“Il mondo del cinema per sua natura è abbastanza incestuoso”. David Cronenberg

Recensione del film "Maps to the Stars" di David Cronenberg

29 Maggio 2014

E' una comunissima Lincoln nera, noleggio con conducente, quella verso cui si avvia la giovane Agatha appena sbarcata a Hollywood. Aveva chiesto come di prammatica una limousine, ma l'autista Jerome le spiega laconicamente che non ce n'era più nessuna disponibile. Nelle prime scene di Maps to the Stars (Cannes 2014) Cronenberg cerca di confonderci le idee estraendo l’ex vampiro Pattinson, protagonista di Cosmopolis, dalla lunghissima Lincoln bianca sua ipertecnologica casa ufficio per ricollocarlo al volante di una più modesta berlina della stessa marca. Mentre ci interroghiamo sul senso dell'operazione fatichiamo un po' a renderci conto che è solo un piccolo divertimento del Maestro alle nostre spalle e che invece stiamo dolcemente infilandoci dentro uno dei suoi incubi peggiori.

O migliori. Consegnato Cosmopolis alla sua identità di prisma misterioso e puro, archiviato A dangerous Method come incidente di percorso, circoscritti A history of violence e La Promessa dell’assassino in un affascinante dittico sul tema della violenza Cronenberg torna sui suoi passi più antichi e al suo cinema più visionario e (letteralmente) bruciante. Con evidente sprezzo del pericolo si tuffa in un’operazione “Hollywood su Hollywood” non esattamente inedita per il cinema americano (risparmio la lunga serie di titoli di riferimento) confezionandone una declinazione che squaderna il genere e sedimenta un punto di originalità assoluta, tra Billy Wilder e David Linch.

Il suo gruppo di famiglia in un interno è costituito dall’orrenda giovanissima star di un serial per adolescenti Benjie, dalla poco più adulta sorella piromane cui è stata spenta la fiamma pilota Agatha, dalla madre tonica palestrata scrupolosa ansiosa manager del giovane astro, dal padre tetro e cinico guru delle terapie alternative per ricchi psicopatici. Nel perimetro esterno c’è Havana, sua paziente, diva sul viale del tramonto in lotta per avere la parte che fu di sua madre negli anni ‘60, di cui Agatha - qui si accende il cortocircuito - diventerà assistente e dama di compagnia.

Secondo il regista l’azione avrebbe potuto essere ambientata ovunque, dalla b a Wall Street, dove l’apparire diventa ossessione, ma anche qui si avverte un sapore di garbato depistaggio. Il mondo del cinema, di cui Hollywood è l’indiscusso ombelico, è il luogo dove l’apparenza cessa di essere tale per farsi verità: niente è più vero di ciò che appare sullo schermo 24 volte al secondo. E’ qui che un ragazzino di tredici anni uscito dal rehab può insultare serenamente chiunque lavori per lui, che un cialtrone spregevole e impunito può fare montagne di dollari sulle vulnerabilità psicologiche dei danarosi, che un battito di ciglia o una bizza del Caso può decretare la tua gloria o la tua rovina, che i fantasmi e gli incubi possono materializzarsi e decidere cosa fare della tua vita.

Perché a Hollywood si può condividere l’idea che l’inferno sia solo un mondo senza droghe evitando di chiedersi se l’inferno non sia lì: appannato dai cocktail, dalle pastiglie, dalle ville finto europeo con piscina, dalle limousine, dai milioni di dollari che scorrono assieme all’alcol. Un mondo alieno dove l’ossessione si esercita quotidianamente sul bordo della disperazione, dove o sei tutto o non sei niente. Nel ritorno all’orrore Cronenberg mette a valore tutta la radicalità del proprio sguardo verso un universo che conosce fin troppo bene e dal quale non finge di tirarsi fuori.

Dentro una sceneggiatura (di Bruce Wagner) a orologeria lo sostiene un cast impeccabile in cui spicca una gigantesca Julianne Moore, che si carica addosso il peso della gran parte del film e in cui menzione speciale va fatta per Mia Wasikowska, classe 1989, l’Alice di Tim Burton e la giovanissima vampira dell’ultimo Jim Jarmush Solo gli amanti sopravvivono – ancora nelle sale, affrettarsi. Quanto al Maestro, al suo punto di vista sullo show business e alla sua voglia di presa in giro, prestate attenzione a una sanguinaria arma letale che viene utilizzata in sottofinale: è un “Genie”, il premio del cinema canadese conferito a Spider nel 2002.

Ottone massiccio.
Vedete voi.

 
 
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