Momenti musicali suggeriti dal grande scrittore giapponese

ReadBabyRead #173 del 17 aprile 2014

Murakami Haruki: “Una colonna sonora” (3/5)

17 Aprile 2014


Murakami Haruki

Una colonna sonora

[letture di brani con riferimenti musicali scelti da 7 libri del maestro giapponese]
(parte 3 di 5)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast


Legge: Franco Ventimiglia

Musica e letteratura nell'opera di Haruki Murakami

Tutta l’opera di Murakami Haruki è pervasa da un fitto reticolo di riferimenti musicali, quasi esclusivamente derivati dalla musica occidentale, sia essa pop, rock, classica e soprattutto jazz; forse perché prima di diventare scrittore gestiva un jazz bar, forse perché la musica è stata e tutt’ora è un elemento importante nella sua vita, forse perché riferirsi a testi, partiture, note, emozioni anche lontane aiuta nella costruzione di architetture narrative indecifrabili e aperte quali sono i suoi libri, forse semplicemente perché ama la musica.

Sarebbe oltremodo impegnativo anche se succulento percorrere titolo per titolo i passi musicali sparsi nei suoi volumi ma occorrerebbe una attitudine bibliofila e certosina; ci sono libri letteralmente zeppi di accenni a musiche e a musicisti, pagine intere spese per descrivere un momento musicale come in “Dance dance dance” o ne “La ragazza dello sputnik”, ci sono libri che sin dal titolo (“Norwegian wood” e “A sud del confine a ovest del sole”) inglobano il suo debito per la musica, altri che come il già citato “Norwegian wood” o” 1Q84” iniziano con un preciso riferimento a un brano musicale, altri come “ La fine del mondo e il paese delle meraviglie” che con una canzone terminano.

Una canzone può aprire la profonda camera dei ricordi, una canzone può fare da sfondo a un momento sacrale come la fine di una identità.

Detto questo, desidero spostare l’attenzione sull’ultima pubblicazione italiana del nostro autore, “Ritratti in jazz”, che è un manifesto di gusto e orientamento inequivocabile, una dichiarazione d’amore per il jazz, un segno della sua affinità con una gamma di contenuti dell’animo umano.

Il libro ha una struttura semplice: ogni breve capitolo è intitolato a un musicista e si compone di un commento, di una immagine di Wada Makoto, di un invito all’ascolto e di una biografia minima. Non ci sono recensioni, non ci sono giudizi, non vi è nemmeno lontanamente l’atteggiamento di un critico o di un melomane, troviamo invece gli slanci dell’appassionato e l’assorto atteggiamento di chi rende grazie a un patrimonio di bellezza e umanità con cui ha dialogato e a cui deve parte della sua crescita come uomo e come artista. Poche parole sono sufficienti a Murakami per raggiungere un lirismo toccante e tracciare mirabilmente i contorni di una vita, di un’opera. Anche nelle essenziali biografie, asciugate da ogni orpello e da ogni pretesa storicistica, cogliamo la presenza di una sorprendente e accanita solidarietà.

E il sorprendente sembra essere, anche se ben mimetizzato nella semplicità di evocare un ricordo, una vibrazione, un sentimento, una cifra di questo racconto spezzettato in tante introduzioni e dedicato a un modo del jazz. Ognuno dei piccoli commenti, come le minime biografie, paesaggi tracciati da poche sottili linee penetranti, incarna alla perfezione lo scrittore Murakami, la sua specificità di narratore e la sua statura d’autore.

Non ci troviamo quindi, come potrebbe apparire e già si è accennato, a nostro parere, con un libro di recensioni ma si tratta di pura letteratura mimetizzata nel breve ricordo, nell’evocazione di un soffio, nell’intima suggestione, nel lieve accenno.

C’è il commento, l’illustrazione, finisce il commento, c’è la biografia e la riproduzione della copertina del disco cui ci si riferisce, e tutto questo moltiplicato per 22: questo è il libro in sintesi. Senza pretese, ma sono sufficienti poche parole per raggiungere una stimmung di rara pregnanza, parole che ineccepibilmente racchiudono in un cenno tutto il gusto di un’avventura dell’anima.

Procedendo nella lettura è forte l’impressione di aver tra le mani uno strano romanzo fatto di brevi capitoli, che racconta tante storie di tanta umanità eppure va costituendosi in un unicum, in un flusso che alfine percorre parte dell’intimità dell’autore. Il romanzo di queste vite è pervaso da una vena malinconica, da una diffusa distimia, da una nuvola di passaggio e da tanti colori diversi, leggermente opachi, che solo la carta giapponese, più soffice della nostra, può rendere.

