Sono come Alberi che aspettano il Vento

Intervista al fotografo Andrea Danani

8 Febbraio 2021

Andrea_Danani_intervista
Andrea Danani è un giovane fotografo mantovano, non di professione, le cui foto in bianco e nero dai forti contrasti, sono istantanee di vita quotidiana molto evocative e poetiche, che meritano più di una visione distratta e un like sui social. Io non sono un critico d’arte, ma sono molto appassionato di fotografia, per cui lascio ad Andrea il compito di descriversi nell’intervista che gli ho fatto.

Domanda banale, ma necessaria per rompere il ghiaccio: com'è nata la tua passione per la fotografia e da quanto fotografi?

Innanzitutto grazie a te e a tutta la redazione per dedicarmi questo spazio. Diciamo che in famiglia la fotografia è sempre stata presente: a partire da mio nonno che la praticava da amatore… ricordo da piccino quando mi faceva giocare con le sue macchine fotografiche; adoravo il suono improvviso dell’otturatore, ogni macchina ne restituiva uno differente… ma ricordo con emozione anche i "profumi" che uscivano dall’armadio di mio nonno dove vi conservava tutte le attrezzature, i rullini e i reagenti chimici che gli servivano per la camera oscura. Quindi il mio "respirare" fotografia parte proprio da lì. Se vogliamo stabilire a tutti i costi una "data di inizio" posso dire che il motore si è messo in moto nel 2012, con l’acquisto della prima macchina fotografica, ma una certa "consapevolezza" di ciò che ricerco in fotografia ci ha messo qualche altro annetto a maturare, anche se  questo processo penso sia costantemente in divenire ed in continua  evoluzione.

Spiegami la scelta del bianco/nero che caratterizza la stragrande maggioranza delle tue foto.

È semplicemente una scelta espressiva: ad oggi questi due "colori", il nero ed il bianco, mi consentono di rappresentare al meglio ciò che tento di trasmettere attraverso le immagini. Domani chissà… in Italia c’è questa tendenza a dividerci in fazioni per ogni cosa, per cui o sei "pro bianco e nero" o seri "pro colore", o sei "pro-digitale" o "pro-analogico". Personalmente non ho una preferenza specifica, amo il colore di Ghirri così come adoro perdermi nel bianco e nero di Moriyama.

Quali tecniche utilizzi per ottenere immagini spesso così complesse? Mi riferisco in particolare alle immagini costituite da molti strati, da più livelli, l'esposizione multipla.

Questo aspetto penso che possa rientrare nel concetto "consapevolezza" di cui ti accennavo prima. Provo a spiegarmi meglio… oggi la fotografia rappresenta il mezzo espressivo con cui tento di rivelarmi, è quel ponte che mette in comunicazione tutto quel marasma interiore di emozioni e di sogni con il mondo reale. Di conseguenza fotografo per la personale esigenza di raccontarmi. Tantissimi lo fanno oggi e lo hanno fatto in passato, utilizzare il mezzo fotografico per questo scopo lo reputo un privilegio, non è affatto facile però. Quando decido di fotografare un soggetto, raramente è frutto di un programma pre-stabilito. Vado a "caccia" di indizi, di ingredienti, di frammenti della realtà che mi serviranno in un secondo momento, o magari dopo anni,  nella rielaborazione della serie fotografica. Questo non significa agire da sprovveduto: a moltissimi workshop oggi insegnano a progettare e agire, progettare e agire, progettare e agire. Ci ho provato, e non discuto che certi metodi possano calzare benissimo per raggiungere alcuni scopi… ma per quello che stavo (e sto tutt’ora) cercando di comunicare attraverso l’immagine fotografica, non ha funzionato. Il risultato è sempre stato quello di avere delle serie di fotografie sì molto coerenti tra loro ma sempre troppo "instradate", senza il giusto "spazio di manovra"…. insomma io non voglio "obbligare", preferisco "stimolare" o "solleticare" i pensieri, i sogni e le emozioni. Ognuno sceglierà dove tutto quello che ha osservato lo potrà condurre. Poco fa, guarda che caso, stavo rileggendo un post pubblicato da Paolo Conte sulla sua pagina facebook: " Il pubblico ha sempre diritto alla sua immaginazione. La libertà del mio pubblico la voglio sempre salvaguardare a tutti i costi, perché non voglio mai lasciare dei messaggi, imprimere delle opinioni precise, ma voglio lasciarli sognare, ciascuno con i suoi colori, ciascuno con le sue esperienze e con la sua sensibilità."

