In ricordo di Renzo Franzin (1949-2005)

un poeta che si specchiava sui fiumi

25 Agosto 2015

Sono 10 anni che ci ha lasciato Renzo Franzin, giornalista, scrittore, intellettuale, fondatore e direttore del  Centro Internazionale Civiltà dell'Acqua ma soprattutto un maestro  che ci ha insegnato così tanto  su fiumi, canali, fossi, falde… sull’ elemento acqua che considerava la madre della nostra storia e cultura.

Riascoltare e rileggere le sue parole è il miglior modo di ricordalo.

Attraverso una trasmissione  dedicata all’elemento  acqua (andata in onda su Radio Sherwood nel marzo 2005) e ad alcuni estratti dal libro “Il respiro delle acque” ricordiamo Renzo, un poeta che si specchiava sui fiumi.

sulla colonna alla Vs destra il podcast

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da “Il respiro delle acque” di Renzo Franzin


Copertina anteriore

“Noi nasciamo dall’acqua e il suono di quell’acqua che ci ha protetto in nostra madre, ci accompagna per sempre. Il Veneto con i suoi  fiumi, laghi, lagune e le paludi, è la regione più anfibia d’Europa. Siamo letteralmente circondati d’acqua e sull’acqua camminiamo perché sotto i nostri piedi, i fiumi alpini alimentano una sterminata prateria di acquiferi sotterranei a cui attingono, in modo disordinato e spesso insensato, molte delle attività umane che ci fanno vivere ed arricchire.”

“L’acqua è una divinità dimenticata e abilmente nascosta dalla modernità, un potente esorcismo a cui sottrarre tutto quello che appare inesorabilmente debole o troppo forte, muto o urlante,stolidamente ripiegato ad ammirare una propria anima o ad esercitare la potenza del fare, una magia imprendibile da cui difendere il nostro mondo duale e perfettamente agonistico, ritmato dal cronometro, privo di odori e di morte naturale, stupidamente impegnato a consumare se stesso oltre ogni senso del limite.”

“Un tempo, l’acqua aveva anche una voce terribile come qualsiasi altro elemento naturale,rotolava, esondava, spazzava i profili dell’orizzonte, si riprendeva spazi e slarghi da dove incautamente l’uomo aveva progettato di allontanarla, rifluiva in lame, botri, stagni, paludi e ristabiliva l’irragionevole regno di Reitia, un’Artemide Limnatis tronfia di caccia e di fecondità,estranea alle guerre di conquista che altrove dilaniavano interi popoli. Oggi che l’acqua, ogni acqua, è stata catturata, la sua voce è diventata tragica, cioè mortale per gli uomini che l’hanno privata del principio naturale dell’instabilità per imporle quello irragionevole dello sfruttamento.”

“Eppure l’acqua resta ancora l’elemento più misterioso e incontrollabile dell’universo, la dimensione ancestrale dell’uomo che l’umanità non è riuscita completamente a declinare con la parte peggiore della propria filosofia dello sviluppo, un “luogo” indefinito e incerto la cui assenza è una tabe insostenibile non solo per la vita biologica, ma per quello sguardo interiore che, a volte, ci fa desiderare la perfezione dell’equilibrio e l’armonia con la natura.  Ognuno di noi è pieno del suono delle acque che ha attraversato e di quelle che lo attraversano, una contaminazione che sola può produrre il miracolo della saggezza per tutto il genere umano.”

“Da sempre l’acqua è radice, prima  ancora che dell’economia, del nucleo fondativo di ogni religione e di ogni filosofia, l’elemento primigenio da cui promana la stessa idea di mondo e di civiltà. La sua imprendibilità e la sua vocazione sanante sono gli altari della purificazione dalla gravezza e opacità del peccato.”

 “L’acqua salva perché, pur intimamente connessa alla nostra natura di esseri viventi, prescinde da ogni definizione percettibile di principio e fine e se è principio o fine lo è solo per volontà divina. Da occidente a oriente, l’acqua del fiume, l’acqua visibile per eccellenza, è un mito potente, può definire una comunità di popolo, moltiplicare la visibilità, diventare un simbolo araldico ”.

“Per noi Veneti, questa simbiosi di civiltà e acqua è millenaria, ricca di gesti, memorie, culture, sentimenti. Siamo un popolo anfibio per elezione, accolti in una geografia in cui le molte acque incerte definiscono gli spazi e il tono delle nostre esistenze. Immaginare il Veneto, di montagna o di pianura, distante dall’acqua e dalla sua visione, è perdere l’identità più pregnante della nostra storia e persino la propensione contemplativa che ha fatto grande la nostra civiltà. Nei secoli industriali purtroppo è successo questo: l’acqua nascosta nei tubi, usata senza rispetto e inquinata, sprecata, sta certificando di uno sviluppo non più sostenibile. Il nostro cercare di restituire e restituirci l’antico rapporto con l’acqua viene prima di qualsiasi regola di un mercato più equo, anzi deve accompagnarla, pena un’altra grande illusione: che le nuove regole, e solo queste, siano sufficienti a salvarci. Ci salverà invece, insieme a nuovi e più etici comportamenti, lo sguardo interiore con cui sapremo riassumere l’acqua nel nostro universo quotidiano che usa i gesti per esprimersi, ma è alimentato dalla profondità delle visioni e dalla accettazione degli equilibri che regolano, da sempre, l’universo comune dell’uomo e  della natura.”

 
 

 
 

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