Live Report - Radar day one - Slowdive a Sherwood 14

16 luglio Live Report

19 Luglio 2014

16 luglio: Serata d'apertura del Radar festival, che quest'anno vanta nomi di tutto rispetto praticamente in ogni giornata. E il primo giorno non fa eccezione, ma andiamo con ordine.

C'è molta attesa per la reunion degli Slowdive, testimoniata anche dalla parecchia gente già munita di prevendita di fronte ai cancelli ancora chiusi. Questa è l'unica data italiana prevista per la band inglese, all'interno del Park Nord dello Stadio Euganeo. E la band di Neil Halstead, Rachel Goswell, Nick Chaplin, Christian Savill e Simon Scott è la prima volta che atterra in Italia, dall'ormai lontano 1989 in cui iniziarono.

Cominciano i Brothers in Law, sul second stage, i quali già fanno capire che sarà una giornata di carica di riverberi. Finito il loro show è ora di avviarsi verso il mainstage per i Be Forest (freschi dall'uscita di qualche mese fa del loro secondo disco “Earthbeat”). Decisamente più eterei e dark rispetto ai loro compagni, si confermano estremamente coerenti con il contesto musicale della giornata. Esattamente prima degli headliner tocca ai Soviet Soviet, che mostrano un approccio più punk rispetto agli altri (c'è chi ancora lancia gli strumenti, anche se addosso a una pianta).

Nemmeno il tempo di ringraziare il pubblico del second stage che gli Slowdive hanno iniziato nel main stage: sono oramai le dieci di sera, il sole non c'è più, i riflettori sono tutti per loro. Nessuna proiezione, nessuno show particolare. Visibilmente contenti, il loro atteggiamento sul palco è impeccabile. Suoni curati al dettaglio, chitarre onnipresenti, feedback costanti ma mai fastidiosi; il tutto scandito dalla vellutata e sognante voce di Rachel Goswell. Danno quasi l'impressione di quelli che i loro brani non hanno mai smesso un giorno di suonarli. Tutti li riconoscono, chi ne canta i testi, chi richiede a gran voce titoli specifici. “Crazy for you”, titolo che aleggia tra le urla del pubblico dopo ogni fine canzone, viene eseguita non molto dopo l'inizio del set. La band spazia comunque toccando almeno un brano per ogni loro disco: “Catch the Breeze”, “Machine Gun” e “Blue Skied an' Clear”, per citarne alcune. Impressionante inoltre la sobrietà mostrata sul palco enfatizzata dalle poche parole scambiate con il pubblico. Solo tanti “thank you” accompagnati da grandi sorrisi.
C'è tutto ciò che chiunque sperava: sonorità cupe ma anche sognanti, sempre azzeccate, ritmi lenti e cadenzati immersi in un wall of sound di chitarre decisamente etereo e piacevole. Le melodie di voce e le articolazioni armoniche che creano Neil e Rachel sono ottime quanto precise. Dopo un'ora di concerto, la band rientra ed esce dal backstage solo per un'ultima canzone (“40 days”).

Una sempre sorridente band, affiancata da chi le scarpe (a tratti) se le guarda ancora, ti fa capire che se anche negli anni 90 non avresti mai potuto vederli, poco importa: oggi eravamo lì, come vent'anni fa, per un sound che si celebra anche con gli altri, non solo con sé stesso. 

 
 

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