Terza puntata per la rubrica dedicata ai finalisti dell'Homeless Fest di cui Radio Sherwood รจ media-partner

And the Bear: la mia musica? Inviterei ad ascoltarla e basta!

18 Gennaio 2021
  • Ciao And The Bear (Alex Manuel), piacere di conoscerti! Abbiamo un po’ sfogliato la tua biografia e non possiamo cominciare che con una domanda specifica. Come è nata la pazza idea del cine-concerto? Come funziona?

Ciao! La mia passione per il genere è nata nel 2016 quando sono stato chiamato da due miei amici per supportarli nell’esecuzione live di una colonna sonora per il Festival Cineconcerto a Montecarotto (AN). Da quell’esperienza, mi si è aperto un mondo.

Il cine-concerto è un vero e proprio genere di spettacolo che vede la proiezione di un film muto (ma non necessariamente) e l’esecuzione della colonna sonora dal vivo.

Ci sono diverse varianti, spesso nella scena “underground” si vedono sonorizzazioni di film muti del 1900. Per quanto mi riguarda finora mi sono applicato a musicare corti metraggi originali creati ad hoc.

And the bear

  • Come potremmo definire la tua musica a chi non ti conosce?

Intanto poter parlare della propria musica in questo periodo storico è una cosa davvero meravigliosa e per questo vi ringrazio. Quindi la mia musica? Non direi né anticiperei nulla: inviterei le persone ad ascoltarla e basta. Magari troppe belle parole creano false aspettative e alzano troppo il tiro. In ogni modo non ho mai pensato realmente ad un genere, ritengo quello che faccio ora in continua evoluzione nello sperimentare (relativamente al mio bagaglio “sonoro”). And The Bear è nato dopo un ennesimo cine-concerto e sicuramente potrei parlare di input legati alla ricerca di paesaggi sonori. Ciò non significa però qualcosa di statico o privo di ritmo.

Mi piace sentirmi versatile ecco, un’estate per esempio dovevo suonare ai piedi di una montagna al tramonto per un festival, mi ero preparato un set tutto tranquillo con tanto di ukulele e chitarra acustica. Mi sono ritrovato in una specie di pseudo rave di ragazzi che avevano evidentemente bisogno di sfogare tutta la loro voglia di vivere (giustamente) Dopo la seconda canzone sotto il palco sento delle ragazze urlare: «Spingi!» ho appoggiato l’ukulele, accesso i synth e i sequencer e fatto ballare la gente per quasi due ore, in modo del tutto inaspettato. È stato figo.

  • Quali sono i tuoi ascolti, le tue ispirazioni musicali?

Ho sempre avuto un forte debole per Thom Yorke e la sua ottica cosi introspettiva e al contempo generosa del mondo moderno che lo circonda. Il suo approccio sperimentale “mai fermo” e soprattutto non curante delle mode è per me una specie di faro nel mio modo di comporre. Ma diciamo che ultimamente non posso fare a meno di ascoltare gli IDLES: nel loro ultimo album hanno un modo incazzato di usare le chitarre che davvero ti spettinano. Lo trovo molto contemporaneo e sicuramente l’espressione dell’urgenza di raccontare qualcosa di concreto e tangibile. 

  • Il tuo approccio alle volte ha un tratto precipuamente minimale, complice anche l’essere one man band. Hai mai pensato di trasformare il tuo progetto solista in una band?

Ho suonato per diversi anni nei gruppi proponendo esclusivamente musica propria, con tanti pro tra cui la condivisione delle emozioni, i viaggi per suonare nei concerti, etc.

Tutto questo certo mi manca, ma nel mio progetto finora sono sempre riuscito a coinvolgere persone non tanto musicalmente ma trasversalmente: con ballerini, video artist, registi, pittori e questo ha fatto sì che quello che propongo ora non è più frutto di una mente sola (che poi sarebbe la mia, aiuto!) ma è iscritto nella convergenza di incontri e collaborazione con diversi artisti. Questa totale libertà è uno dei vantaggi di essere da solo dietro agli strumenti.

  • Domanda schietta quanto provocatrice: ha futuro la musica ambient fuori da contesti specifici quale quello cinematografico? Cosa significa fare ambient su un palco dal vivo?

