L'eleganza delle prime luci dell'alba

Intervista a Francesco Forlani

7 Dicembre 2015

Leggi i suoi scritti, assapori il gioco letterario e la grazia delle sue capriole linguistiche, cammini con lui lungo i viali della sua amata Parigi o nelle strade di una Torino sconosciuta, mentre l'eleganza delle prime luci dell'alba che distolgono il passo dalla meta, permette al tempo di sedersi composto ad ascoltare il racconto dei suoi racconti.
Mesdames et Messieurs, Francesco Forlani.

 

Partiamo subito con una domanda complicata assai, rivolta ad un artista (accetti la definizione?), scrittore, attore, poeta, performer, traduttore, redattore, speaker radiofonico, calciatore! Insomma, Francesco Forlani, spiegati. Chi sei?

Ecco, perfino a una domanda semplice, così assoluta, straordinariamente cristallina, c’est mon esprit dada qui l’emporte, e mi fa rispondere, sì, sono il 6, in famiglia, tre fratelli e tre sorelle. Sono l’ultimo; forse è per questo che mi interessa la voce degli ultimi, mi sento dalla loro parte. Non mi interessano i primi, e meno che mai vincere. Mai voluto essere come tutti. Una volta ho scritto in un racconto per un’antologia, Era l’anno dei mondiali, della nazionale scrittori: la traversa è meglio del gol, è come fare gol senza umiliare il portiere. Ecco, a me interessano le traverse, le traversate. Che si tratti di saggi o di poesia, di teatro o di cazzeggio radiofonico, romanzi, racconti e perfino di un’intervista come la nostra, devo sentire il vento, il sale, il movimento che potrebbe farti perdere l’equilibrio ma che sai vitale come un’onda, un surf publishing.

La tua vita si dispiega tra l'educazione militare a Napoli e la vita maudit in quel di Parigi, bel salto a dir il vero. Sono incuriosito: come ci si infila dentro una divisa e poi se ne esce scegliendo strade opposte. Quale è stato il tuo percorso e cosa ti ha condotto ad essere ciò che sei.

Hai detto bene, divisa, non uniforme. Sai in effetti c’è molta più similitudine tra la vita in collegio, e qui parliamo della scuola militare più antica d’Europa, e quella bohémienne, di quanto non ci s’immagini. A cominciare dalla promiscuità, dalla solidarietà, condivisione degli spazi, dal mettere in comune, quanto ogni uomo o donna, povero o ricco che sia ha di più prezioso: lo spazio e il tempo. I comunisti francesi hanno mantenuto il termine camarades per raccontare anche la dimensione notturna e dunque onirica di persone che vivono insieme anche quando dormono. In Italia purtroppo questa parola se la sono accaparrata i fascisti. A sinistra si dice compagni. Loro si son presi le rose e a noi hanno lasciato solo il pane .

Francesco Forlani scrittore: un inizio all'insegna delle riviste letterarie, a seguire un caso letterario lungo la direttiva FaceBook/autoproduzione, poi via via altre pubblicazioni fino a giungere all'ultima di cui parleremo più arditamente in seguito. Vorresti riassumere la tua storia con nomi e titoli che so rilevanti nel panorama culturale italiano.

Ti ringrazio per la rilevanza che mi attribuisci ma molto elegantemente potrei ricordare come ogni volta che gioco con la nazionale scrittori e lo speaker annuncia i giocatori sono convinto che al nome Forlani almeno uno spettatore, delle poche decine presenti dica : e chi cazzo è? Mai sentito ‘sto scrittore. La mia storia letteraria in realtà mi piace pensarla come un’opera aperta, in continua riscrittura, fatta di variazioni, a volte minime, a volte sostanziali su un unico tema. Ci sono le due lingue, il francese e l’italiano che si contendono, la prima, i racconti e i saggi, come per esempio Métromorphoses, o gli articoli per l’Atelier du Roman, la seconda i romanzi, la trilogia degli alberghi per esempio, Autoreverse dedicato a Cesare Pavese e Hotel Roma, Turning doors a Eugenio Montale e la pensione Annalena, e il terzo ancora in cantiere, l’invenzione di Leonardo, a Leonardo Sciascia e il Grand Hotel Et des Palmes. Il memoir parisien, Parigi, senza passare dal via,  che credo essere tutt’oggi l’opera che ha avuto maggiore diffusione grazie anche alla bella collana Contromano che l’ha ospitata. C’è poi una terza lingua che è una sorta d’idioletto napule napule franza franza, per il teatro. L’ultima opera che abbiamo portato in giro è stata “Zazà, e tuti l’ate sturiellet”, titolo hommage al grande Andrea Pazienza. Ma hai ragione nel ricordare le riviste, sono la mia ossessione. Le riviste sono palestre dell’anima e della penna. Impari di più da un incontro davanti a un bicchiere che in mille corsi di scrittura.


