Per i 20 anni di "Figure 8" di Elliott Smith

L'ultimo album dell'artista statunitense uscito il 18 aprile 2000

24 Aprile 2020

Steven Smith al secolo Elliott Smith è un artista indimenticato, scomparso il 21 ottobre del 2003 alla giovane età di 34 anni, probabilmente – non è mai stato realmente accertato - suicidatosi a causa della forte depressione che da tempo lo perseguitava.
Il 18 aprile 2020 annovera tra gli anniversari musicali i 20 anni di Figure 8, quinto ed ultimo album in studio, pubblicato per l’etichetta DreamWorks Records per l’appunto il 18 aprile del 2000.

Mi sono avvicinata ad E.S. relativamente tardi e in un tempo alquanto recente. Un mio amico, nel consueto spaccio-tattico musicale, decise di porre dinanzi ai miei piedi una mina sottoforma di link youtube. Si denominava Sweet Adeline alla quale, in combo, fece seguito la magistrale esecuzione di Miss Misery durante la notte degli Oscar nel 1998; il pezzo, infatti, era parte della colonna sonora del film Will Hunting - Genio ribelle del 1997.
Non so ancora spiegare che cosa successe quella sera ma so per certo che i sintomi riscontrati sarebbero paragonabili ad un vero e proprio colpo di fulmine da innamoramento: battiti accelerati, felicità immotivata, voglia di non perdersi nemmeno un minuto la vista e la voce dell’amato.

Da quando Cupido scoccò le sue frecce sono ormai trascorsi due anni. L’infatuazione iniziale ha messo radici, consolidandosi in un background musicale che sino ad allora – vuoi per età anagrafica, vuoi per mode del momento – risultava, irrimediabilmente, monco.
Non mi era mai capitato di approcciarmi ad un artista e alla sua musica in maniera così impetuosa, sino a macinare in pochi giorni tutta la sua discografia e a scovare - materialmente - tutti i suoi dischi al 23 di Padova.

Dilettandomi nella scrittura di recensioni di dischi, ho pensato parecchio a fondo il modo in cui avrei potuto scrivere di Elliott Smith, lui che, per eccellenza, rappresenta un volano ispirazionale che avvolge, sovente, la mia personalità.
A scanso di equivoci, vorrei anche rivelarvi i dubbi amletici che hanno attraversato la mia testolina. Ha senso che io, sulla soglia del club 27, scriva di un ventennale, specie se quei vent’anni trascorsi rappresentano la quasi totalità della mia esistenza? Probabilmente no. Ed è per questo che sino all’ultimo avrei voluto lasciare la penna, o meglio, la tastiera, a chi quegli anni se li è goduti a pieno, aspettando con trepidante attesa – in quell’aprile del 2000 - il nuovo disco.
Eppure, una molla inconsueta ha avuto la meglio ed è il motivo per la quale son qui. La musica non ha confini, specie – soprattutto – quelli anagrafici, e probabilmente questo articolo potrà raggiungere altri della generazione ninety, sino ai millennials, che molto probabilmente non lo conoscono.

Veniamo dunque a tale anniversario.

Figure 8. Un otto che si appresta a raggiungere l’infinito (se capovolto!).

La copertina si consta di una foto che ritrae Elliott e alle cui spalle troneggia un murales con strisce serpeggianti nere, bianche e rosse. Quel murales, scoperta che mi ha stretto il cuore, è reale, e non creato appositamente per l’album; si trova infatti sulla Sunset Boulevard, a Los Angeles, ed oggi è divenuto meta di pellegrinaggio nonostante la zona sia, ai più, del tutto insignificante.

L’incipit dell’album, Son of Sam, ha decisamente una tendenza mccartneyana nel piano, alla quale si associano beats rilassanti e chitarre dai rivoli psichedelici. L’orecchio riporta all’idea da valzer-marcetta già presente in XO (1998), in cui, come marchio di fabbrica, E.S. ha aggiunto il consueto tocco in minore di malinconia a scroscio.
Il prosieguo impone un deciso stop agli arrangiamenti corposi: è il ritorno impellente alle chitarre arpeggiate (Somebody That I Used To Know) prima della ben più massiccia Junk Bond Trader, costruita tra folli tastiere staccate, chitarre acide e campane a scandire i quattro quarti, sino al finale orchestrale in rivoli di archi aspirati.
La teoria del tutto subisce poi una bipartizione: da un lato Everything Reminds Me of Her, dall’altro Everything Means Nothing To Me. Il primo narra di rimandi mentali a una donna ormai lontana, quasi a mo’ di scuse, verso un’altra persona vicina, («But everything reminds me of her this evening, so if I seem a little out of it, sorry»). Nonostante vi siano tutti i presupposti tematici per essere totalmente struggente, come in un topos consolidato del cantautore che narra di amori terminati, è in realtà solo il secondo pezzo che raggiunge vette elevate di tormento interiore. L’atmosfera del piano legata al synth prima tenue poi impetuoso è quasi da carillion scordato. In questa traccia c’è un Elliot senza veli. Sfiancato e allo stremo ma, al contempo, capace di trasformare anche il dolore più atroce in Poesia.

In L.A. eccole che compaiono le reminiscenze ben più grunge, con schitarrate di rimando ed un finale degno degli Heatmiser.
La chicca simpatica dell’album, è contenuta nel cameo In The Lost and Found nella quale ripercorrere una sinfonia Bachiana con un piano honky-tonky no stop, quasi a ricreare una corsa, ma ben più smielata, sebbene venga travolta nel pieno da bassi orchestrali in grado di trasformarla in una storia grottesca.
Prove di Stupidità, è invece un pezzo in perfetto stile brit-pop con schitarrate degne di John Lennon in Revolution. Il pezzo è una tempesta inquieta in grado di trascinare tutti sino alla sua coda maestosa tra violini e riff in repeat.
Il beat cupo sposato ad una linea rossa di synth si spinge sino all’organetto grave per Happiness, traccia a cui si associa la locuzione «The Gondola Man», dato che qui E.S. si barcamena tra le acque salmastre di una laguna, barcollando ed ondeggiando, anche se, di tanto in tanto, abbozza lievi sorrisi di felicità.
Ironico finale con Bye, che chiude l’ultimo album prima della sua morte. Un pezzo strumentale ovattato, che sembra esser stato inciso su nastro da un pianoforte in lontananza, dal sound fiabesco ritrovabile solo fra i pezzi del compositore Ciaikovskij.

Per molti il disco rappresenta una sublimazione musicale non pienamente raggiunta. E.S. si spoglia dai panni del cantastorie solista dall’esecuzione più intimista e si lascia accompagnare da arrangiamenti ben più elaborati, in un melting pot di ispirazioni dal sound Beatlesiano.
Tuttavia è un disco che, vent’anni dopo, suona ancora integro e colmo di cose da scoprire, ad esempio, vi siete mai accorti di questa similitudine poetica?

«The spin of the earth impaled a silhouette of the sun on the steeple».
La rotazione della terra ha creato una sagoma del sole sul campanile.

 
 
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