Lezioni Pratiche Di Volo: Andrea Chimenti

di Mirco Salvadori

4 Novembre 2020

Da anni abituati a vederlo sulle scene, prima con la formazione dei Moda e poi da solista, Andrea Chimenti è un artista che potrei definire atipico. Lontano dai fari del successo fine a se stesso, da sempre alla ricerca di nuove modalità espressive, lo ritroviamo alle prese con il suo ultimo affascinante progetto che comprende musica e scrittura intitolato L'organista di Mainz. Un cantautore, musicista, interprete che da sempre ha scelto il volo libero, indipendente, come metodo espressivo. Vi consiglio di seguire le sue lezioni pratiche di volo, parole che aiutano a sentirsi meno soli.


Una domanda, la prima, che sempre pongo a coloro che giungono da molto lontano e ancora solcano le onde del suono. Mi baso sulle date della vostra prima apparizione come MODA e quella che appare nell'Organista di Mainz: 1984 - 2020. Come ha attraversato questo enorme spazio temporale Andrea Chimenti e a cosa gli è servita questa lunga attraversata.

Dopo tanti anni di cammino musicale su un percorso non sempre facile, spesso mi chiedo come io lo abbia potuto compiere. Non è stato semplice anche a causa delle mie scelte, ad ogni bivio ho sempre optato per la strada più difficile e non so il perché. Puro masochismo? Un desiderio di percorrere i margini per la paura di osare troppo nell’attraversare il centro? Sottrarmi al confronto? Può essere in parte, ma la cosa che ho provato senza alcun dubbio è una sorta di spinta interiore a fare una serie di scelte spesso scomode. Eppure quando ho iniziato sognavo la “fama” come ammetterebbe ogni artista onesto che inizi il suo percorso. Poi mi sono accorto che stavo andando altrove lontano dai riflettori e sentivo fortemente che era quella la strada che dovevo percorrere. Ogni buona attraversata, serena o tempestosa che sia, ha lo scopo per inseguire o raggiungere qualcosa, una meta. Tutto questo scrivere musica e parole mi è servito per conoscermi e probabilmente altro non ho fatto che cercare me stesso, per incontrare la mia parte più vera. Ho inseguito e continuo ad inseguire il senso della vita che a volte mi sfugge come ad un naufrago l’appiglio.

Sei un artista che si porta appresso il proprio passato musicale, i suoi ricordi soprattutto o ad un certo punto del tuo percorso hai deciso di guardare sempre e solo avanti.

Questa è una delle poche certezze, senza paura di sbagliarmi, posso dire di aver sempre guardato avanti. Lasciati i Moda nel 1989, ho iniziato una carriera da solista sterzando fortemente e eliminando ogni riferimento al passato con il mio gruppo. Devo dire che questo atteggiamento l’ho mantenuto nel corso della mia carriera per ogni nuovo lavoro. Ovviamente la storia che mi lasciavo ogni volta alle spalle costituiva un bagaglio di esperienza a cui attingere, ma l’unico scopo è sempre stato quello di scegliere nuove strade. Non ho mai più cantato dal vivo brani dei Moda nonostante mi venisse richiesto, allo stesso modo nella mia carriera solista non ho mai riproposto concerti come “L’Albero Pazzo” o “Vietato Morire” negli anni che sono seguiti. L’unica eccezione è per Il Porto Sepolto verso il quale ho un’affezione particolare ed è un concerto/reading che ho portato in giro per molti anni. Lo stesso concerto dedicato a David Bowie continuano a richiedermelo, ma ho deciso che continuare a farlo diventerebbe una zavorra nel mio percorso. Quando il carico diventa troppo pesante si fa naufragio.

Indugiamo ancora sulla tua produzione come membro di una nota formazione fine anni '80 e la tua notevole discografia che, correggimi se sbaglio, inizia a metà anni '90. Cosa hai lasciato sui solchi di quei vinili.

I Moda iniziano discograficamente nell’85 e la mia discografia da solista inizia nel ’92 con La Maschera del Corvo Nero. Forse la risposta a questa domanda è in parte nelle risposte precedenti. In quei solchi ho lasciato semplicemente musica e parole con la gioia e la gratitudine di chi condivideva quelle emozioni insieme a me. A volte quando mi capita di riascoltare canzoni del mio passato mi stupisco di essere stato io a scriverle. Questo stupore mi fa capire il distacco avvenuto, su quei solchi scorre qualcosa che mi appartiene e allo stesso tempo è altro da me. Di questo sono contento perché credo sia un modo sano di rapportarsi con il proprio passato artistico. Un po’ come con un figlio che è cresciuto e diventato altro da te, rimane un legame indissolubile e forte, ma la sua vita scorre a prescindere dalla tua.