Perché si decide di scrivere un manifesto comunista che decisamente sconvolge e pone interrogativi, specialmente se il comunista in questione è un dandy. Personalmente annoverato tra le migliori uscite letterarie dell'anno, il tuo Manifesto del Comunista Dandy (Edizioni Miraggi 2015) già uscito nel 2007 ma qui totalmente 'reloaded' come diciamo noi musicofili, è un saggio che incanta è diverte, fa pensare e colpisce nel segno. Vorresti presentarlo - con le dovute cautele - ad un pubblico che notoriamente si ritiene comunista?

Con i ragazzi della casa editrice Miraggi abbiamo voluto sfidare il deserto. La sete d’idee non mancava, il coraggio neppure. Volevo un’opera che fosse in grado di sviluppare ai massimi termini l’esperimento fatto con Andrea Semerano della Camera Verde di Roma nei primi anni del duemila. E il risultato è sotto gli occhi di tutti, un cocktail molotov (astenersi astemi).

Con il titolo Le grand soir est arrivé, lo stiamo portando in turnè in Francia dove ha debuttato a fine ottobre alla Java. In sala c’erano molti comunisti, e la commozione è stata grande soprattutto quando con Franck alla fisarmonica abbiamo rievocato l’eleganza dei gesti della classe operaia al momento dell’unica grande vittoria nella storia di tutti i proletariati.

Quando?

Nel maggio del trentasei quando grazie al Front Populaire furono introdotte le ferie pagate. Gilles Deleuze lo racconta con estrema e poetica precisione

 

quando masse di operai, artigiani, si precipitarono sul le spiagge che fino ad allora erano proprietà della classe borghese. Il mare era finalmente di tutti.(https://www.youtube.com/watch?v=DR7lYynyCDA)

La parola comunista dandy, sai, vuole essere un anticorpo all’epoca che viviamo all’insegna del radical kitsch da una parte e dall’altra dei fondamentalismi beceri e fascisti. Una parola che certamente sugli ex comunisti sortirà lo stesso effetto di un bel tiro di sigaretta per un ex fumatore.

Ironia innanzi tutto, una componente che non manca di certo nel tuo scrivere.

L’ironia è una cosa seria. È una formidabile arma di distrazione di massa, lo zucchero per rendere meno amara la medicina, e sta al sarcasmo cinico imperante come la bellezza al kitsch.

Nella tua scrittura usi molto il gioco linguistico, una modalità che rende irresistibile il percorso di lettura. Parliamone.

Il gioco linguistico, l’invenzione, lo slittamento di significato, i tic delle frasi sono forse l’unico rimedio a una lingua normalizzata, inodore, incolore, neutra che la grande industria culturale pretende. C’è uno scritto di Céline davvero illuminante, in cui prende a picconate questa lingua da editor tutta precisina: Rabelais ha veramente voluto una lingua ricca e straordinaria. Ma gli altri, tutti, l’hanno castrata, questa lingua, al punto di renderla piatta. Così oggi scrivere bene, significa scrivere come Amyot, ma sta roba , non resterà che una lingua di traduzione. Uno quasi celebre dei nostri contemporanei, ha detto una volta leggendo un libro: Ah che bello che è da leggere, la si direbbe una traduzione! - tanto per capirci.

In Italia un grande è stato Bianciardi. Prima di lui Gadda. Dopo di lui solo Andrea Pazienza, da questo punto di vista.

Torniamo un passo indietro e sediamoci con te attorno al tavolo nel consiglio di redazione della rivista digitale Nazione Indiana, blog tra i più importanti nel panorama letterario italiano. Molti sono gli scrittori che vedi passare da quelle pagine, hai qualche nome da suggerire, qualcuno che rappresenti vera innovazione nell'arte della scrittura in Italia?

