Nicolò Carnesi – Bellissima Noia

by Aria (Vinylistics)

18 Ottobre 2016

Noi comunichiamo male e non ci ascoltiamo mai.

Lo dice il cantautore palermitano che nella sua galassia custodita nell’armadio continua ad osservare la vita e gli esseri umani tirandone fuori sempre attente e personalissime riflessioni che spesso celano profondi momenti di introspezione. Il suo terzo disco uscito ufficialmente un paio di settimane fa non si discosta da questa linea e a chi potrebbe pensare che la situazione possa iniziare a essere un po’ monotona, Carnesi risponderebbe certamente così: “Le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse“. Questo lo so perché la citazione di David Foster Wallace la si trova anche sui suoi profili social ed è stata grande fonte di ispirazione per il concept album. Infatti Bellissima Noia, il cui titolo pare quasi un ossimoro, racconta attraverso i suoi nove pezzi, nove storie che in qualche modo esprimono tutte un forte disagio nei confronti della società moderna, riuscendo però a cogliere nella malinconia e nella solitudine anche degli aspetti positivi.

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Se con Ho Una Galassia Nell’Armadio la ricercatezza di un certo tipo di suono aveva reso bene ai fini di un lavoro concettuale molto convincente, Bellissima Noia fa ancora meglio bilanciando suoni e parole per un disco che risulta molto corposo e omogeneo. Sia chiaro, parliamo comunque di un disco di matrice pop e questo è il filo conduttore di ogni traccia, il punto fondamentale (e di forza) che riesce a dare grande armonia a questo lavoro. Ma il tutto è stato impastato in una varietà di suoni e di strumenti tale da riuscire a tenere in pugno l’ascoltatore, che si ritroverà a sguazzare in un mare di concetti che sarebbe il primo a voler gridare a piena voce.

Proprio Lo Spazio Vuoto, uno dei due singoli rilasciati in anteprima, è una delle dimostrazioni più calzanti di quanto appena detto: uno dei pezzi più diretti del disco, sia sonoramente che testualmente, con la sua sorta di reggae iniziale che fa da introduzione alle schitarrate elettriche all’insegna della denuncia sociale, chiedendosi quale sia la differenza tra una discarica e una spiaggia o un politico e un cretino. Se qualcuno vuole prendersi la briga di rispondergli, faccia pure…

Le atmosfere fresche e luminose riescono a conferire modernità a quelle influenze anni ’60 grazie a un’elettronica essenziale e al suono pieno delle chitarre e delle percussioni. Si alternano così momenti più intensi e accelerati come quello della title-track e Lo Scherzo Infinito a dolci ballate sognanti come Fotografia che accompagnata dalle note del piano si perde a osservare la vita nei suoi momenti più semplici e spontanei della quotidianità, o la melanconica Il Lato Migliore che si culla nella propria solitudine che diventa in qualche modo anche rassicurante con la sua marcia onirica. Ma l’intensità aumenta con Cambiamento che sembra quasi voler iniziare un’altra fase del disco: dopo tanto guardarsi intorno e perdersi nei dettagli della vita, nei suoi ostacoli, arriva il momento della reazione.

“Fermiamoci e diamoci del tu che ho voglia di dire cose che non si usano più e odiamoci un po’ anche per finta che questo buonismo ha già rotto le palle.”

Parole che ascoltiamo in Ricalcolo che prosegue sulla linea graffiante delle chitarre e quei cori che ancora una volta ci rievocano suggestioni passate, anche grazie all’entrata in scena del sax sul finale. Voce piena e tanta grinta. Per essere un disco che lamenta della incomunicabilità e dei rapporti conflittuali che derivano dai tecnologici e moderni mezzi di comunicazione, il Nostro si fa capire forte e chiaro. Ma è sul finale con gli ultimi due brani che tocca le vette più alte e intime, rivelando tutto questo disagio che è si collettivo ma anche, e prima di tutto, personale. Si rallenta di nuovo con Comunichiamo Male che parla espressamente dell’ambiguità e dei fraintendimenti che comportano le conversazioni/relazioni portate avanti tra telefoni e social network: l’apparenza diventa più importante di tutto il resto. A chiudere il lotto c’è M.I.A. che immagina la vita dell’ultimo essere umano del mondo, che si trova a essere inevitabilmente vittima di tutto ciò che è stato, ripercorrendo tutta la storia dell’umanità e ritrovandosi nella sua solitudine. Poetica e malinconica, si espande dolcemente con la sua fluttuazione di suoni spaziali. Senza dubbio il pezzo più toccante del disco.

Ogni brano di questo album sembra una cartolina dipinta a mano per quanto vivide riescono a essere le suggestioni rievocate dalla sensibilità cantautorale di questo ragazzo...continua su Vinylistics

 
 
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