Cantautore musicista e interprete, così recita la frase del tuo sito ufficiale. Con queste peculiarità hai condiviso molte esperienze, con artisti di notevole rilievo anche internazionale. Cedo alla curiosità e ti chiedo di condividere i tuoi ricordi riguardanti Mick Karn, scomparso e indimenticabile bassista.

Ho avuto il piacere di partecipare ad un bel progetto di Stefano Panunzi dei Fjieri. Lì ho avuto il piacere e l’onore di cantare anche su tracce suonate da grandi musicisti tra cui Mick Karn. Lui è sicuramente uno dei più grandi bassisti esistiti in ambito pop/rock, un suono con una personalità unica, riconoscibile tra mille. Una perdita immensa.

Avviciniamoci con calma al verso, alla frase non solo cantata ma anche scritta. Esiste un tuo percorso non solo musicale che inizia con altre collaborazioni. Tre attori: Fernando Maraghini,  Maria Erica Pacileo e Anita Laurenzi, l'avvio di una etichetta discografica e  l'uscita dell'abum Il Cantico Dei Cantici; questo nel '98. Nel 2002 esce un tuo disco nel quale i testi appartengono a  Guseppe Ungaretti. Musica e letteratura appartengono al tuo agire, non per nulla hai pubblicato anche romanzi e raccolte di poesie.  Spiegaci come riesci a declinare le due discipline.

Prima del Cantico dei Cantici nel ’97 è uscito il “Qohelet” (collana I Taccuini del C.P.I.) un disco a cui tengo molto, ideato e realizzato con Fernando Maraghini. Discograficamente fu una cosa decisamente nuova all’epoca. Fu accolto molto bene dalla critica, salutato come una novità nel panorama discografico italiano. Si trattava di un percorso di musica e parole tratto dall’omonimo libro biblico, da Il Libro dell’Inquietudine di Pessoa e alcune liriche di Ungaretti. In quegli anni insieme a Fernando Maraghini e Erica Pacileo fondammo un’etichetta che si chiamava “ Le Vie dei Canti” che si occupava di musica/poesia. La scrittura e la musica per me appartengono ad un unico sentire. Dopo tanti anni di parole racchiuse in una strofa e in un ritornello è nata la necessità di liberarmi di metriche e strutture e così ho iniziato a scrivere liberamente. Avevo in mente delle storie che non potevano trovare il loro sviluppo in una canzone e così ho tentato di metterle su carta. Mi rendo conto di aver osato molto, ma del resto anche mettere in musica le parole di Ungaretti è stato un azzardo. Credo che se non si osa in campo artistico non si possa progredire.

Veniamo alla tua ultima fatica che mi viene da definire letteraria, anche se due notevoli tracce musicali e cantate la rendono ancora più brillante. L'Organista di Mainz. Molte sono le cose che verrebbe da chiederti dopo la lettura. Iniziamo con la domanda classica che credo ti sarà giunta da più parti. Come ti è venuta l'idea di raggruppare cinque racconti all'interno di una misteriosa scatoletta di latta?

In un tempo in cui tutto e smaterializzato a favore di un’inconsistente realtà digitale, ho avvertito la mancanza dell’oggetto. Le generazioni passate hanno tramandato il sapere e la bellezza attraverso dischi, libri, dipinti, sculture ecc.; cose che si toccano, che portano su di sé il passare del tempo. Oggi un padre cosa potrà tramandare ad un figlio, dei file? Senza nulla togliere al mondo digitale oggi indispensabile, ho pensato di rivestire quest’ultimo di un valore simbolico e materico. Ricordo da bambino quando sotterravo in giardino una scatola con dentro un tesoro che altro non era che un insieme di cianfrusaglie evocative: figurine, biglie, piume d’uccello, soldatini, bottoni strani ecc. I bambini la chiamavano “scatola del tempo”. Era una cosa che mi affascinava ed era elettrizzante riaprire quella scatola anni dopo. Crescendo perdiamo certe sensazioni e le emozioni diventano sempre più difficili perché le carichiamo di troppe aspettative. Ho pensato che racchiudere una chiavetta usb all’interno di una scatoletta di metallo insieme ad altri oggetti semplici che ricordassero qualcosa del nostro passato, potesse essere una piccola emozione e che forse qualcuno l’avrebbe potuta apprezzare. L’audio all’interno della chiavetta ci riporta a quando ci facevamo rapire da una storia letta. È nata così questa confezione particolare per una tiratura limitata. Il libro con l’audiolibro probabilmente in futuro verrà ristampato, ma non più in questa modalità.