Io non penso di fare musica ambient ma conosco chi suona da anni questo genere. C’è una vera e propria scena molto attiva anche in Italia (mi viene in mente il locale KLANG a Roma per citarne uno). Come ogni genere di nicchia c’è un pubblico molto attento e appassionato.

Per quel che posso dire relativamente al mio progetto è che vi sempre più la possibilità di esibirsi in contesti che non sono i soliti e classici concerti. Mi sono ritrovato a suonare in vernissage di mostra d’arte, studi fotografici, festival di cinema e soprattutto a teatro: il teatro che ti offre la possibilità di suonare in luoghi e contesti carichi di vibrazioni positive. Il 20 dicembre per esempio ero al Teatro delle Muse in streaming a suonare nello spettacolo scritto da una ballerina, con il viso dipinto tutto di nero e con dei visual assurdi proiettati alle mie spalle su uno schermo gigante. Io sono attratto da tutto ciò ecco.

La proposta artistica al mio parere sarà sempre più trasversale e lo streaming sarà forse uno dei veicoli potenti di diffusione nei prossimi anni.

Per rispondere alla tua domanda, la musica ambient che si vuole per definizione priva di struttura di genere potrà facilmente amalgamarsi in questo contesto: più di un gruppo che suona epic metal per intendersi.

  • Parlaci dell’album che bolle in pentola. Cosa ci ritroviamo al suo interno?

Per questo album devo ringraziare soprattutto Maurizio Sellani della Maui Grage Studio che con grande pazienza e saggezza mi ha dato la possibilità di registrare gli 8 pezzi principali dell’album. Si tratta delle prime canzoni composte agli inizi del progetto alle quali mi sono divertito ad aggiungere elementi non musicali (urla, passi, respiri). I pezzi sono dominati inevitabilmente dai beat elettronici, synth e chitarre distorte. L’unico limite che mi sono imposto durante i live e il non-utilizzo del computer e questo si risente subito nella composizione dei pezzi dove tanti parti melodiche vengono mandati in loop e si intrecciano l’una con l’altra.

Nella scrittura dei pezzi ho cercato di sfiorare il tema della paura nel senso più vasto e intimo che potevo. Stranamente i testi sono nati ben prima della pandemia alla quale siamo confrontati ma fortunatamente non credo abbia dato un colore diverso alle parole e il taglio che ho voluto dare. Il nome And The Bear stesso si riferisce al paradosso dell’orsacchiotto di peluche che nell’imaginario collettivo rappresenta tutto ciò conforta e consola un bambino. In realtà, non augurerei a nessun di trovarsi muso a muso con un orso in natura. Ecco questo paradosso mi sembrava una chiave di letture assai tagliente nella frattura che un individuo adulto può avere con la propria infanzia e tutto ciò che ne deriva.

  • Sei il vincitore dell’ultimo Homeless Fest, com’è stato suonare su un palco – da emergente – senza nessuno sottostante? Cosa ha rappresentato per te Homeless?

Questi ragazzi dell’Homeless sono una forza della natura. La loro tenacia nel fare ad ogni costo ragionevole e in tutta sicurezza il festival ci ha fatto da guida nel seguirli e trovare la volontà di suonare nonostante tutte le difficoltà ed incertezze del momento. 

Quel giorno della registrazione arrivavo da San Marino dove accompagnavo la mia compagna a sostenere l’ultimo grande esame per diventare insegnate di danza classica. Quel giorno abbiamo attraversato quasi un lungo e largo la regione Marche prima che diventasse zona arancione a mezzanotte per realizzare e concretizzare la nostra passione.  La mia partecipazione all’Homeless ha rappresentato questo per me: suonare, suonare contro la paura e soprattutto con grande passione. Poi entri all’Homeless Factory, e ti ritrovi davanti un gruppo di professionisti che ti fanno il sound check in un lampo, che tra una battuta e un’altra di mettono al tuo agio. Sembrava di essere in uno studio televisivo. C’è stato il CIACK come annunciato e tutto quello che sarebbe successo dopo è stato puro divertimento.

AND THE BEAR · GOETHE
 
 

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