ReadBabyRead propone un classico di valenza universale. Da un'idea di Claudio Tesser, sulle note di un superbo Miles Davis, Francesco Ventimiglia legge "Antigone" di Sofocle nella perfetta traduzione di Massimo Cacciari.

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Sofocle: “Antigone” (2/6)

21 Maggio 2015

ReadBabyRead propone un classico di valenza universale. Da un'idea di Claudio Tesser, sulle note di un superbo Miles Davis, Francesco Ventimiglia legge "Antigone" di Sofocle nella perfetta traduzione di Massimo Cacciari.


ReadBabyRead #230 del 21 maggio 2015

Sofocle
Antigone (traduzione di Massimo Cacciari)

(parte 2 di 6)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast


Legge: Francesco Ventimiglia


L’Antigone di Sofocle non è un testo qualunque. È una delle azioni durature e canoniche della storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica.
[George Steiner]


Antigone, una tragedia liquida
di Claudio Tesser

La genesi dell’operazione è semplice: da molti anni, almeno 30, non ascoltavo Bitches Brew di Miles Davis e mi è venuto il desiderio di farlo.

Non scopro nulla di nuovo affermando che si tratta di un lavoro superbo, un vertice della produzione musicale del ‘900 e fin dalle prime battute, dalle prime vertiginose aperture sonore ho pensato: “sarebbe una colonna sonora perfetta per una tragedia greca”.

Del perché possiamo anche parlarne; Davis in quel periodo era più che mai alla ricerca delle sue radici, razziali, spirituali e così, presumo, nacque quella musica dagli echi ancestrali e contemporaneamente futuribili, che narra un movimento che percorre i secoli, che muove la terra e i popoli e che si lancia in avanti e guarda al cielo, agli dei antichi e alle forme della coscienza allargata.

Davis in questo suo momento pare ci voglia trasmettere e parlare, attraverso la sua musica, di qualcosa di molto antico e ancora sconosciuto e ciò che è sconosciuto, anche se appartiene e proviene dal nostro passato più remoto, proprio in quanto sconosciuto, va di diritto a collocarsi nel nostro futuro in una speciale linea di continuità che attraversa il nostro presente nel quale possiamo accogliere ogni istanza e urgenza di ricerca e riflessione.

È così anche nella tragedia greca dove le parole pesano come sbozzate dal silenzio e gettano i loro enigmi, passioni, pensieri universali e profondi davanti a noi affinché perpetuamente ci si possa ricordare di loro e con loro confrontarsi.

Immagino queste parole come severe e salde imbarcazioni traversare il mare conturbante e imprevedibile delle note davisiane, dialogare alla pari, con lo stesso volume di suono, dileguarsi, riemergere, sovrapporsi e poi fuggire rapide nel silenzio.

Ecco, sopra scritta, come dicevo, la genesi del lavoro che presentiamo da questa settimana in avanti per altre cinque settimane; non so se effettivamente servivano queste spiegazioni ma mi è stato chiesto di farlo e non era cortese rifiutare; aggiungo, perché Antigone?, perché è un testo bellissimo, perché parla finalmente di etica, di morale, perché ci indica che gli dei non amano né la protervia né l’arroganza.

Infine riporto una citazione da “Il mondo del silenzio” di Jacques Picard:

La musica è silenzio che, sognando, inizia a suonare.”


Claudio Tesser


LA PAROLA CHE UCCIDE
di Massimo Cacciari

(continua dalla puntata precedente)

