Palace – So Long Forever

by MonkeyBoy (Vinylistics)

25 Novembre 2016

Il 2016 è già stato di suo un anno di notevoli esordi. Se a ciò si aggiunge l’hype tipicamente britannico per ogni nuova band che si affaccia sul panorama musicale portando in dote anche solo un minimo di aria fresca, non ci si stupisce più di tanto che il debutto sulla lunga distanza dei Palace, So Long Forever (via Fiction Records), fosse atteso come il Natale a Vienna. Due EP in saccoccia – Lost In The Night e Chase The Light nel biennio 2014-15 – sono bastati alla band londinese per guadagnarsi l’etichetta di ‘sonic valium’, l’apertura dei concerti europei di Jamie T e la partecipazione a Glastonbury e Reading & Leeds.

Niente male per quattro regazzini – Leo Wyndham (voce, chitarra), Matt Hodges (batteria), Rupert Turner (chitarra) e Will Dory (basso) – che si sono conosciuti a scuola e che da quattro anni hanno messo su un gruppo dichiaratamente ispirato a WU LYF e Jeff Buckley, tra gli altri. Per questo lavoro hanno scelto un deposito di Tottenham, un centro creativo artistico chiamato The Arc, per registrare sotto la guida di Adam Jaffery (già al lavoro con Dev Hynes) e di Cenzo Townshend (Florence, Wild Beasts, Maccabees) al mixer. La copertina, così come quelle realizzate per i mini-album, è opera di Wilm Danby. Le coordinate sono quelle dell’indie più soul, con qualche blanda deviazione verso il blues e l’art-rock.

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Inteso per stessa ammissione della band come un compendio della loro pur breve storia musicale, So Long Forever è il culmine di un attento e certosino lavoro su vecchi e nuovi brani, in cui i Palace elaborano alcuni concetti cardine come la perdita degli affetti ed il modo in cui ci si relaziona ad essa. Fortemente influenzato dal divorzio dei genitori di Wyndham, l’album trasuda emotività fin dall’iniziale Break The Silence. Atmosfere arrotondate e mai spigolose, una voce educata, una batteria pulsante ed un intreccio sofisticato di chitarre danno vita ad un brano assolutamente riuscito, che promette molto. “I wanna see in your soul, I wanna tame this animal. You give me shame, you show me lies. I wanna change my alibis” è quello che si definisce un manifesto d’intenti chiaro e forte, sostenuto dalla successiva Bitter, una via di mezzo fra art-rock e coro da stadio. È bastato poco, ma i Palace fanno sfoggio di un sound elegante in una confezione molto ben curata che, pur ricordando qua e là Foals, Local Natives e qualcosa dei Kings Of Leon, pare volersi ritagliare un posto tutto suo nel sovraffollato panorama musicale odierno.

La prima parte del disco sembra affrontare la componente negativa della perdita, quella che ci distrugge invece di fortificarci. It’s Over è una sorta di mantra purificatore, ben guidato dal basso e molto orecchiabile, mentre Live Well si concentra sul rifiuto del dolore, immaginando qualcosa di mai accaduto veramente ma che potrà succedere in un futuro si spera il più prossimo possibile. Sono sfumature piuttosto semplici, sentimenti basici cui corrispondono strutture melodiche piuttosto complesse, coadiuvate da una versatilità vocale davvero notevole. Verso metà album, tuttavia, si comincia ad intravedere il limite forse fondamentale di questa band. Fire In The SkyFamily e la title-track sono episodi penalizzati dall’ostinata ripetizione della stessa formula che, non essendo peraltro particolarmente originale già per natura, finisce per appiattire il tutto. So Long Forever, se da un lato almeno aumenta il passo rispetto alle altre due, dall’altro mutua le tematiche di Live Well, perdendo comunque il confronto con la positività e la vitalità di Have Faith.

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In effetti la seconda metà è quella vagamente più positiva ed affermativa, in cui le interpretazioni sempre molto sentite e vissute dei Palace trovano corrispettivo in brani intensi come la notevole ballad Blackheat o nella vulnerabilità degli arpeggi della lenta e vagamente blues Holy Smoke...continua su Vinylistics

 
 
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