Perché il mondo della letteratura è maschilista?

Una piccola analisi dell'invisibilità femminile nel mondo della letteratura

18 Marzo 2020

In cinque lunghi anni di liceo classico in cui la letteratura (italiana, inglese, greca e latina, con qualcosa anche in tedesco) è stata pane quotidiano, le uniche voci femminili di cui i professori ci parlarono furono Saffo, le poetesse ellenistiche Anite e Nosside, Virginia Woolf, Jane Austen e le sorelle Brontë. Mi è sempre sembrato un incredibile paradosso il fatto che praticamente metà di queste scrittrici e poetesse appartenesse al mondo greco, mondo misogino in cui le donne erano recluse in casa. Dove sono finite tutte le scrittrici e le letterate italiane, le poetesse inglesi e americane?

In due millenni la condizione delle donne scrittrici non pare essere cambiata molto: per lo più dimenticate, accantonate nello scaffale della cosiddetta narrativa femminile, sconosciute, a malapena citate nei programmi ministeriali e relegate ai festival femminili.

Certo, la «sottorappresentazione del pensiero delle donne nei media e negli spazi culturali» (per citare Michela Murgia) non è un tema nuovo, e nemmeno si limita all’ambito letterario. Ne scriveva quasi cento anni fa Virginia Woolf nel suo Una stanza tutta per sè, in cui analizza in modo tremendamente lucido le condizioni in cui le donne si trovavano a scrivere: nei salotti tra una visita e l’altra e prive di una rendita che permettesse loro di dedicare la vita all’arte. Per Simone de Beauvoir, invece, le donne non saranno mai in grado di produrre opere all’altezza di quelle dei colleghi maschi, finché le loro esperienze di vita non eguaglieranno quelle degli uomini.

Ma è davvero solo un problema pratico quello che una donna doveva (deve?) affrontare per avere successo come scrittrice? Se le donne che si dedicano alla scrittura non dovessero barcamenarsi tra pulizie, figli urlanti e la ricerca disperata di un posticino in cui stare tranquille, avrebbero davvero più successo? Claire Dederer scrive nelle splendide pagine di Quando l’artista è un mostro (pubblicato ne I racconti delle donne) che per essere un artista di successo uno degli ingredienti principali è l’egoismo; bisogna sapersi isolare, dire di no a tutto per dedicarsi anima e corpo all’opera. Se a rinchiudersi nel suo mondo d’arte è un uomo, diventa un genio. Se lo fa una donna, diventa un mostro perché ha abbandonato i figli.

C’è di più. Scrittrici donne ce ne sono e ce ne sono state tantissime. Elencare anche solo le autrici italiane del Novecento sarebbe molto lungo (pensiamo al Premio Nobel Grazia Deledda, che nelle antologie spesso non è nemmeno nominata, ma anche Dacia Maraini, Sibilla Aleramo, Alda Merini, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Oriana Fallaci, solo per chiamare in causa le più famose). Il motivo per cui le opere di queste donne sono raramente lette, figuriamoci studiate, è culturale, sociale. Il mondo della cultura, come purtroppo quello della scienza, della tecnica, della politica, è un mondo ancora prevalentemente maschile, e sono quindi gli uomini che stabiliscono parametri e metri di valutazione. Inutile dire che in un sistema del genere il femminile passa automaticamente in secondo piano. Non stupisce quindi che molte scrittrici nel corso della storia e ancora oggi scelgano di pubblicare con uno pseudonimo maschile: firmarsi con i nomi di Currer, Ellis e Acton Bell spianò la strada alle sorelle Brontë, consentendo ai loro libri di avere poi il successo che hanno avuto, idem per Nelle Harper Lee, che scelse di omettere il primo nome in modo da sembrare un uomo.

Nella società ancora (sigh!) profondamente patriarcale in cui viviamo l’universale è sempre incarnato nel maschile, la donna, come ci insegna ancora una volta De Beauvoir, è Altro, particolare. Mentre l’uomo è essere umano, la donna è donna e basta. Ecco perché Il giovane Holden è considerato un romanzo di formazione che tutt* dovrebbero aver letto, mentre Piccole Donne viene dato esclusivamente alle bambine.

Il cambiamento parte proprio dal capire che invece le donne non scrivono cose da donne per le donne, ma le loro opere possono avere valore universale tanto quanto quelle degli uomini. Leggiamo, parliamo e studiamo tutt* di più di scrittrici donne: non è forse giunto il momento di riscrivere una storia della letteratura – e non solo – più autentica ed equa?

 
 
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