ll Lido di Venezia, la fine anni '60 e una simpatica protagonista: il mix imperdibile di "Quattro giorni"

Abbiamo intervistato Antonella Giacon, l'autrice, per farcelo raccontare meglio.

17 Agosto 2020

Una ragazzina, Marina, nel periodo di cambiamento per eccellenza, la pre adolescenza, è la protagonista di Quattro giorni.  Ed anche Padova, il Lido di Venezia, il rapporto con i genitori e gli amici, l’Italia di fine degli anni ’60 e la dimensione femminile sono i vari pilastri che arricchiscono la storia.

Di tutto questo e molto di più abbiamo parlato con Antonella Giacon, l’autrice di Quattro giorni, opera pubblicata pochi mesi fa da Edizione Corsare.

Un libro rivolto ai ragazzi ma che mira ad essere un romanzo trasversale. Un racconto da leggere per chi è stato ragazzino e ragazzina negli anni ’60, per chi ha nipoti e figli undicenni e anche per colore che vogliono immergersi in una storia ambientata tra calli, laguna, miti anni ’60.

Partiamo da Antonella: padovana di nascita e umbra di adozione. Insegnante di professione e da poco anche scrittrice. Cosa le ha fatto decidere, due anni fa, di passare dalla cattedra alla scrittura rivolegendosi sempre direttamente ai ragazzi ma in questa modalità così differente?

In verità io scrivo da sempre, ma per molti anni la mia attenzione si è rivolta soprattutto alla poesia. Infatti ho all’attivo due libri pubblicati, Sottopressione nel 1994 e Pegno d’amore nel 2001, più numerose altre poesie presenti su riviste specializzate e nel web. Ho iniziato anche molto presto a insegnare scrittura creativa, credo di essere stata tra le prime in Umbria, quasi 30 anni fa, con un’attenzione specifica alla didattica della poesia, in diversi contesti: con bambini, preadolescenti, adulti, insegnanti, e in situazioni di disagio, come comunità di recupero e nel carcere femminile di Perugia. Ho scritto racconti e per il teatro. Ho sempre alternato la scrittura in prosa a quella in poesia e ho scritto due romanzi per adulti in precedenza, tuttora inediti. Avevo comunque la coscienza di non aver trovato ancora la mia voce più autentica, finché non ho incontrato nella scrittura Demis, il protagonista del mio romanzo precedente, Qualcosa di speciale.  Mi sono resa conto subito che avevo “Qualcosa di speciale” da raccontare e non mi interessava a chi raccontarlo, se a bambini, a ragazzi o ad adulti. In realtà pensavo che la storia andasse rivolta agli adulti, Ma Giuliana Fanti, l’editrice delle Edizioni Corsare che fu tra le prime a leggerlo mi convinse a pubblicarlo come romanzo per ragazzi. Le sono molto grata di avermi convinta perché ho scoperto che Demis è stato molto amato dai bambini e i ragazzi che l’hanno letto, oltre che dai grandi.

Comparando Qualcosa di speciale con Quattro giorni ho notato un punto in comune: entrambi i personaggi hanno delle figure genitoriali spesso impegnate, sfuggenti o percepite come distanti. I suoi libri, per il pubblico adulto, possiamo dire che mirano a parlargli del loro ruolo e a fare riflettere sull’essere spesso troppo concentrati su altro?

Quando racconto io restituisco semplicemente uno sguardo, nello specifico lo sguardo di un ragazzino o di una ragazzina. Ho lavorato per molti anni con bambini e bambine, ho ascoltato ciò che mi raccontavano implicitamente ed esplicitamente di sé, delle proprie esperienze, dei rapporti con la famiglia. Ho osservato. Ho ricordato la mia infanzia, l’ho risentita più volte nella pelle. Secondo me il narratore o la narratrice hanno il compito di essere il più limpidi possibile, affinché le riflessioni e le considerazioni nel lettore possano sorgere in modo spontaneo, così come le sensazioni e le emozioni. Dire che i bambini sono soli è vero, ma forse è un’affermazione un po’ superficiale, dietro c’è un mondo.

Tornando a Quattro giorni, la protagonista e voce narrante è appunto una ragazzina, Marina. Come lei stessa narra, riferendosi ai libri presenti sul comodino di suo papà, afferma di non apprezzarli anche «perché sono troppo noiosi e poi non ci sono mai femmine, solo maschi». La scelta di questa protagonista come è nata? Crede che nella letteratura per giovani lettori e lettrici siano ancora poche le protagoniste?

