Recensione de "La versione di Fenoglio" di Gianrico Carofiglio

La nuova opera dell'ideatore del filone thriller legale

23 Giugno 2020

Carofiglio è da un po’ sulla cresta dell’onda per via di un genere letterario di cui, per la maggior parte, ha contribuito a creare e a consolidare in Italia: il romanzo giudiziario. Ma attenzione! Non parliamo di un giallo, né di un thriller o quantomeno di un resoconto dai particolari morbosi.

I suoi sono romanzi che, almeno secondo un rilievo prettamente soggettivo, si discostano dal prototipo standard del prodotto televisivo - italiano o made in Usa che sia - categorizzato come crime, giudiziario, giallo.

L’autore, a differenza che in quest’ultimi, riesce a tessere connubi romanzeschi ben pensati, tra dispositivi tecnici e ricordi sentimentali, mai melensi, con un sottotono scuro, amaro, di sottofondo.

Nella narrazione al presente, i giorni trascorrono veloci, intermezzati da densi flash-back ricchi di fitti riferimenti (anche procedurali) e chiosati da una morale di fondo, mai espressa, ma che potrei riassumere così: mai fidarsi delle apparenze, di ciò che si manifesta in superficie. Prima o poi si viene inghiottiti dalle fintamente innocue sabbie mobili.

La versione di Fenoglio (Einaudi 2019) appartiene ad una saga in cui il il protagonista è, per l’appunto, Fenoglio, maresciallo dei Carabinieri quasi in pensione, omonimo dell’illustre scrittore italiano con il quale ha una sola cosa in comune aldilà del cognome: la verve linguistica.

Infortunatosi, è costretto a frequentare quotidianamente delle sessioni di fisioterapia. Esercizi, cyclette e fiumi di parole. Non poteva, a questo punto, che nascere un’amicizia profonda con Giulio, brillante ventenne dalle battute mordenti e dalle citazioni facili, anche lui nello stesso luogo per lo stesso motivo di Fenoglio.

Tra uno step e l’altro, intermezzati dalle disposizioni svelte della fisioterapista – nonché affascinante - Bruna, tra i due si consolida un ottimo rapporto, tra le insicurezze stoiche di Giulio e le storie di tempi remoti in cui Fenoglio da protagonista diviene narratore.

Ad ogni sessione una storia. Dopo ogni sessione un aperitivo dinanzi a vassoi di cibo procacciati dal ligio, ex-ladruncolo d’appartamento, Tàrzan. Ed è così che veniamo a conoscenza di alcuni episodi accaduti durante la ormai lunga carriera del carabiniere.

Ci sono delle vittime e dei carnefici e al lato dei personaggi accessori che, insieme ai principali, tessono e disfano una tela di Penelope, composta da minuzie, indizi, contrasti, informazioni, soffiate.

Le vittime, intendendo tali nel senso comune, sono sicuramente i morti di morte violenta: il medico, ucciso con una statua d’abbellimento da scrivania, la vecchietta vittima di rapina impropria in casa sua, il ragazzo innamorato della prostituta, brutalmente assassinato con un coltello a scatto.

La verità prima o poi salterà fuori, è chiaro, ma prima che questa emerga c’è una tagliola che non perdona. La scure del giustizialismo può far saltare alcune teste innocenti e del tutto innocue: c’è chi ottiene otto anni di carcere, da innocente, per via di una confessione estorta in un momento di stress esasperante, tra minacce e schiaffi di sbirri del tutto arbitrari. C’è Denise, la prostituta che viene costretta ad autoincriminarsi di omicidio scriminato da legittima difesa affinché il pappone nelle retrovie potesse continuare a dormire sogni tranquilli, senza scocciatori tra i piedi.

Ci sono anche situazioni reali, cose ben difficili da inventare se il tutto viene contestualizzato in un territorio come quello di Bari. C’è la malattia psichiatrica, le donne dell’est costrette alla “vita”, i genitori distrutti dalla carcerazione del proprio figlio, gli informatori informali della polizia giudiziaria, i rei contro il patrimonio, che vivono di espedienti e lavoretti illegali.

Le storie ben si miscelano nel grande calderone di esperienze di Fenoglio, uomo tutto d’un pezzo, amante della libertà, umile nel profondo tanto che arriva a rammaricarsi di aver dato sfoggio di sé raccontando queste storie, probabilmente autocelebrative, ad un ragazzo giovane e affamato di sapere.

La fama di sapere di Giulio è sicuramente affascinante. I suoi interventi sono sporadici e brevi ma, si capisce, notevolmente ispirati.

Dietro di lui si nasconde un’ombra ben più densa: quella di un giurista inaridito da una facoltà, appassionato della scrittura, innamorato delle contraddizioni ben più pragmatiche provenienti dalla vita reale. Mi ha ricordato qualcuno, probabilmente, chissà, l’autore?

Gianrico Carofiglio (1961) è uno scrittore, ex magistrato e politico. Ha inaugurato il filone thriller legale italiano con le saghe dell’avvocato Guerrieri ed il carabiniere Fenoglio. È attualmente finalista del Premio Strega 2020 con La misura del tempo (2019 – Einaudi).

 
 
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