The Brian Jonestown Massacre – Third World Pyramid

by MonkeyBoy (Vinylistics)

17 Novembre 2016

Anton Newcombe è uno dei numi tutelari di questo blog. Quello che lui ed i Brian Jonestown Massacre hanno fatto nell’ultimo ventennio per la musica indipendente è abbastanza imprescindibile da renderli una delle Basi necessarie per chi ha la pazienza di leggerci. Inutile stare qui a riassumere la carriera della band, ci sarebbero troppe cose da dire e c’è troppo poco spazio per scriverle bene. Vale la pena, invece, sottolineare la ritrovata prolificità di Newcombe – sì quello dei tre album nello stesso anno – che negli ultimi 24 mesi ha pubblicato due dischi (Revelation Musique De Film Imaginé), due EP (+-Mini Album Thingy Wingy), ha collaborato con un sacco di gente, sta componendo una colonna sonora e pochi giorni fa ha dato alla luce la sua quindicesima fatica, Third World Pyramid.

Primo LP interamente registrato e prodotto da Newcombe nel suo nuovo Cobra Studio di Berlino – città dove ora vive con la famiglia – vede riunirsi attorno all’ennesima incarnazione del gruppo californiano una schiera al solito numerosa di collaboratori, tra cui è doveroso citare Emil Nikolaisen, Tess Parks (conosciuta via Twitter dopo averne letto la recensione di un album) e la moglie Katy Lane. Ovviamente rilasciato tramite la label di famiglia A Recordings, pare che Third World Pyramid sia il primo di due dischi gemelli, ma con quella testa matta di Newcombe non si può mai dire.

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Di sicuro c’è che le coordinate sono quelle di sempre – neo-psichedelia, garage, rock – con una leggera inclinazione verso il folk degli anni ’60 e, a voler vedere qualcosa celato nella copertina, gli Spacemen 3 – nota influenza primigenia dei BJM. Se come me siete autolesionisti quanto basta per seguire Anton sui social vi sarete accorti come abbia preso molto a cuore la questione politica americana degli ultimi due anni, pur dal suo buen retiro europeo. Sostenitore di Sanders, non ha risparmiato le sue solite bordate ai due candidati alla presidenza, per cui ci si sarebbe aspettati un lavoro ‘politico’, cosa che il titolo avrebbe anche confermato. Invece resta tutto molto sottotraccia, Newcombe è furbo ed egocentrico e lascia che la sua visione del mondo sia filtrata pesantemente dall’innata sensibilità musicale di cui è dotato. L’iniziale Good Mourning potrebbe essere la colonna sonora di questi giorni, sebbene per l’autore lo scopo sia trasmettere un sentimento che va al di là dell’attualità, con quel “Dying faces all I see” recitato dalla moglie che si perde nell’eco di arpeggi ed archi di un folk acustico tenue ed assai triste, dedicato ai due figli della coppia dai nomi molto sobri: Herman Oliver Vessey e Wolfang Gotthardt Newcombe.

Pur essendo ottimamente prodotto ed arrangiato, il sound di TWP è volutamente più crudo rispetto a Revelation, avvicinandosi al lo-fi di Methodrone. Le chitarre di Ricky Maymi e Ryan Van Kriedt, messe in secondo piano rispetto alla sezione ritmica della fracassona psych-folk Government Beard, tornano a risplendere in Don’t Get Lost, mid-tempo di classica matrice Brian Jonestown Massacre, infarcito di stratificazioni e suoni variegati, tra cui vale la pena citare corni e mellotron (per gentile concessione di Rob Campanella). Sono pezzi di grande spessore cui si aggiunge il brano forse più inaspettato, Assignment Song, cover della canzone di Nina Simone del 1971. Nell’episodio più lungo (siamo attorno ai nove minuti e mezzo) tutto è dilatato, le voci sono echizzate, le linee melodiche ricche ed il sound quasi ridondante. Si parte da una struttura maggiormente convenzionale per allungarla a dismisura fino alla coda psichedelica che pare non debba finire mai.

Musique De Film Imaginé ha lasciato più di una traccia in Newcombe, e non sto solo parlando della collaborazione con la Argento. Il carattere cinematografico di brani strumentali come Oh Bother Lunar Surf Graveyard proviene senza dubbio da quell’esperienza. La prima ha una propensione a metà tra western ed oriente, è ovviamente molto orchestrale ma al di là di un incipit da film horror è dotata di quel tocco tipico che la rende intrinsecamente cupa e meditativa. La seconda scava ancor di più nell’oscurità della notte desertica, si gioca sulle corde grevi del basso di Collin Hegna e sull’ossessività della batteria di Dan Allaire e delle percussioni di Joel Gion. Sono momenti che fanno di Third World Pyramid uno dei dischi più eterogenei della band, non sono grandi novità in senso assoluto ma sono ‘semplicemente’ grande musica fatta come si deve.

In un lavoro dai ritmi per lo più medi spiccano il kraut up-tempo della title-track – cosmica e percussiva, allo stesso tempo rarefatta ed alla ricerca costante di una sua materialità in cui reincarnarsi – e Like Describing Colors To A Blind Man On Acid, un garage lisergico e dal titolo geniale fin troppo breve, che avrebbe dovuto osare di più. Il finale è tutto per il singolo di lancio The Sun Ship, una dimostrazione (se ce ne fosse bisogno) del saper fare il proprio mestiere come nessun altro. Beatlesiana (post ’66) fino al midollo e senza nessuna remora nel palesarlo, questo pysch-pop viaggia nello spazio tra la voce di Newcombe e le nostre orecchie verso atmosfere vagamente dreamy ma di certo intangibili, moltiplicando le dimensioni della nostra camera da letto in modi che non avremmo mai potuto nemmeno immaginare...continua su Vinylistics

 
 
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