribuisce ad evocare sotto forma di condensa quella nebbia padana dalla quale non riusciamo a staccarci nemmeno noi.

Punto G e Veleno emozionano e fanno saltare corde vocali, recuperate solo nel momento di parlato per essere poi devolute al vicino di posto in forma detraibile. A placare gli animi una Strichinina di Come Vorrei, prima di Questo pazzo pazzo mondo di tasse che, a dispetto del nome, non sembra agitare gli animi di una zona che qualche bluff da web vorrebbe “eletta” nell’immaginario collettivo.

Anche Musicista contabile permette all’acido lattico di smettere di rubare la scena al divertimento, ma la guardia è alta, quasi come la potenza di Sui giovani d’oggi ci scatarro su e le parole sussurrate di Mi trovo nuovo di un pubblico che teme l’avvicinarsi della fine.

È il momento di un break, ma nessuno vuole credere che un disco che continua a parlare conduca a una conclusione così vicina.

Un cambio d’abiti rapido, ma che sembra lunghissimo, e gli Afterhours risalgono sul palco vestiti da donne, ciò che però portano è una grandissima ondata di Germi, seguita da Siete proprio dei pulcini e Plastilina.

Un secondo break porta per le strade della zona, da Spreca una vita a Costruire per distruggere, da Io so chi sono alla title track che ha riabilitato, seppur in campo ristretto, il termine Padania in molte teste.

Un bis con Televisione chiude tutto, come nella realtà.

Mi perdo nel dietro le quinte e mi sento il protagonista di quello spot di preservativi che terminava con Warning: the feeling may last over 48 hours. La musica è riuscita dove la vodka ha fallito, e la band entra in una sala parzialmente svuotata mentre il dj spara cannonate rock e non degli ultimi 20 anni, per brindare con il pubblico e fare due chiacchere.

Forse, a voler cercare il pelo nell'uovo, avrei scambiato idealmente il blocco di Padania con quello di Germi, per far ricaricare le pile del pubblico e farle esplodere con la sorpresa di un primo album in Italiano mai abbastanza celebrato.

Siamo tutti felici, ebbri di musica e ricordi, immersi nel fumo dei disobbedienti e facili al brindisi. Appagati, pienamente, da un live che era necessario. Non arrivato troppo presto, non marchetta, non meramente celebrativo, non con una sfilata di ospiti: guaritore, decisamente guaritore. E non dai Germi in sette note.

Questa storia comincia il 13 dicembre 1997, quando a seguito di un diverbio, mi perdo quasi metà concerto di “Hai paura del buio?”.

Tanto di cappello al turno di recupero.

 
 
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