Indipendent Day Festival

Arena Parco Nord, Bologna - 3 settembre 2011

13 Settembre 2011

Si lo so. Ci vorranno mica dieci giorni per scrivere il report di un Festival come l’Indipendent?
Festival che oltre tutto conosco bene, perché fin dalle prime edizioni ho avuto modo di seguirlo e di conoscerne i vari aspetti. Questa volta però, sono semplicemente nella veste di uno a cui piace la musica e che ha voglia di godersi una serie di concerti semplicemente con tanta curiosità.
Già, curiosità. Non essendo più un ragazzino, e di concerti ne ho visti davvero tanti, ho sempre il timore di avere quella spocchia tipica di quelli che, appunto, hanno visto tanti concerti e ascoltato tanta musica. E quindi vedere e sentire tutto come qualcosa di già acquisito, come se ogni cosa fosse sempre la replica di qualcosa altro. Succedeva così anche quando ero io che cominciavo ad approcciare ai gruppi a me contemporanei, e detestavo l’atteggiamento di chi, quasi con arroganza, liquidava sempre tutto con il solito “si è già sentito, sembrano i ..”
Ecco, questo è lo spirito con cui mi accingo a raccontare questa edizione dell’Indipendent. 
Ho partecipato solo alla giornata del sabato perché, e questo posso dirlo tranquillamente, il cast della domenica proprio non era nelle mie corde.
Sabato d’inizio settembre. L’Arena Parco Nord si trova all’interno dell’area della Festa dell’Unità. Ci metto un po’ però a realizzarlo perché i primi stand che mi trovo al fianco sono gestiti da concessionari di automobili. Posso capire tutto ma, in un momento in cui si parla di crisi del settore, di un cambio radicale rispetto a consumi ed energia, mi ha dato l’idea del perché, perfino quando si tratta di fare festa, è difficile che la mia strada e quella dei “piddini” si possano incontrare. Per fortuna che poi si recupera con gli stand gastronomici. E la piadina è sempre fantastica!
Da bere solo Pepsi, la bibita democratica per eccellenza. Ho dovuto virare sulla birra, mio malgrado; la bevanda di Atlanta non mi ha mai convinto.
Entriamo, siamo io e il mio amico Giuliano, che di musica ne mastica parecchia e da tanto, anche lui.
E’ molto eccitato di vedere Arctic Monkeys e, a dire la verità, è stato il suo entusiasmo a trasportarmi fino a qui.
Entriamo, e dopo i classici controlli di rito, che ci accorgiamo subito, vertono più sull’evitare che entrino bevande non acquistate in loco che altro, ci troviamo immersi nella musica dei Wombats. Pubblico entusiasta della loro performance, riconosco l’hit “Tales Of Girls, Boys And Marsupials”, e non solo. Li ascolto un po’ distrattamente, ma devo dire che il loro set è convincente davvero. Generosi e grintosi, non si risparmiano. Tuttavia dare un giudizio sulla loro performance sarebbe poco serio, perché appunto ero più concentrato su cibo e bevande che sulla musica. E poi ai festival si sa. E’ così. S’incontrano tante persone, non si va solo per ascoltare musica, anche per parlarne…
White Lies invece li ho seguiti con convinzione. Generazione post - Joy Division, si potrebbe dire. Ma ci sono così tanti gruppi che hanno lasciato un’eredità tanto abbondante? Interpol, Editors, e un sacco di altre band dei giorni nostri, e che vanno per la maggiore, sono la diretta conseguenza di quanto Joy Division hanno dato a noi amanti della musica.
Non male il concerto anche se, a mio parere, un po’ monocorde. Comunque tutto il set è assai godibile. Nulla di straordinario, ma creano l’atmosfera giusta.
Dimostrano di avere sia personalità sia idee chiare. Senza strafare conquistano l’attenzione dei più. Certo, sono le hit quelle che raccolgono maggiore successo, ma gran parte del pubblico dimostra di conoscere il loro repertorio.  Soprattutto “Bigger Than Us”, “Is Love” e  l’ormai classico “To loose my life”, che tutti cantano quasi come una liberazione. A chi non è mai successo di ragionare come il protagonista di quella canzone? Paradossalmente sono proprio quelle fasi di disperazione che è quasi una fortuna poter vivere. Per poi, magari, scrivere una bella canzone.
E’ il momento dei Kasabian. Premetto. A parte gli hit che anche noi su Sherwood trasmettevamo, non li conosco così bene. Decollano sparatissimi. “Club Foot” è il punto di partenza, e ti chiedi come possono arrivare in fondo se si bruciano già gli hit così. E invece è un continuo rilanciare. Davvero continuo. “LSF” la cantano e la ballano tutti. Anche “Fire” non lascia indifferenti. Ci sono ragazzi molto giovani ma anche signori non più giovanissimi. E padri con figli. Una bella atmosfera.
Peccato che l’impianto audio e quello luci non siano sempre perfetti. A discapito di quanto di molto complesso accade sul palco. Non sempre il tutto è illuminato a dovere e, permettetemi di dire, non è una scelta artistica. E purtroppo si nota. L’esecuzione di “Underdog” per un attimo ha fatto anche leva su quella parte emozionale che non dovrebbe mai mancare in un concerto. Una versione molto diversa da quella che ero abituato ad ascoltare. E’ solo un attimo, ma è un bell’attimo. Sono bravi questi ragazzi. Non credo poi che consumerei il loro cd sul mio lettore, ma live convincono. Capisco perché se ne parli così bene.
E arriva il momento di Arctic Monkeys. Mi spingo dalla collina da dove ho osservato tutte le precedenti performance, fino a mescolarmi tra migliaia di fans in attesa. Io e Giuliano siamo molto curiosi.
Cominciano. Ne ho visti davvero tanti di concerti rock and roll nella mia vita, quindi, anche senza la già citata spocchia, mi rendo conto che mi devo liberare di qualsiasi pregiudizio e gustarmi lo spettacolo in libertà. E per questo ci ho messo dieci giorni ad arrivare a una conclusione. Mi chiedevo: “Ma questi Arctic Monkeys, ti hanno convinto? Non ti sembrano qualcosa di poco originale? Sei sicuro che invece non ti sia sfuggito qualcosa?”
Ci ho pensato e sono arrivato alla conclusione che questa è davvero una band che può arrivare lontano. Chi può vantare così tante canzoni che scaldano davvero tanto le folle, seppure molto giovani? Tra quelli eseguiti, brani come CIGARETTE SMOKER FIONA, PRETTY VISITORS, DO ME A FAVOUR, BRIANSTORM (proprio BRIAN, non BRAIN), TEDDY PICKER, CRYING LIGHTING (fantastica!!), THIS HOUSE IS A CIRCUS, OLD YELLOW BRICKS, non ce n’era uno che non fosse cantato da tutti a squarciagola. E non mi sembrava ci fosse un pubblico poco attento o che non aveva pretese e aspettative. E i testi? Non sono per niente banali, mai ripetitivi. Nonostante una forma canzone tipicamente rock and roll, i temi che affrontano, pur non toccando direttamente argomenti sociali o politici, di fatto lo fanno con le storie che ci dicono cose chiare sul tempo che stiamo vivendo.
Gran finale, che peccato non tutti abbiano vissuto come si sarebbe dovuto, tra chi cercava di guadagnare l’uscita e chi una sigaretta,  affidato a quella gemma che è “505”.
Ci ho messo dieci giorni, ma almeno ho capito…

