Camminare Raccontando - La Battaglia di Eddie

A cura dell'associazione Ya Basta Edi Bese

2 Aprile 2020

Sono i primi mesi del 2019 e a contribuire al gelo invernale, come un doccia fredda, tornano in auge parole come sorveglianza speciale e divieto di dimora. È quello che ha chiesto la procura di Torino per cinque persone, esponenti della cosiddetta area antagonista. I cinque sono militanti No Tav e del centro sociale Askatasuna: in passato sono andati, in tempi diversi, in Siria per unirsi alle Ypg, le “Unità di milizia popolare” curde che combattono, fra l’altro, contro l’Isis oppure c’è chi è andato in Rojava come civile, a documentare ciò che di drammatico stava succedendo. Già qualche mese prima la stessa sorte era toccata ad un altro giovane, un combattente sardo, anche per lui: “sorveglianza speciale”.
Qual è la colpa? In sostanza essere stati in Siria del nord a supportare la rivoluzione confederale e la guerra di liberazione contro lo Stato Islamico (Isis). C’è chi, infatti, ha combattuto contro Daesh, arruolandosi come volontaria e volontario nelle fila delle YPJ, le Unità di protezione delle donne, e YPG, Unità di protezione del popolo,. Jacopo invece è stato volontario nelle strutture civili della rivoluzione e, come mediattivista, ha denunciato e raccontato dal campo l’invasione turco-jihadista del cantone di Afrin, con i crimini di guerra commessi dall’esercito di Ankara e dalle bande jihadiste sue alleate. Prima e dopo l’esperienza in Siria, a Torino, tutti sono sempre stati attivi nelle lotte sociali, per il diritto all’abitare e contro lo sfuttamento e la precarietà, e ambientali, come quella contro la grande opera inutile e dannosa dell’Alta Velocità Torino-Lione. In questo, secondo l’assurdo teorema costruito da polizia e magistratura nei loro confronti, consisterebbe la loro pericolosità sociale.

Passa qualche mese, arriva l’estate Davide, Jack di Torino e Luisi in Sardegna vengono assolti. Ma per altre tre persone, Maria Edgarda Marcucci, Paolo Andolina e Jacopo Bindi, sono necessari degli approfondimenti. Si torna alla solita litania: secondo la Procura aver fatto parte di quelle organizzazioni portano al timore che, tornati in Italia, potessero sfruttare le loro nuove conoscenze in materia di armi e guerriglia. È il 16 dicembre 2019 e il Tribunale di Torino si riserva di prendere una decisione entro 90 giorni, nel frattempo l’emergenza sanitaria che attraversa l’Italia paralizza gran parte del Paese, non è così per il tribunale di Torino e mentre ci si appresta a ricordare il primo anniversario della caduta di Lorenzo Orsetti, il combattente italiano ucciso dall’Isis a Baghouz, come una scure arriva la sentenza.
Viene condannata a due anni di sorveglianza speciale Eddi come viene chiamata Maria Edgarda Marcucci, unica donna del gruppo dei cinque attivisti per i quali era partita la richiesta di provvedimento. Gli altri sono Paolo, Davide, Jacopo, Fabrizio, per loro la richiesta è decaduta in diverse fasi del dibattimento giudiziario.

Più volte come Yabasta Edi bese abbiamo raccontato la loro vicenda e l’assurdità di un provvedimento coercitivo, lesivo di diritti di base, risalente al periodo fascista e reazionario nel merito e nel metodo.
Oggi ci troviamo di fronte a questa gravissima decisione finale e alle conseguenze estremamente pesanti per Eddi.
La norma della sorveglianza speciale, di origine fascista, prevede gravi limitazioni della libertà di espressione, riunione, movimento, azione e comunicazione con l’esterno da parte dei soggetti interessati. Fatto ancora più grave, la norma viene applicata in assenza di reato, ma come valutazione soggettiva del magistrato riguardo la presunta “pericolosità” definita secondo motivi politici e di opinione del sorvegliato speciale.
Quello che si vuole colpire è il dissenso, in quanto le accuse si basano sulla partecipazione a iniziative pubbliche (presidi, azioni), senza che queste si siano trasformate in denunce ma solo in segnalazioni della Digos.
Eddi è stata considerata «socialmente pericolosa» perché dopo la sua esperienza in Rojava avrebbe partecipato ad altre iniziative politiche considerate “reato”.
Eddi, viene oggi punita per la sua storia di militante del movimento No Tav e delle lotte anticapitaliste nella città di Torino. In particolare tra le motivazioni vi sarebbe la sua partecipazione a un’iniziativa di protesta pacifica presso la Camera di Commercio di Torino contro la vendita di armi alla Turchia.
Si tratta di un gravissimo atto contro una donna che ha rischiato la vita contro il jihadismo e l’Isis, per proteggere le donne e i civili contro l’aggressione turca, proprio da parte di uno stato che non ha un mosso un dito contro le guerre di Erdogan e che anzi, nonostante le promesse non mantenute, non ha mai smesso di vendergli armi.
Ci si accanisce contro l’unica donna del gruppo perché attiva nelle battaglie per il lavoro precario sottopagato, contro la guerra turca in Siria e in Non Una Di Meno.
È scandaloso che a una persona come Eddi si dia una misura del genere seguendo una procedura che non assicura le garanzie di uno stato di diritto e deriva dal ventennio fascista.
Eddi, nella coerenza della sua militanza, ha scelto di andare a fornire supporto a una causa dall'altissimo valore umano, la Rivoluzione del Rojava, basata sulla democrazia dal basso, l’ecologia, la liberazione delle donne e la convivenza pacifica tra i popoli.
Ha sostenuto la resistenza curda contro gli jihadisti del sedicente stato islamico, finanziati e armati dalla Turchia di Erdogan, alleato della NATO, contribuendo a dare una luce di speranza a popolazioni, a donne, uomini e bambini, che da anni vivono nel buio e nella barbarie che hanno investito la Siria dallo scoppio della guerra civile.
Lo Stato italiano, che dopo aver fatto proclami roboanti sulla fine del commercio di armi con la Turchia ai quali non è seguita alcuna azione concreta, oggi mantiene rapporti con il dittatore Erdogan che nel suo delirio neo-ottomano conduce una guerra di aggressione in violazione della legalità internazionale e il cui esercito, con l’aiuto dei mercenari islamisti suoi alleati, commette quotidianamente crimini di guerra e violazioni dei diritti umani e crea centinaia di migliaia di profughi.
Ci si riduce così a condannare alla sorveglianza speciale una donna che ha lottato e combattuto non solo per i suoi ideali, ma difendere quei valori umani e democratici cui tanto aspiriamo.
Continueremo a portare avanti la voce e la memoria delle partigiane e dei partigiani caduti per la libertà. Facciamo nostre le parole di Eddi: «a ciascuna le sue battaglie, per tutte la vittoria!».

 
 

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