Murakami seduce con la forza della durata che sottende la brevità, con l’immagine di una distesa di caffetterie al neon pronte per accoglierci, con i club fumosi che hanno visto brillare e cadere le stelle del Jazz cui dedicare epitaffi tranquilli, profondi e commossi anche di fronte al genio e alla tragedia.

Murakami non parla quasi mai delle tradizioni giapponesi più note e celebrate come il tiro con l’arco, l’arte della spada, la cerimonia del tè o la meditazione zen, eppure mai come in questo libro uno spirito introspettivo si è esposto in una serie raffinata, conscia della propria bellezza e libera dall’autocelebrazione, di meditazioni narrative accompagnate da una scintillante colonna sonora.

Claudio Tesser



Murakami Haruki
Wada Makoto

Ritratti in jazz

Prefazione

I due volumi di Portrait in Jazz riuniti in questo libro - che ho pubblicato insieme a Wada Makoto - sono stati creati esattamente con lo stesso stile e lo stesso metodo: prima Wada ha selezionato dei musicisti e ne ha fatto il ritratto, poi io vi ho aggiunto un testo.

Ammetto sinceramente che non trovo questo genere di lavoro particolarmente faticoso. Ad esempio, se a un certo punto penso: «Be', oggi magari scrivo qualcosa su Clifford Brown», prendo da uno scaffale un po' di album suoi che non sentivo da tempo, li metto sul piatto del giradischi (sì, ho solo vecchi Lp in vinile, ovviamente), mi piazzo nella mia solita poltrona e lascio che la musica mi riempia le orecchie. Poi mi siedo alla scrivania e raccolgo in un testo della lunghezza opportuna tutte le idee che mi vengono in mente. Il fatto che il mio studio sia al tempo stesso anche una sala d'ascolto in questi casi si rivela estremamente utile.

Nello studio uso soprattutto delle vecchie e grandi casse della Jbl di tipo Back Loaded Horn - sono piuttosto antiquate, lo ammetto - e a pensarci bene sono già venticinque anni che la musica jazz per me ha il loro timbro. Di conseguenza, bene o male che sia, ormai non riesco a immaginarla con un suono diverso: il mio corpo si è completamente assuefatto alla loro vibrazione. Mi rendo conto che al mondo ci sono tanti modi migliori di ascoltare il jazz, ma io preferisco farlo così, rannicchiato come una talpa in questa confortevole tana.

La mia visione del jazz è molto simile, molto vicina a questo particolare suono, cioè è la mia visione individuale, personale. Credo che non evolva quasi. E dato che la nostra memoria per lunghi periodi gira sempre intorno agli stessi punti focali, finiamo col perdere di vista il corso degli eventi.

Di conseguenza, se qualcuno di voi non fosse d’accordo con le mie osservazioni sui musicisti jazz presi in considerazione qui, non dia troppa importanza alle mie parole. Semplicemente mi sono divertito ad ascoltare dei brani musicali, e poi a scriverci qualcosa sopra. Se la cosa funziona e riesco a farvi sentire quella sorta di calore che provo nella mia tana, nulla potrebbe farmi più piacere.

MURAKAMI HARUKI


Ho iniziato ad amare il cinema quando facevo le medie. All'epoca vidi un film, Venere e il professore, in cui Danny Kaye interpreta un insegnante, sgobbone e sempre chiuso in una torre d'avorio a studiare musica classica, che un bel giorno scopre il jazz e impara ad amarlo ascoltandolo dal mattino alla sera, uscendo così dal suo isolamento.

Quella commedia, forse, è stata per me la porta d'accesso al jazz. Perché l'accompagnamento musicale era affidato a Benny Goodman, Tommy Dorsey, Louis Armstrong, Lionel Hampton e altri ancora, tutti musicisti di prim'ordine che anche un profano come me poteva apprezzare.

Per questo motivo mi sono avvicinato al cinema e al jazz quasi contemporaneamente. Prima ho familiarizzato con lo swing, che spesso fa parte della colonna sonora dei film, poi, risalendo il tempo, sono arrivato al jazz delle origini. Non potevo però ignorare il jazz più recente, e il bebop nato da poco.