Un libro, una chiavetta USB che contiene il reading di due racconti con due canzoni come finale, dei piccoli oggetti racchiusi dentro quella scatoletta di latta. Attorno a questi oggetti che sembrano dolci reliquie di un tempo antico, si svolge un'affascinante cerimonia avvolta nel fitto intreccio della musicalità, quella della parola letta e ascoltata e quella della musica che accompagna sommessamente lo spoken word. Un rito di altri tempi così come estremamente elegante e classica è la tua stessa scrittura. Tutto ciò è voluto o appartiene alla tua spontaneità?

È nato tutto spontaneamente, anche nel modo di narrare che, come dici tu, è molto classico. La cosa che cerco quando apro un libro è la storia, prima di qualsiasi altra cosa. È molto importante l’idea prima ancora di come verrà scritta. Poi cerco una scrittura che mi accompagni all’interno del racconto senza farsi accorgere di essa. Credo comunque di avere ancora molto da imparare e non mi dispiace alla mia età sentirmi principiante, è un bel bagno di giovinezza. 

L'estrema capacità descrittiva, la trasposizione del reale nella finzione (in questo l'Organista è un chiaro esempio), lo scrivere di sentimenti come la disillusione, la passione, la dolcezza nei rapporti umani, il ricordo, la distopia, il romanticismo, il rimpianto, l'abitudine, il passato, il ricordo. C'è qualcosa che unisce questi cinque racconti apparentemente dissimili tra loro?

Sono cinque racconti diversi l’uno dall’altro e sembrano non avere legami. La malinconia è un sentimento che mi appartiene e pervade spesso la mia scrittura sia testuale che musicale. Appartiene sicuramente ai cinque racconti pur nella loro diversità, non a caso ho scelto per la copertina una foto in bianco e nero di Amedeo Fontani che ritrae un paesaggio tipicamente invernale con una piccola figura umana che cammina nella nebbia. I ricordi sono per me importanti e spesso rivivo certe emozioni come se fossero accadute ieri. Il passato non è mai del tutto passato e a volte riaffiora dialogando con il presente e sembra annullare il tempo. Forse siamo all’interno di una matassa apparentemente ingarbugliata dove passato presente e futuro interagiscono costantemente, forse la nostra vita non si svolge in modo lineare come sembrerebbe. Continuo a sentire un forte legame anche con le persone care scomparse, come se si trattasse di un’apparente interruzione di un qualcosa che è stato, che è e che deve tornare ad essere. Tornando alla tua domanda e ai sentimenti racchiusi nei cinque racconti, credo che non sarei riuscito a fare un elenco più preciso del tuo, riguardo ai sentimenti che li pervadono.

La musica è ben presente, tra le pagine della raccolta, fuoriesce dall'accurata (oserei dire incredibile) descrizione dell'organo e del suo funzionamento, si presenta sotto forma di un "merletto sonoro" creato da un orologio a muro, aleggia nel ricordo del canto di uccelli ormai scomparsi, dilaga sul palco di un festival che ora conosciamo come Glastonbury. La tua scrittura è musica e viceversa?

Se così fosse sarei contento. Come ti dicevo le due cose le sento molto vicine, forse perché in campo musicale mi sono occupato principalmente di canzoni e queste non possono prescindere dal testo. La musica mi ha sempre fatto scaturire storie e le storie musica da scrivere; entrambe le cose si cibano di emozioni, di sentimenti.

C'è una frase, nel racconto intitolato 'Il Natale di Voige' nel quale il protagonista, rivolgendosi alla sorella, dice: "spolverare è un po' come riesumare, riportare in vita." Andrea Chimenti, tu che rapporto hai con la polvere?

Questa è una domanda da dieci e lode! Il personaggio che dice questa frase è vittima dei suoi ricordi e sprofonda in essi rendendo immobile il presente. Anche se non vorrebbe, in realtà lui non fa altro che spolverare nella sua mente il passato riportandolo in vita. Diciamo che anche io mi trovo di tanto in tanto a fare pulizie spolverando ricordi, a volte riesumando anche “mostri in letargo” che vorrei far sparire per sempre.

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