(...) Soltanto con Antigone il dialogo diviene polemos purissimo, affrontamento di principî che si “conciliano” solo nel darsi reciproca morte. Certo, l’assoluta “fedeltà” di entrambi al proprio dèmone non li esenta dal dubbio; nell’imminenza del supplizio Antigone si chiede se nella sofferenza non le verrà inflitto di scoprire un suo errore, e a Creonte la maledizione di Tiresia spalanca all’ultimo la vista di un abisso che fin dall’inizio traspariva dalla sua ostinazione. L’eroe tragico incarna il proprio destino e fa ciò che deve nel dubbio e nella interrogazione, mai passivamente. E tuttavia a entrambi non è dato che insistere nella propria parola, anche se essa condanna e si condanna alla morte. Simone Weil sembra accomunare per un momento il dubitare di Antigone (un cenno appena, ma il cui timbro è necessario far sempre udire) con quello di Arjuna nella Gītā; è il dubitare che si risolve nell’agire, secondo il senso tagico del dran, spiegato da Snell, nell’agire in quanto decisione irrimediabile corrispondente all’essenza del protagonista. Ma l’eroe dell’epos indiano trova pace alla fine nell’agire secondo il suo dharma, mentre l’autonomia dell’eroe tragico si manifesta sempre nella contraddizione con l’altro da sé. La sua parola non dà morte che ricevendola; anzi, non vive in tutta la sua luce che per questa “dialettica”.

E affinché proprio quest’ultima si manifesti nella forma più comprensibile, e possa perciò la partecipazione al dolore “convertirsi” in conoscenza, sarà necessario che le parole autonome dei protagonisti risuonino logicamente coerenti col principio che ne domina il carattere. Nulla in questo dramma costantemente intonato al threnos, al canto luttuoso, viene risparmiato dalla “cura” dell’indagine; nulla si dichiara con semplice im-mediatezza. Creonte esprime certo l’immanente pericolo dell’agire politico, della prassi, ma non è affatto tiranno secondo l’accezione usuale del termine. Creonte ha ben regnato, ha ben meritato per la polis, l’ha salvata dalla catastrofe contro prepotenti schiere nemiche. Lo riconosce il Coro, lo riconosce Tiresia. Per tradizione, forse, per convenienza, certo senza intima convinzione, ha sempre rispettato anche le arti della divinazione e gli oracoli divini. Si badi, neppure il suo decreto che scatena la tragedia va preso come espressione di un impeto d’ira, di irragionevole, delirante volontà di vendetta. Certo, il terreno della sepoltura dei vinti è arrischiato quanto nessun altro per chi regna; qui davvero la dimensione del sacro si confonde nel modo più pericoloso con la decisione politica. Fino a che punto si può spingere la damnatio del nemico vinto e ucciso senza diventare offesa degli dèi di sotterra, empietà? Creonte non ignora affatto il problema, non si slancia affatto inconsapevole nell’abisso che il suo comando gli prepara; è evidente, invece, in tutto ciò che dice e che compie, il suo sforzo di trovare a quel problema convincente, responsabile, ragionevole risposta. La stessa pena che infligge ad Antigone viene da lui predisposta senza “sadismo” alcuno, ma proprio per evitare l’accusa di empietà. Anzitutto, appare a lui manifesta l’enormità della colpa di Polinice; non si tratta del semplice nemico, ma del fratello che vuole annichilire i fratelli, la terra che l’ha nutrito, gli dèi stessi che l’hanno protetto. Non dovrebbero proprio i custodi del sacro essere i suoi più convinti alleati nel decretare tale condanna? L’enormità della pena segue all’enormità del peccato, nient’affatto alla prepotenza di chi la commina. Inoltre, Creonte fa intendere bene che nella città altri, più o meno segretamente, parteggiavano per il vinto. Poteva Polinice non trovare simpatie e sostegno all’interno della stessa Tebe? (...)

Massimo Cacciari

(segue alla puntata successiva)


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

Miles DavisShhh/Peaceful [Miles Davis]
Miles DavisIn A Silent Way/It’s About That Time [Joe Zawinul/Miles Davis]
Miles DavisPharaoh’s Dance [Joe Zawinul]
Miles DavisBitches Brew [Miles Davis]
Miles DavisSpanish Key [Miles Davis]
Miles DavisJohn McLaughlin [Miles Davis]
Miles DavisSanctuary [Wayne Shorter]
Miles DavisFeio [Wayne Shorter]

 
 

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Una foto del filosofo Massimo Cacciari, che ha curato questa esemplare traduzione di “Antigone”.

 
 

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