Quando frequentavo l'università, Thelonious Monk e Miles Davis erano già dei grandi, Satchmo (soprannome di Louis Armstrong) e Duke Ellington suonavano con regolarità, e George Lewis e Kid Ory erano ancora in gran forma. Insomma, ascoltavo jazz di epoche e di generi diversi.

È così che sono diventato grande. Tuttavia, benché amassi la musica, non ne ho fatto il mio lavoro: ho deciso di diventare illustratore. Ogni tanto tengo un'esposizione. Lo faccio per il semplice motivo che in una mostra personale si può scegliere liberamente il tema al contrario di quanto succede di solito nel mio mestiere. In queste occasioni mi capita spesso di adottare come fonte d'ispirazione un film o un brano musicale che amo particolarmente.

Il titolo della personale che ho tenuto nel '92 era Jazz. Ho scelto venti musicisti jazz e li ho ritratti. Questi disegni hanno colpito Murakami Haruki, che ha deciso di scrivere un testo per ognuno di essi. Nel '97 ho fatto un’altra mostra, Sing, dedicata ad altri musicisti jazz. I loro ritratti, insieme ai precedenti, sono stati riuniti in un unico volume.

La passione di Murakami Haruki per il jazz è ben più profonda della mia. Le opere che ho esposto nelle due mostre hanno preso ognuna la propria strada e si sono disperse per il mondo, ma grazie ai testi di Murakami, i musicisti raffigurati hanno potuto ritrovarsi tutti insieme nello stesso luogo. Ne sono molto felice.

WADA MAKOTO


Elenco dei libri da cui sono tratti i brani letti nelle cinque puntate


Prima puntata

Murakami Haruki
Norwegian Wood. Tokio Blues
(2006, Einaudi, Super ET, pp. XX - 384)

Murakami Haruki, Wada Makoto
Ritratti in jazz
(2013, Einaudi, Frontiere, pp. 248)
Illustrazioni di Wada Makoto

Seconda puntata

Murakami Haruki
1Q84 - Libro 1 e 2
(2011, Einaudi, Supercoralli, pp. 724)

Terza puntata

Murakami Haruki, Wada Makoto
Ritratti in jazz
(2013, Einaudi, Frontiere, pp. 248)

Murakami Haruki
Dance Dance Dance
(2005, Einaudi, ET Scrittori, pp. 500)

Quarta puntata

Murakami Haruki
La fine del mondo e il paese delle meraviglie
(2008, Einaudi, Super ET, pp. 516)

Murakami Haruki, Wada Makoto
Ritratti in jazz
(2013, Einaudi, Frontiere, pp. 248)

Murakami Haruki
La ragazza dello Sputnik
(2006, Einaudi, ET Scrittori, pp. 236)

Quinta puntata

Murakami Haruki, Wada Makoto
Ritratti in jazz
(2013, Einaudi, Frontiere, pp. 248)

Murakami Haruki
A sud del confine, a ovest del sole
(2013, Einaudi, Supercoralli, pp. 216)


Le Musiche, scelte da Haruki Murakami e Claudio Tesser


Orchestre du poisson bleu (Conducted by Keiichi Kanda, at Fuchu-no-mori-Wien-Hall, Tokyo, 2008) Norwegian Wood [Lennon/McCartney]
The BeatlesNorwegian Wood [Lennon/McCartney]
Chet Baker QuartetLet's Get Lost [Jimmy McHugh/Frank Loesser]
Miles DavisWalking [Miles Davis]
The Cleveland Orchestra (diretta da George Szell), Sinfonietta [Leoš Janáček]
Stan Getz Quintet (live at Storyville, Boston, 1951), Move [Stan Getz]
Henry Mancini OrchestraMoon River [Johnny Mercer/Henry Mancini]
Horace SilverSong for My Father [Horace Silver]
Bob DylanA Hard Rain's A-Gonna Fall [Bob Dylan]
Thelonius MonkJackie-Ing [Thelonius Monk]
Elisabeth SchwarzkopfDas Veilchen (song for voice & piano, K. 476) [Wolfgang Amadeus Mozart]
Bill EvansMy Foolish Heart [Washington/Young]
Nat King ColePretend [Lew Douglas/Cliff Parman/Frank Levere]
Billie HolidayWhen You're Smiling [Mark Fisher/Joe Goodwin/Larry Shay]

 
 

Logo di articolo:

Stan Getz, con alle spalle il batterista Joe Harris, durante un concerto degli anni ’50 al leggendario Jazz Club “Montmartre” di Copenhagen, riaperto nel 2010.

 
 

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