Intervista ai veronesi Thing Mote

Dalla pandemia alla disumanizzazione…usciamone con la musica! Il 5 giugno hanno pubblicato il debut album "Robokiller"

16 Giugno 2020

Ciao ragazzi, innanzitutto domanda di rito, come va? Come avete trascorso il periodo della quarantena?

Giuliano: Ciao Rossella! Ora che è finalmente uscito Robokiller direi che va alla grande. Visto che la lavorazione è stata piuttosto lunga eravamo impazienti di farlo uscire e portarlo sul palco… Poi è arrivato il virus e abbiamo dovuto rivedere i piani: formato digitale e niente concerti. Riguardo alla quarantena, personalmente lo considero un periodo talmente peculiare che devo ancora elaborarlo con delle considerazioni compiute. Credo offra molti spunti di riflessione riguardo a cose che venivano date per scontate: penso alla libertà personale, al valore della sanità pubblica fino ad arrivare a tutte le implicazioni a livello economico e di sistema. Purtroppo ho dei seri dubbi sul fatto che tutti questi spunti vengano approfonditi, siamo già tornati ad accelerare senza capire dove stiamo andando.

Ho ascoltato il vostro disco (oltre ad averlo recensito! Leggi qui la recensione) e devo dire che mi è piaciuto molto!
Partiamo dal tema principale. La disumanizzazione, la macchinizzazione e l’avvento di robot e androidi. Come avete sviluppato questa tematica, da dove siete partiti?

Giuliano: Leggendo la tua recensione ci sono brillati un po’ gli occhi. Si capisce quando
qualcuno ascolta la musica con passione, cercando di percepire le emozioni e i contenuti che abbiamo cercato di racchiudere in forma sonora. Quindi ti ringraziamo.
La tematica dell’album parte da una presa di coscienza: siamo l’ultima generazione che ha vissuto in un mondo dove la pervasività della tecnologia digitale era assente o fortemente circoscritta. Sentiamo questa piccola responsabilità nel ricordare di quando “le cose erano reali” (“meet us, where the things were real” - Redroom). Una responsabilità che fa quasi sorridere se pensiamo che ci sono state generazioni che avevano sulle spalle cose come le guerre mondiali e l’olocausto.

Sempre sulle liriche, devo dire che c’è veramente un melting pot di riferimenti! Dai poemi, ai filosofi, avete addirittura immaginato un dialogo tra quattro menti illustri! Da dove proviene questo stuolo rilevante di studi? Dietro le vostre vesti di musicisti si celano animi da umanisti?

Giuliano: Chiariamo subito che i veri studiosi sono altrove, nessuno di noi lavora in ambito accademico. Cerchiamo di essere aperti alle riflessioni che provengono dai campi più disparati, si tratti di letteratura, cinema o filosofia. Penso che lo stesso concetto di fondo di Robokiller sia umanista, mentre vediamo quotidianamente come ci si affidi alla tecnica con troppa leggerezza.

Proprio a riguardo, prima di traghettarci nel discorso musicale, dato che qui su Sherwood.it siamo una webzine a tutto tondo e trattiamo anche di lettura e cinema… Quali sono i libri dalla quale avete attinto per la costruzione di questo album? Sulle serie tv, invece, pare che Black Mirror vi calzi a pennello! Ad ogni modo, cosa ci sentite di consigliare?

Giuliano: Le prime due stagioni di Black Mirror (consigliataci dal nostro precedente
batterista Giovanni ancora quando era una serie di nicchia, prima della sua
americanizzazione) sono state un’ottima scintilla. Poi abbiamo attinto dal film Her di Spike Jonze per sviluppare un discorso sulle relazioni sentimentali. Una canzone come Wasteland, in realtà, è più debitrice delle atmosfere e della critica sociale dei film di George Romero rispetto al poema di T.S. Eliot. Oppure Stillness potrebbe essere completata con la visione di La classe operaia va in paradiso di Elio Petri.
A livello letterario, gli scrittori più aderenti all’album sono certamente Philip K. Dick e Isaac Asimov.

Approvo molto il discorso della non-categoria, non è giusto incasellarvi in un reparto stagno. Ciononostante vorrei comunque approfondire le vostre influenze, quali sono i vostri ascolti? Avete delle muse ispiratrici?

Giuliano: Il discorso della non-categoria può sembrare un modo per tirarsela e fare gli
anticonformisti a tutti i costi, per noi è stata una semplice esigenza di libertà espressiva.
Anche perché ognuno di noi ha background musicali differenti. Se comunque dovessimo scegliere delle band in comune a tutti e quattro credo che queste possano essere Nirvana, Radiohead, Rage against the machine, System of a Down e Queens of the stone age.

Siete di Verona e fate (consentitemelo) alternative rock. Ma avete deciso di farlo
esclusivamente in inglese. C’è una spiegazione? Un giorno ci sarà mai un pezzo cantato in italiano?

Giuliano: La prima cosa che ci ha detto Jacopo Gobber quando siamo andati nel suo studio a presentargli il materiale da registrare è stata: «peccato che i testi siano in inglese».
Avendo cominciato a suonare cover britanniche abbiamo proseguito sulla stessa linea
anche nello scrivere le prime canzoni originali. Con l’inglese magari riesci di più a sfruttare il suono delle parole. In realtà stiamo facendo delle riflessioni in merito…
E comunque abbiamo un pezzo in italiano di cui andiamo molto orgogliosi: è una cover di un canto popolare della Grande Guerra, si chiama Addio Padre e Madre Addio, c’è il videoclip su Youtube e la canzone su Bandcamp. Abbiamo partecipato ad un’iniziativa di un’associazione culturale (H-Key) che si propone di rivalutare luoghi e canzoni della nostra storia.

Quali sono le band della scena alternative anche più underground che ritenete validi e che dovremmo ascoltare?

Giuliano: Restando nel veronese dovreste ascoltare gli Ultimo Attuale Corpo Sonoro, già solo la loro canzone Empirismo eretico meriterebbe una statua.

Siamo agli esordi della FASE 3 dopo un periodo alquanto difficile per tutto il mondo della musica, come immaginate il vostro primo live di presentazione del vostro debut album?

Giuliano: Molto, molto, molto emozionante.

 
 

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