"La vita gioca con me" di David Grossman

La recensione dell'ultimo romanzo dell'autore israeliano

17 Giugno 2020

Trovo la narrativa israeliana piacevolmente affollata: da Yehoshua a Eskhol Nevo, ogni pagina è un susseguirsi di piccoli dettagli profumati e parole dal carattere esotico, ma al tempo stesso familiare. Poi c’è Grossman, il gigante sacro, che esalta l’importanza dell’ironia e della risata anche nello svolgersi di una situazione tragica, e che ti costringe a fare una pieghetta all’angolo di così tante pagine da trasformare il tuo romanzo in un ingombrante oggetto vaporoso.

La vita gioca con me è la storia di tre donne di tre diverse generazioni; ciascuna sconta le proprie pene, i propri errori, gli errori di qualcun altro. Vera, rinchiusa per tre anni e mezzo nel gulag dell’isola di Goli Otok e costretta a lasciare la figlia Nina, una creatura sfuggente che rifiuta l’amore e si rifugia in uomini meschini. Quest’ultima scappa in un altro paese abbandonando sua figlia Ghili, un nome che significa “gioisci”, e che le funge da costante promemoria di ciò che la vita non le ha concesso.

Un piccolo esempio della menzione iniziale - di come Grossman conceda all’ironia di infilarsi dove più l’aggrada - è un flashback di Vera mentre comunica al padre di essere intenzionata a sposare Miloš, nonostante lei sia ebrea e lui un ufficiale serbo (siamo nel 1940). Il padre impallidisce: «Prima che tu mi disonori, mi butto da finestra». E Vera: «Ecco, allora apro».
Da questo breve scambio di battute trapela anche l’utilizzo di un diverso approccio linguistico in base alla nazionalità dei personaggi: un linguaggio povero ma risoluto, quello di Vera; sussurri perfettamente cadenzati, e questa è Nina; un ricco vocabolario israeliano - talvolta spiegato, talvolta lasciato all’interpretazione del lettore - quello di Ghili.

La trama fa sì che le tre figure si riuniscano allo scoccare del novantesimo compleanno di Vera, percorrendo insieme un viaggio a ritroso nel tempo e nei luoghi, volto all’esplorazione dell’isola di Goli Otok e alle motivazioni che hanno spinto l’una o l’altra a prendere decisioni così determinanti e, in qualche caso, umanamente catastrofiche.

La maternità è una condizione sulla quale s’interrogano spesso: nei suoi anni di gozzovigliare, Nina si concede agli uomini per alleviare lo strazio della solitudine, definendo il suo atteggiarsi con loro: «dolce e croccante, ingenuo morbido e materno». L’ho trovato un aggettivo curioso, ma al contempo struggente, perché quante sfaccettature può avere un sentimento? Amore, nostalgia, rimembranze e desideri sfumati: questo è La vita gioca con me, e riportare più tasselli della trama sarebbe fuorviante, poiché sono convinta che ogni lettore trarrà dal suo paragrafo prediletto una piccola epifania joyciana personale, un po’ rivelatrice, un po’ rassicurante, che parla direttamente a lui.

Autore: David Grossman, considerato tra i più grandi scrittori e romanzieri contemporanei. Gerusalemme, 1954

Traduttrice: Alessandra Shomroni

Casa editrice: Mondadori

Pubblicato nell’ottobre 2019

 
 
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