The Kills – Ash & Ice

by MonkeyBoy (Vinylistics)

30 Giugno 2016

I Kills sono in giro da un bel po’ di tempo. Alison ‘VV’ Mosshart (voce e chitarra) e Jamie ‘Hotel’ Hince (chitarra, voce e tutto il resto) si formano nel 2001 quando, dopo essersi conosciuti in Europa, lei decide di muoversi dalla Florida a Londra, dove vive lui. Entrambi con un passato musicale solido ma non indimenticabile, nel 2003 debuttano con Keep on Your Mean Side stabilendo lo standard che li avrebbe resi famosi, fatto di Velvet Underground, garage e psichedelia. Solo due anni dopo con No Wow – il lavoro che ha raccolto le critiche migliori – aggiungono le tonalità blues e post-punk ad un bouquet che strizza già l’occhio al pop. Il 2008 è l’anno di Midnight Boom, in cui aggiungono l’elettronica all’attitudine ostinatamente lo-fi, mentre l’ultima traccia di vita è addirittura di cinque anni fa quando Blood Pressures accoglie atmosfere dub e beat hip-hop senza sfigurare troppo.

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Una band alla costante ricerca di limiti solo per poterli superare, dotata forse di poca pazienza per stare troppo ferma in un posto. E di tempo probabilmente ne sarebbe passato anche meno per fare uscire il quinto album, Ash & Ice (via Domino), se non fosse che Hince ha dovuto subire una delicata operazione alla mano che ne ha messo seriamente in dubbio la carriera. Costretto a dover imparare quasi da capo a suonare la chitarra, dopo un viaggio sulla Transiberiana che lo ha fortemente influenzato, nel 2014 chiama Mosshart e cominciano a scrivere nuovo materiale.

Prima in uno studio casalingo poi agli Electric Lady Studios di New York con la co-produzione di John O’Mahony (LCD Soundsystem, Strokes) passano due anni a cercare un nuovo sound perché, come dicevamo, per loro la staticità non è un opzione accettabile. Questo disco è stato definito in sede di presentazione come “più emozionale e meno tempestoso” ed anche “introspettivo, romantico e ossessivo”. Di sicuro c’è che a questo giro i Kills cercano di reinventarsi come band synth-rock/pop e forse non è stata la scelta migliore.

Chiariamoci: apprezzo chi mostra la volontà di non fossilizzarsi mai, ma l’incipit composto da Doing It To Death e Heart Of A Dog – tra l’altro due dei tre singoli di lancio – non è metabolizzabile così facilmente. Poi si riesce comunque ad entrare in sintonia con i due mid-tempo, l’uno infarcito di synth, drum machine e innocua chitarrina, l’altro super curato e edulcorato, in cui anche i testi sembrano obbedire più o meno ironicamente alla legge del saper stare al proprio posto (“I want strings attached, unnatural as that feels, I’m loyal!”). Un incipit che tarda ad arrivare ma comunque discreto, in cui solo il tropicalismo della scialba Hard Habit To Break – che un paio di vecchie e sane schitarrate non riescono a salvare – manca davvero il segno. C’è però l’impressione che i Kills abbiano scelto di giocare molto sulle atmosfere più che sulla strumentazione e la capacità interpretativa collettiva, al di là di una produzione lussuosa ed attenta come non mai.

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Synth-pop, dunque, ma anche blues. E proprio da lì arrivano alcune delle note (eh-eh) più positive.Bitter Fruit e Black Tar sono i momenti stonesiani (soprattutto la prima) che ci ricordano da dove viene il duo, in parte quasi dovuti, ok, ma che riescono a creare quel mood complice e un po’ dark che ci è sempre piaciuto in loro. Altrettanto non si può dire di Siberian Nights, brano pericolosamente in area Citizens! (bravi eh, ma fanno tutt’altro), a metà tra blues e pop con una serie di violini alla Psycho-Il Film e testi forzatamente d’effetto (“I could make you cum in threes, I’m halfway to my knees”). Leggermente meglio va con Hum For Your Buzz, che aggiunge a sei corde bluesy striature simil gospel con in più un drone di organo, se non avessimo capito abbastanza la metafora.

Ancora dal gospel i Kills attingono per uno dei pezzi migliori di un album forse un po’ troppo lungo.Impossible Tracks contiene il sample di batteria di I Thank The Lord dei Mighty Voices Of Wonder ma al di là di quello è un glam che lavora finalmente a dovere, con un giro di bass-guitar piuttosto abusato ma che ha il suo senso. Assieme a That Love e soprattutto alla conclusiva Whirling Eye sono anche gli episodi in cui svetta maggiormente il contributo di Mosshart, forse l’unica vera nota pienamente positiva di Ash & Ice. Se in That Love – scarno lo-fi imperniato sul piano – il tema dell’amore in salsa lennoniana (“It’s over now, that love you’re in is fucked up”) non finisce nel melenso è tutto merito dell’interpretazione vocale di Alison, evocativa e piena. In Whirling Eye, invece, c’è anche molto del resto: una batteria motorik, gli anni ’80 che aggrediscono il sound da ogni dove, Hince in gran forma ed i Primal Scream a fare capolino...continua su Vinylistics

 
 
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