Invertire la fase

da un vecchio diario di viaggio in Chiapas un augurio per il nuovo anno

5 Gennaio 2021


in un vecchio diario ritrovo questo racconto scritto 20 anni fa durante un viaggio in Chiapas. Lo riporto qui perché mi sembra un buon modo (auspicio) per iniziare il nuovo anno:

Come closer and see
See into the trees
Find the girl
If you can
Come closer and see
See into the dark
Just follow your eyes
Just follow your eyes

Come la ragazza di quella canzone dei Cure, intitolata “a forest”, anche la rivoluzione zapatista ha ossessionato i miei sogni e mi ha spinto, ancora una volta, ad inoltrarmi in una selva oscura per seguire quegli occhi che escono dai fori di un passamontagna. Una foresta in alcuni tratti ancora vergine, dove si possono avvistare tucani, scimmie saraguato, giaguari, guacamaya rosse, avvoltoi, aquile, immersi in un mare di piante incredibili e maestose come la ceiba, mogani, palme, liane, i piccoli appezzamenti coltivati a mais e caffè. È lì che vivono questi nuovi ribelli, nella terra dei maya lacandon sopravvissuti alle conquiste, alle guerre e al capitalismo. Questo luogo di sognatori senza volto ha un nome e si chiama Selva Lacandona, la giungla che si estende dal Chiapas al confine con il Guatemala. Una voce che richiama chi si sente, da sempre, fuori posto e chi ascolta quel dolce e profondo suono non che esserne attratto.
Ribellarsi, parlare con altri che si ribellano, organizzarsi, immaginare soluzioni strampalate, darsi appuntamento nel cuore della notte in una foresta, proporre un progetto per poi realizzarne un altro. Alla fine il mal di vivere che a volte m’assale non se n’è andato, ma sto pensando ad altro e al mal di vivere non ci penso più, almeno per un po’. Perché le rivoluzioni non si fanno, ma ti fanno, o meglio non è interessante la rivoluzione in sé ma quel che capita ai rivoluzionari, quello che cambia nelle loro vite.
E così che a bordo di un fuoristrada guidata da Pedro, assieme ad altri cinque compagne/i c’inoltriamo nella selva per raggiungere dapprima la comunità di Guadalupe Tepeyac, appena liberata dagli zapatisti dopo 7 anni di occupazione militare, in un secondo momento La Realidad, comunità divenuta famosa per essere il luogo dove compaiono spesso questi piccoli grandi uomini in passamontagna e dove abbiamo appuntamento con la comandacia EZLN. È lì che andremo a proporre e discutere alcuni progetti di cooperazione con le comunità indigene.
La strada sterrata è in pessime condizioni a causa delle forti precipitazioni cadute in questo periodo, non a caso chiamato “la stagione delle piogge”, che sono la causa di piccole frane che a volte ostruiscono il passaggio. Siamo costretti, almeno un paio di volte, a liberare la via dai detriti dovuti agli smottamenti e come se non bastasse per ben due volte alla sostituzione di una gomma bucata. Ogni volta che ripartiamo è un urlo di liberazione, un grido di speranza volto a ritrovare le motivazioni di quella spedizione.
Dopo otto ore di viaggio nel tortuoso sterrato che s’inoltra nella foresta ecco che davanti a noi si apre una vallata e compare come d’incanto Guadalupe Tepeyac. La vista del villaggio allarga i nostri volti in un sorriso di sollievo mentre l’ospitalità della comunità ci scrolla di dosso definitivamente la tensione accumulata nel lungo tragitto nella selva. A riceverci c’è il portavoce del villaggio accompagnato sorprendentemente da un italiano. È un uomo che dalle montagne del Trentino si è trasferito in quelle del sud-est messicano per continuare il suo lavoro di artigiano falegname trasferendo il suo mestiere lì dove al bisogno della sua manualità si aggiungono dei forti ideali. Un moderno Geppetto che intaglia oggetti che parlano della dignità di questi popoli e che diventa, quando necessita, mastro di costruzioni, come nella costruzione della lunga canaletta di legno che porta l’acqua al villaggio collegando il torrente al piccolo centro abitato. Il politecnico di città del Messico ha installato una pompa al ruscello ma stranamente l’acqua in paese non è mai arrivata. «Com’è possibile?» chiedo «è una cosa così elementare, non posso credere che non funzioni».
Ci facciamo accompagnare alla pompa per capire cosa c’è che non va, e mentre percorriamo quel contorto sentiero nel cielo sopra di noi grandi uccelli migratori sembrano prepararsi ad una tappa del loro viaggio proprio nel piccolo lago formatosi alla fine di una serie di cascate del torrente. Oltre ad essere la loro destinazione è anche la vasca da bagno del villaggio, dove si lavano sia i panni che i cavalli al rientro dai campi spersi nella selva.
Arrivati sul posto mi trovo davanti ad una semplice morsettiera dove confluivano i cavi trifase provenienti dal gruppo elettrogeno che alimenta la pompa. Né un interruttore, né un salvavita. M’avvicino e sento il motore in rotazione che fatica, sembra quasi che il verso di rotazione giri al contrario.
«Forse basta invertire la fase» dico a Tabù, il compagno di questa piccola missione «ma lavorarci senza togliere la tensione è pericoloso e per toglierla bisogna aspettare il rientro del responsabile»«Non rientrerà prima dell’imbrunire, meglio agire col chiaro» mi risponde Tabù «basta che mi dici come fare e lo faccio io». Pur non essendo d’accordo alla fine mi lascio convincere e svito il morsetto, Tabù estrae i cavi, inverte la fase reinserendoli nei morsetti e pronti per essere riavvitati. Appena stringo la vite che stringe il cavo della fase nella sua sede il motore riparte a ritmo costante e finalmente vediamo l’acqua fluire nella canaletta. La rincorriamo inseguendola mentre risale verso il villaggio con quell’allegria incredula tipica delle scoperte dei ragazzini. Quando arriviamo al villaggio è già festa e a noi manca il fiato, non per la corsa ma per l’emozione. Geppetto ci guarda perplesso e domanda: «Come ci siete riusciti?»«è bastato invertire la fase» rispondiamo «come del resto ci hanno insegnato gli zapatisti fin dal primo gennaio del 94».

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Prima parte: una dichiarazione… per la vita

La crepa in basso a sinistra

 
 

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