 Nazione Indiana è per me un’esperienza fondamentale, come autore ma soprattutto come lettore e scopritore di belle scritture. Questa doppia vocazione, di autori e lettori, è la vera chiave del successo del progetto. L’esplosione dei social network come Facebook se in un primo momento sembrava destinare alla fine il mondo dei blog, sul modello di quanto è accaduto con MySpace, per esempio, alla fine si è invece rivelato un’eccellente sponda di quei contenuti che a prescindere dalla grandezza del bacino di lettori di partenza, ne ha permesso una maggiore diffusione soprattutto tra persone e lettori che difficilmente ci sarebbero arrivati. Degli ultimi arrivati segnalo in particolare, Davide Orecchio, Mariasole Ariot, Jamila Mascat, Ornella Tajani, anche se a mio avviso la più rivoluzionaria nell’uso dei linguaggi della rete è e rimane Orsola Puecher, della vecchia guardia. Un esempio? Una meraviglia come questa: http://www.nazioneindiana.com/2015/11/01/una-notte-sul-monte-stella/


Sempre in tema riviste ma cartacee: SUD, ne parliamo?

Sud è una storia nata veramente da un sogno. Anzi da un dormiveglia. Ricordo che ero di passaggio a Napoli, essendomi da tempo trasferito a Parigi, e nell’insonnia scoprii una riedizione anastatica della rivista del ’45. Ricordo che fu uno shock davvero, trovarmi tra le mani un oggetto che era in grado attraverso la formidabile mise en page di Pasquale Prunas a coniugare la forza della parola di giovani intellettuali come Francesco Rosi, Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone, Gianni Scognamiglio, e dall’altra un’iconografia estremamente potente mai estetizzante. Quando pochi anni dopo da Parigi tentai di realizzare quel sogno, ovvero far rinascere la rivista coinvolgendo tutti i réseaux a cui avessi partecipato, da Milano a Roma, da Parigi a Napoli, ripartendo proprio dalla casa dell’origine, ovvero le mura del Rosso Maniero della Nunziatella, fondamentale è stato l’incontro con Giuseppe Catenacci. Allora, siamo nel 2003, presidente dell’Associazione Ex Allievi e persona di una cultura storica e letteraria impressionante a cui bastarono poche parole per convincersi che il mio entusiasmo seppure strabordante aveva una sua credibilità. Ed è stato davvero grazie a lui, a un grafico incredibile Marco De Luca e a un manipolo di traduttori, autori fotografi di origini e stili diversi che siamo riusciti a dare forma a quel sogno. Un sogno che nel 2003 fu pubblicato in 130 000 copie e distribuito con il Mattino di Napoli. Un Sud in cui poteva esordire Roberto Saviano accanto a Milan Kundera o Peter Handke, per citare solo alcuni degli autori. Rivista che dopo un silenzio durato qualche anno, poche settimane fa, come un’araba fenice e direi felicissima, è risorta per regalare un numero bellissimo dedicato interamente agli anni ottanta e che è possibile scaricare da questo link: Rivista_Sud_numero_80

La tiratura dell’edizione cartacea si è praticamente esaurita nel primo mese.

Vorrei a proposito segnalarvi la disponibilità di tutta la serie on line sul sito indypendentemente.

Francesco Forlani divide la sua vita tra Torino e Parigi. Come mai questo continuo vagare, forse che la vista dalla Tour Eiffel è migliore di quella dalla Mole?

La vista non so, però posso dirti che Parigi resta la sola città in cui puoi sentirti felice per poco, l’unica al mondo in cui puoi viverti un passaggio di povertà senza provarne vergogna.

Come potrebbe concludere Monsieur effeffe questa lunga chiacchierata?

Che una parte importante della mia libertà, del privilegio che ho di continuare a vivere il mio sogno e le contraddizioni che lo animano la devo a una comunità di fratelli e sorelle che anche quando le circostanze non promettevano nulla di buono, e parlo di risorse, non mi ha mai fatto mancare pennelli e vernici, la tela sui cui fare tesoro di tutto.  


 
 

 
 
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