Intervista ai Thee Jones Bones per This is Love

10 Agosto 2017

Quando ho ascoltato per la prima volta i Thee Jones Bones ammetto che non ero nel mood giusto: ho dovuto distrarre l'attenzione e mangiare qualcosa per aver voglia di tornarci su. ll fatto è che stavo giù di morale e per questo la testa era altrove, ma avevano instillato in me un seme importante: quello volto allo "stare bene".

Il pregio di questo disco è che lo puoi comprendere e ne puoi godere solo lasciando fuori i brutti pensieri e magari, come successo al sottoscritto, può aiutare a scacciarli, in prima istanza.

L’album è un disco di rock classico su più versanti: il primo inerente lo stile, caratterizzato da una scrittura diretta e vitale anche nei pezzi più rilassati e per questo destinato (come il primo rock ‘n roll) a celebrare l'esistenza in ogni attimo, ed ecco il secondo versante.

La band scrive un album popolare non nella resa sonora, sempre ben studiata e mai commerciale, ma "per la gente". Si veste ed è testimone di un'atmosfera collettiva e trasversale che lascia spazio al furore e poco alla singola stati dello star seduti in un angolino del pub. Invece è adatto a fare festa e sono convinto che su supporti alternativi al palco probabilmente rende di meno, se non la metà.

This is Love mettetelo su in viaggio in auto, appena tornati dal lavoro sotto la doccia. Spingetelo durante una grigliata con gli amici. Alzatelo nelle feste capaci di durare fino alla mattina dopo, tra una battuta scontata e un’occhiata languida.

Ho posto qualche domanda alla band per conoscere meglio la nascita del disco:

L’estrema forza di vivere dei brani da dove proviene?

Dal fatto di partire dal presupposto di scrivere musica in «maggiore»? I TJB hanno sempre interpretato la musica come cosa per divertirsi e far divertire e non per farsi prender male. Per quello ci sono tanti altri specialisti!

Cosa preferite maggiormente del suonare dal vivo?

Il fatto di “trasformare” la musica che abbiamo scritto, suonato e inciso direi. Non siamo mai stati il gruppo che esegue pari pari i pezzi a come li abbiamo registrati, nemmeno all’inizio quando la formazione era un duo; adesso poi la prerogativa della band è proprio quella di spaziare in territori di jam ed improvvisazioni e siamo arrivati al punto di fare delle serate da più di due ore con una dozzina scarsa di pezzi. Diciamo che la canzone è in sostanza il mezzo per fare della musica, per cui non si sa mai cosa succederà! Poi siamo fortunatamente ancora dei maledettissimi rockers per cui anche tutto il contorno legato alla vita on the road!

Quali ascolti hanno contribuito a formare il vostro suono?

Quando all’inizio i TJB erano un duo garage-punk-rock i riferimenti musicali erano orientati verso il più classico del rock ‘n roll; Chuck Berry o Little Richard filtrati però dal lo-fi blues della Jon Spencer Blues Explosion e mischiati al country punk in stile Mojomatics. Poi nel corso della seconda vita del gruppo sono riaffiorati gli amori di gioventù legati più o meno a tutto il classic rock di matrice chitarristica fine ‘60, primi ‘70; Stones, Who, Allman Bros, Peter Green’s Fleetwood Mac, Faces, Floyd, Zeppelin, Grateful Dead, Quicksilver, Steve Miller Band, Ten Years After, Humble Pie… ma potrei andare avanti all’infinito dato che le influenze, come gli ascolti musicali, fortunatamente proseguono e cambiano di continuo.

Da cosa trae ispirazione la creazione dell’acustica Little Moon?

Da mia figlia Luna… avevo in mente di scriverle una sorta di “ninna-nanna” strumentale ed ecco il risultato! Poi abbiamo inserito anche lei sul finale, anche se non abbiamo ancora capito cosa abbia detto, magari era: “basta con questo rumore”!

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