Quello che per me, bambina degli anni’60, era molto duro accettare era che tutte le storie più interessanti avevano come protagonisti i maschi e tutt’al più alle femmine veniva assegnato un ruolo da osservatrice, a meno che non si trattasse di racconti educativi, con bambine buone o bravissime, piene di generosità e altruismo, che mi facevano sentire sempre inadeguata e creavano in me una rabbia sorda che allora non riuscivo a spiegarmi. Eravamo ancora un po’ lontani dall’arrivo di Pippi Calzelunghe. Diciamo che ho voluto far parlare quella bambina degli anni ‘60 e le cose che si era tenute chiuse in gola per tanto tempo, anche se Marina non sono proprio io, lei è molto più coraggiosa di me. Ora la situazione è piuttosto diversa, le bambine e le ragazze hanno molte più eroine in cui identificarsi, ma è raro secondo le mie osservazioni che un bambino o un ragazzo scelga un libro che abbia una femmina come protagonista, mentre è molto comune che una femmina scelga in modo meno selettivo.

Nel romanzo il lato padovano emerge, oltre con riferimenti diretti alla città, anche con dei veri e propri tocchi di colore lessicografici nel libro. Ci sono la famiglia dal cognome veneto Menìn, termini padovani come “rustego”, “sporte” “spolpo” etc. Cosa l’ha spinta ad ambientare il tutto tra Padova e Lido di Venezia?

Una delle regole che cerco di rispettare il più possibile è l’ambientazione della storia in luoghi fortemente conosciuti e attraversati. Per “attraversati” intendo proprio conosciuti attraverso i cinque sensi, potrei dire “Camminati”. Il luogo, l’ambiente deve diventare un personaggio vero e proprio che interagisce con il/la protagonista e gli altri soggetti della narrazione. Lido di Venezia lo conosco bene perché ci ho trascorso le mie vacanze estive fino all’adolescenza. È un luogo che amo moltissimo e che ho voluto “ricamminare” più volte per lungo e per largo mentre scrivevo il libro. Anche il linguaggio fa parte dell’aderenza all’ambiente. Ho voluto inserire solo dei tocchi di dialetto in Quattro giorni, tranne in un punto, dove faccio parlare la zia Sara, una zia molto particolare, che essendo anziana, proprio per la mia ricerca di aderire con profondità al luogo e al tempo, parla esclusivamente in dialetto. Anche Marina. la protagonista di Quattro giorni si esprime usando una sorta di italiano tradotto dal dialetto, perché allora la maggior parte degli adulti parlava quasi esclusivamente in dialetto e i bambini avevano il compito di fare da ponte linguistico tra i due mondi, il veneto e l’italiano.

L’anno di ambientazione è il 1967. Scelta originale, interessava dare un messaggio ai ragazzi?

Mi piacciono le storie di confine, cioè i momenti in cui sta per avvenire un cambiamento, una trasformazione, che sia il passaggio dall’infanzia alla preadolescenza, o da un’epoca storica a un’altra. In Quattro giorni Marina percepisce in modo confuso che qualcosa dentro di lei sta cambiando nel corpo, nella mente, nelle proprie convinzioni, ma il suo cambiamento fa parte di qualcosa di più grande che sta accadendo, Ecco, io, vorrei aver afferrato quel fremito. Volevo anche ricordare trasversalmente, non solo ai ragazzi perché questo è un libro crossover, che allora le possibilità di espressione autentica per una bambina, una donna, erano molto poche. Che la libertà di cui godono ora è il frutto di lotte e sacrifici, che è bene tenerlo a mente sempre. Spero, se ci saranno delle adulti, delle adulte che lo leggeranno alle nuove generazioni, che ne parlino, che raccontino ciò che è successo, come si viveva allora anche su questo versante.

Le capita mai di parlare ai ragazzi e alle ragazze delle storie che sta pensando di scrivere? Le hanno fornito spunti o formulato specifiche richieste?

Ho fatto diverse presentazioni di Qualcosa di speciale nelle scuole, mentre purtroppo Quattro giorni è uscito appena prima del lockdown e le interazioni sono ancora molto limitate. I ragazzi e le ragazze spesso mi hanno chiesto come si sviluppano le vicende di Demis, cosa gli succede alla scuola media e io ho risposto che non lo so. Ho una buona conoscenza dei bambini fino ai 10-11 anni essendo insegnante di scuola primaria da molti anni, ma il mondo dei ragazzini e delle ragazzine che arrivano alla scuola secondaria di primo grado mi è abbastanza sconosciuto e so benissimo che è tutta un’altra storia. Sto provando a scrivere qualcosa sui primi mesi di scuola media di una ragazzina di 11 anni, ma non so se ci riuscirò. «Ogni storia è un mistero e una benedizione, bisogna attendere che essa arrivi e ci permetta di ascoltarla».

Noi facciamo un in bocca al lupo ad Antonella e vi consigliamo di andarvi subito a cercare questo suo ultimo lavoro. Non importa con che età affrontiate la lettura ma di certo troverete materiale al quale pensare e atmosfere in cui immergervi. Buona lettura!

Illustrazione della copertina: di Miriam Serafin

Casa editrice: Edizioni Corsare

 
 
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