Voina live @ Sherwood Festival 2017

A cura di Matteo Molon

28 Giugno 2017

Giovedì 22 giugno è con curiosità che mi accingo ad entrare al parcheggio nord dello Stadio Euganeo. Vedrò live per la prima volta una band conosciuta spulciando le uscite in stream di Rockit: i Voina.

Sul second stage alle 22 la gente è ancora poca, spersa nella quiete di un giorno di metà settimana fra cibo, bevute, stand e la classica collinetta. Quest’atmosfera rilassata mi lascia pensare a cosa mi aspetto dal gruppo, e tento di frenare il ragionare per non crearmi troppe aspettative.

Talvolta l’errore che si fa è proprio questo, fissando delle considerazioni nella parete della propria mente, per poi vederle puntualmente deluse (spesso) o soddisfatte più del dovuto (poche volte).

La band abruzzese ha scritto un disco dal titolo evocativo: “Alcol, Schifo e Nostalgia”, uscito per INRI (di casa Linea 77 per chi non la conoscesse). Il discorso delle aspettative qui torna siccome attitudini del genere mi fanno sempre pensare ad un live di egual segno: incazzato, sputante fuori la parte più torbida del proprio istinto.

Personalmente amo i progetti schietti che senza giri di parole utilizzano la musica come strumento di auto cura delle ferite. Ma, come detto, fermo questo flusso di pensieri: voglio iniziare ad ascoltare immerso nel bianco di un foglio ideale, ancora non sporcato dall’inchiostro.

Alle 22 e qualche minuto i Voina danno inizio alle danze, nel vero senso del termine perché su quel palco, con il pubblico che cresce attorno, non smetteranno di fermarsi fino alla fine.

Alla band non manca sicuramente la qualità chiamata “fotta”, cioè la volontà di dare un senso alla propria esibizione. Me li vedo costretti a stare chiusi in studio, e liberi come animali della prateria mentre suonano, girando tutta la Penisola.

A metà esibizione affermano: “spesso i posti dove abbiamo suonato facevano schifo mentre Sherwood è speciale. Si sta bene”. Riprendendo il discorso di prateria e periferia, parlano di un concetto a me caro: cosa significa provenire da una provincia caustica, il limite di un “impero” fatto di complessi urbani senza senso.

Chiara come il sudore macinato è la loro voglia di evasione da situazioni dove la noia, l’immobilismo sono nel DNA della gente; dove la fretta stessa di vivere, di decidere ed essere padroni del destino non viene compresa. Scorre davanti i bar pieni di vecchi e zarri come un fantasma sulla scena del crimine. Fa parte della cifra stilistica del gruppo: Bere, Io Non Ho Quel Non So Che, Gli Anni 80 e l’esemplifica La Provincia. Chiaro è l’impegno che ci mettono nel raccontare la loro realtà MA.

Tutta questa costruzione di significati viene meno nei significanti, il lato fonetico dei racconti, i quali prendono e coinvolgono a dovere, fino ad un certo punto.

MA la scrittura dei brani è forse il punto debole, il limite dei Voina, brani che spingono la tensione emotiva insita senza mai farla esplodere, azione presente invece in Bere, eccezione. Non mi va di parlare di immaturità compositiva, mancanza di esperienze ecc.. sarei sbruffone e falso siccome i ragazzi sanno, comunque, quello che fanno.

Ascoltandoli ti bevi una birra, stai assieme, pensi ai contenuti trasmessi ma viene a mancarti la carica emotiva delle canzoni atta supportare la rabbia de-scritta.

Un’amica mi fa notare, poi, di come certi gruppi decisamente più frivoli dal vivo abbiano pezzi più esplosivi. Climax capaci di catturare, oltre i concetti, lo stomaco dell’ascoltatore, senza facili entusiasmi. 

I Voina hanno contenuti e presenza sul palco. Assieme a dei brani maggiormente incisivi potrebbero “mandare a casa” molti, magari bravi a scrivere MA sul palco dei gessati appena usciti dalla bocciofila.

Al prossimo giro!

 
 
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