Si lo so. Ci vorranno mica dieci giorni per scrivere il report di un Festival come l’Indipendent?

Festival che oltre tutto conosco bene, perché fin dalle prime edizioni ho avuto modo di seguirlo e di conoscerne i vari aspetti. Questa volta però, sono semplicemente nella veste di uno a cui piace la musica e che ha voglia di godersi una serie di concerti semplicemente con tanta curiosità.

Già, curiosità. Non essendo più un ragazzino, e di concerti ne ho visti davvero tanti, ho sempre il timore di avere quella spocchia tipica di quelli che, appunto, hanno visto tanti concerti e ascoltato tanta musica. E quindi vedere e sentire tutto come qualcosa di già acquisito, come se ogni cosa fosse sempre la replica di qualcosa altro. Succedeva così anche quando ero io che cominciavo ad approcciare ai gruppi a me contemporanei, e detestavo l’atteggiamento di chi, quasi con arroganza, liquidava sempre tutto con il solito “si è già sentito, sembrano i ..”

Ecco, questo è lo spirito con cui mi accingo a raccontare questa edizione dell’Indipendent. 

Ho partecipato solo alla giornata del sabato perché, e questo posso dirlo tranquillamente, il cast della domenica proprio non era nelle mie corde.

Sabato d’inizio settembre. L’Arena Parco Nord si trova all’interno dell’area della Festa dell’Unità. Ci metto un po’ però a realizzarlo perché i primi stand che mi trovo al fianco sono gestiti da concessionari di automobili. Posso capire tutto ma, in un momento in cui si parla di crisi del settore, di un cambio radicale rispetto a consumi ed energia, mi ha dato l’idea del perché, perfino quando si tratta di fare festa, è difficile che la mia strada e quella dei “piddini” si possano incontrare. Per fortuna che poi si recupera con gli stand gastronomici. E la piadina è sempre fantastica!

Da bere solo Pepsi, la bibita democratica per eccellenza. Ho dovuto virare sulla birra, mio malgrado; la bevanda di Atlanta non mi ha mai convinto.

Entriamo, siamo io e il mio amico Giuliano, che di musica ne mastica parecchia e da tanto, anche lui.

E’ molto eccitato di vedere Arctic Monkeys e, a dire la verità, è stato il suo entusiasmo a trasportarmi fino a qui.

