Perdere assieme ai Marrano, perché i peggiori sono i vincitori

Il nuovo album della band riminese conferma la loro forza abrasiva

27 Maggio 2020

Marrano

/mar·rà·no/

Aggettivo e sostantivo maschile

Titolo ingiurioso, altezzosamente rivolto dagli Spagnoli ai Mori e agli Ebrei da poco convertiti; quindi, ignobile violatore del codice cavalleresco: mancator di fé, marrano (Ariosto); oggi, spreg., persona villana o tracotante.

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Chiarita l’origine del nome, chiariamo anche cosa sono i Marrano nel rock italiano: una piacevole sicurezza, un’energia tracotante, un suono personale e non accostabile ad altri. Non sembrano Ministri, Verdena ecc… Sono loro e fanno il loro.

Perdere, titolo del secondo album uscito quest’anno per Altini Cose / Floppy Dischi, dice già di per sé molte cose. Questa parola evoca e si ricollega a tantissimi significati, vira su traiettorie che riguardano affetti, lavoro, soldi, occasioni, tempo. Elementi che tutti perdiamo consapevolmente o meno, volontariamente o meno.

Il disco parla ai perdenti per colpa e senza colpa, o la via di mezzo che la maggior parte degli ascoltatori rappresenta. Come gli spagnoli offendevano chi si convertiva per sopravvivenza, ora bulli denigrano chi ha scelto di vivere diversamente dalla morale comune.

«Nera è la mia fiamma che si schianterà contro il muro del tuo pensiero / la vedi come va la mia felicità / la senti come fa» (Golf)

Paradossale quanto il termine “perdere” diventi pregno di significato oggi, mentre guardiamo fuori dalle nostre finestre il vuoto cosmico di un mondo bloccato, fermo, o che lo fa singhiozzando quasi stesse piangendo mentre altre stesse quasi a soffocarsi.

Paradossale perché sotto questo strato di storie di perdita, composto da pregiudizi, strade sbagliate, distanze fisiche ed emotive perse nel tempo, c’è il messaggio urlato a darsi una scrollata alle spalle, levarsi di dosso la polvere e semplicemente continuare.

“Le mie voci mi dicono di andare via / ma i giudizi sono sempre stati pesanti a casa mia” (Gente)

Empaticamente il valore aggiunto dell’ascolto è l’estrema presa di coscienza generata, un senso di tangibilità dato dal sound strumentale e vocale ruvido e impattante, street, se volessimo usare una parola che non indica solo l’aspetto crudo della faccenda, ma pure l’essenzialità e lo sforzo infilato dentro il proprio cervello per proseguire.

Per continuare non bisogna né essere depressi né sovraeccitati. Quante volte ci siamo gasati all’inizio di un qualcosa di nuovo, quanto alla fine si è rivelato solo essere una promessa senza risultati concreti. Una disillusione più distruttiva della situazione di partenza.

Credo davvero che questo sia un album da ascoltare assieme, da catalizzare verso un ascolto collettivo con gli amici, perché la merda che tira fuori, i dubbi e le insicurezze, quelle paranoie che ci teniamo dentro come sfighe inconfessabili pena apparire deboli, che ci tengono svegli la notte, sono da affrontare assieme. Un peso emotivo da 10 in due pesa già 5.

"Questo è tutto il fiato che ho dentro / per urlare un secondo ma io voglio andare fuori di testa" (Oceano dei Vivi)

 
 

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