Andrea Laszlo de Simone al Cso Pedro - Live Report

Il Black fra i dei di Andrea Laszlo de Simone

2 Dicembre 2019

 

Il Black fra i dei di Andrea Lazslo De Simone

 

Tutta la volontà d’un tratto se ne va, di fronte all’ovvietà, tutto questo è immensità.


Ombre, fumo e neon lattescenti tratteggiano il palco disposto ad orchestra, tra sovra-elevati e terreni. Un suono celestiale condotto magistralmente dagli archi conduce alla figura in ombra di Andrea Lazslo De Simone che a poco a poco compare sulla scena.

L’identikit di Lazslo è riassumibile in questa descrizione: baffi alla Frank Zappa, capelli in disordine, giacca di velluto ed una bocca sghemba che racchiude una sigaretta perennemente accesa.

È come ritrovarsi hic et nunc seduti a fissare estasiati un palcoscenico da teatro, il tutto però all’interno di un Centro sociale come il Pedro e per lo più in piedi tra un pubblico ben fornito.

Sono proprio nel mezzo di quel pubblico concentrato e un po’ immobile, tra le quali serpeggiano informazioni più varie «Questa è Immensità, nuovo disco», un ragazzo spagnolo dichiara «Me gusta mucho». Dietro di me ho lasciato due amici: Cristina resta dietro, ha necessità di concentrarsi fuori dal mucchio, Antonio, nonostante la premessa che sarebbe andato via presto, resta fino alla fine e, non avendo mai ascoltato prima Lazslo dichiara: «Un mix italiano Battisti-Modugno e Battiato, ma con il
riferimento ai Portishead».

Questi connotati musicali vengono pedissequamente associati al progetto di De Simone, ma proprio venerdì ho pensato a tutt’altro. Il personalissimo tocco armonico e compositivo va oltre ad ogni riferimento, che, per carità, in via mediata e superficiale ci stanno tutti. Il live però si atteggia ad una vera e propria colonna sonora di un film autobiografico un po’ retrò, in cui essere essenzialmente se stessi. Stop.
La prima parte del concerto è dedicata alla suite di quattro tracce racchiuse in un’unica sinfonia. Rispetto a quanto si ascolta in vinile ed in digitale, il portato live è sul serio incantato, fra code lunghissime, gingillii delle pianole a mo’ di carillion meccanico, pizzicature di corde e chorus sfocati.

I 4 pezzi scorrono con un’unione sincronica dei 9 componenti. Non siamo dinanzi ad Andrea Lazslo più accompagnatori, ma ad un tutt’uno, affiatato ed empatico, che rende con chiarezza tangibile, quanta passione è racchiusa in tale progetto, ad oggi con le news di Giulia Pecora al violino, Clarissa Marino al violoncello e Stefano Piri Colosimo alla tromba e al flicorno.

I pochi silenzi vengono subito colmati con lunghi e scroscianti applausi da parte del pubblico. Mentre inizia Conchiglie, un fascio di luce centrale si dispone proprio in un guscio di led, mi volto a guardare i volti illuminati attorno a me: una ragazza si asciuga una lacrima miscelata a mascara colante, quasi intravedo la felicità che galleggia nei suoi fondali. È forse proprio qui che ho compreso quanto può, realmente, la musica.

Il nuovo lavoro del 2019, per l’appunto Immensità targato sempre 42 Records, è un esperimento musicale a 360°, dal particolare all’universale, da ascoltare come una traccia unica onde evitare di perdere la magia che interconnette ogni singola unità.

La seconda parte del live prende piede con l’incipit «Che ne dite se facciamo i pezzi di Uomo Donna?» (l’album d’esordio del 2017), e da qui a Sogno l’amore è un attimo.
Il pezzo procede in tutta la sua magnificenza, d’altronde siamo dinanzi ad una delle migliori canzoni scritte (almeno) nell’ultimo quinquennio. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare. Ho un flashback bianco e nero di una processione di fedeli, tra una Madonna Addolorata ed un Gesù deposto, in una sorta di connessione trascendentale tra realtà e sogno.

Subito dopo Vieni a salvarmi viene eseguita in una sorta di recap psichedelico e più veloce rispetto alla versione studio. Gli stacchi circolari di piano e chitarra, scandiscono un tempo vorace, mentre la paura che tutto stia per finire si accavalla.

Il gruppo ripercorre quasi tutta la tracklist dell’album, dalla sentimentale Meglio, con il piano grande protagonista, a La Guerra dei Baci con i chorus anni ’60 di «Pappapparapappappà» e gli arpeggi acustici, sino ad un bis conclusivo con la viscerale Solo un uomo.

Sento le parole del pezzo che mi coinvolgono, «A volte perdo parti di me, resto così solo, in stati di abbandono», mentre l’armonia ancestrale mista alla melanconia tutt’altro che latente, esplode con un repeat incessante di «Sono-solo-un-uomo».
Le luci si abbassano, gli applausi faticano a cessare, e non resta che imbottigliare l’emozione in un nuovo giorno.

Andrea Lazslo lo si ritrova come un amico simpatico e fedele al bancone del bar mentre abbraccia il suo pubblico, firma i dischi e fa fotografie con i tanti che attendono religiosamente in fila. Mentre lo fisso e attendo anche io di parlargli, proprio come una vera fan-quindicenne, penso che probabilmente è stato uno dei pochissimi concerti in cui gli smartphones son rimasti più in tasca che in aria. Un miracolo.

In finale, credo che Andrea sia in tutto e per tutto un artista che sa toccare le corde più nascoste e distanti, in maniera inconsapevole e inconsueta. È per me, una sorta di comfort food dell’anima.

La data di Padova è purtroppo una fra le sole 4 date annunciate del tour invernale, ad oggi terminato. È tempo infatti di attendere un nuovo arrivo in famiglia, tutto il resto può entrare momentaneamente in pausa.

 
 
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