Entriamo, e dopo i classici controlli di rito, che ci accorgiamo subito, vertono più sull’evitare che entrino bevande non acquistate in loco che altro, ci troviamo immersi nella musica dei Wombats. Pubblico entusiasta della loro performance, riconosco l’hit “Tales Of Girls, Boys And Marsupials”, e non solo. Li ascolto un po’ distrattamente, ma devo dire che il loro set è convincente davvero. Generosi e grintosi, non si risparmiano. Tuttavia dare un giudizio sulla loro performance sarebbe poco serio, perché appunto ero più concentrato su cibo e bevande che sulla musica. E poi ai festival si sa. E’ così. S’incontrano tante persone, non si va solo per ascoltare musica, anche per parlarne…

White Lies invece li ho seguiti con convinzione. Generazione post - Joy Division, si potrebbe dire. Ma ci sono così tanti gruppi che hanno lasciato un’eredità tanto abbondante? Interpol, Editors, e un sacco di altre band dei giorni nostri, e che vanno per la maggiore, sono la diretta conseguenza di quanto Joy Division hanno dato a noi amanti della musica.

Non male il concerto anche se, a mio parere, un po’ monocorde. Comunque tutto il set è assai godibile. Nulla di straordinario, ma creano l’atmosfera giusta.

Dimostrano di avere sia personalità sia idee chiare. Senza strafare conquistano l’attenzione dei più. Certo, sono le hit quelle che raccolgono maggiore successo, ma gran parte del pubblico dimostra di conoscere il loro repertorio.  Soprattutto “Bigger Than Us”, “Is Love” e  l’ormai classico “To loose my life”, che tutti cantano quasi come una liberazione. A chi non è mai successo di ragionare come il protagonista di quella canzone? Paradossalmente sono proprio quelle fasi di disperazione che è quasi una fortuna poter vivere. Per poi, magari, scrivere una bella canzone.

E’ il momento dei Kasabian. Premetto. A parte gli hit che anche noi su Sherwood trasmettevamo, non li conosco così bene. Decollano sparatissimi. “Club Foot” è il punto di partenza, e ti chiedi come possono arrivare in fondo se si bruciano già gli hit così. E invece è un continuo rilanciare. Davvero continuo. “LSF” la cantano e la ballano tutti. Anche “Fire” non lascia indifferenti. Ci sono ragazzi molto giovani ma anche signori non più giovanissimi. E padri con figli. Una bella atmosfera.

Peccato che l’impianto audio e quello luci non siano sempre perfetti. A discapito di quanto di molto complesso accade sul palco. Non sempre il tutto è illuminato a dovere e, permettetemi di dire, non è una scelta artistica. E purtroppo si nota. L’esecuzione di “Underdog” per un attimo ha fatto anche leva su quella parte emozionale che non dovrebbe mai mancare in un concerto. Una versione molto diversa da quella che ero abituato ad ascoltare. E’ solo un attimo, ma è un bell’attimo. Sono bravi questi ragazzi. Non credo poi che consumerei il loro cd sul mio lettore, ma live convincono. Capisco perché se ne parli così bene.

E arriva il momento di Arctic Monkeys. Mi spingo dalla collina da dove ho osservato tutte le precedenti performance, fino a mescolarmi tra migliaia di fans in attesa. Io e Giuliano siamo molto curiosi.

Cominciano. Ne ho visti davvero tanti di concerti rock and roll nella mia vita, quindi, anche senza la già citata spocchia, mi rendo conto che mi devo liberare di qualsiasi pregiudizio e gustarmi lo spettacolo in libertà. E per questo ci ho messo dieci giorni ad arrivare a una conclusione. Mi chiedevo: “Ma questi Arctic Monkeys, ti hanno convinto? Non ti sembrano qualcosa di poco originale? Sei sicuro che invece non ti sia sfuggito qualcosa?”

Ci ho pensato e sono arrivato alla conclusione che questa è davvero una band che può arrivare lontano. Chi può vantare così tante canzoni che scaldano davvero tanto le folle, seppure molto giovani? Tra quelli eseguiti, brani come CIGARETTE SMOKER FIONA, PRETTY VISITORS, DO ME A FAVOUR, BRIANSTORM (proprio BRIAN, non BRAIN), TEDDY PICKER, CRYING LIGHTING (fantastica!!), THIS HOUSE IS A CIRCUS, OLD YELLOW BRICKS, non ce n’era uno che non fosse cantato da tutti a squarciagola. E non mi sembrava ci fosse un pubblico poco attento o che non aveva pretese e aspettative. E i testi? Non sono per niente banali, mai ripetitivi. Nonostante una forma canzone tipicamente rock and roll, i temi che affrontano, pur non toccando direttamente argomenti sociali o politici, di fatto lo fanno con le storie che ci dicono cose chiare sul tempo che stiamo vivendo.

Gran finale, che peccato non tutti abbiano vissuto come si sarebbe dovuto, tra chi cercava di guadagnare l’uscita e chi una sigaretta,  affidato a quella gemma che è “505”.

Ci ho messo dieci giorni, ma almeno ho capito…

 
 
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