Direi quindi che la "genesi" delle tue immagini è frutto per così dire di un processo cognitivo, ed emozionale?

In un certo senso sì, è proprio così. C’era una canzone dei Sigur Ròs, gruppo musicale che seguivo e seguo sempre con molto interesse, dal titolo "Hoppípolla" che tradotto significa "saltando nelle pozzanghere". Oltre ad essere un pezzo molto orecchiabile e gradevolissimo, è per me un’immagine magnifica che ho sempre davanti agli occhi quando lavoro ad una serie fotografica. Saltando tra le pozzanghere, senza timore di sporcarsi le scarpe bianche, scegliendo di volta in volta la direzione, valutando la necessaria rincorsa ed infine spiccando quel volo brevissimo ma comunque in grado di mettere in moto l’ immaginazione e i sogni. Ogni volta che ci penso sorrido, mi piace... e cerco di riportare questo concetto dentro alle mie serie fotografiche… tanti balzi immaginari da una pozzanghera all’altra. Una singola immagine potrebbe quasi risultare estranea all’interno di una successione così concepita, ma le connessioni magicamente si creano. Non di rado utilizzo le stesse immagini per serie differenti, riviste in alcuni aspetti: considero il mio archivio fotografico come una serie di appunti disordinati dove poter attingere in un secondo momento e costruire la successione di immagini. E’ un modo di approcciarsi alla fotografia che non ho certo inventato, forse oggi lo utilizzano in pochi ma personalmente, così facendo, sento di riuscire ad avvicinarmi il più possibile a quello che vorrei mostrare e trasmettere attraverso le immagini… questo forse è l’aspetto tecnico/metodologico che reputo più interessante. Dopodiché la sovrapposizione di immagini (ritorno un po’ al succo della tua domanda precedente), oggi è una pratica piuttosto agevole in campo fotografico grazie al digitale… attenzione, semplice ma non banale da realizzare, in quanto il rischio di incappare nell’effetto "wow" fine a se stesso è sempre in agguato.

Dalla visione delle tue fotografie, mi vengono in mente alcuni richiami o fonti di ispirazione. E' così? C'è qualche artista che ti ha ispirato o che ammiri particolarmente?

In fotografia mi perdo tutt’ora nelle immagini infinite di Mario Giacomelli, tra i più grandi poeti dell’immagine di ogni tempo. Penso che se lui fosse nato negli USA sotto il nome  di Jack’ O’ Melly oggi sarebbe ricordato e osannato in tutto il mondo almeno quanto Robert Capa o Erwitt. Oggi è considerato senza dubbio tra i maggiori fotografi del ‘900, ma non basta secondo me perché lui era… geniale. Le sue immagini e la sua vita andrebbero studiate nelle scuole e sono sicuro che questo giorno arriverà presto. Nel frattempo vi consiglio di acquistare, leggere e sognare con "Mario Giacomelli, La mia vita intera" a cura di Simona Guerra (Ed. Bruno Mondadori). Non solo, tra le pubblicazioni che preferisco voglio citare anche "London" di Gian Butturini, un libro che di recente è stato rieditato addirittura da Martin Parr ma che per una serie di ragioni incomprensibili pare sia stato addirittura rinnegato dallo stesso Parr per alcune immagini all’interno del libro, equivocate ed etichettate addirittura come "razziste". Il che è davvero buffo e sconcertante allo stesso tempo… se c’era un fotografo che amava le persone del mondo, tutte,  senza stupide distinzioni, era proprio Gian Butturini e nelle sue fotografie tutto questo traspare enormemente. Giacomelli, Butturini, ma potrei citare anche Piergiorgio Branzi tra i miei prediletti, Guido Guidi, Letizia Battaglia, Ghirri, Majoli, Pellegrin, Jodice, e voglio sottolineare il fatto che siano tutti fotografi italiani, perché in fotografia abbiamo un po’ tutti questa spiccata esterofilia di fondo che probabilmente ci distrae un po’ dalle meraviglie nostrane.

A proposito di ispirazioni, mi incuriosiva una cosa. Musica e immagini sono notoriamente spesso legate (mi riferisco al cinema e alle colonne sonore). Le tue immagini sono spesso evocative e molto poetiche. C'è un legame con i tuoi ascolti musicali, sempre tu sia un appassionato di musica?

Sì, mi fa piacere che tu abbia colto questo aspetto perché  la musica è parte integrante delle mie fotografie. Il legame è strettissimo…. mi ispira e mi guida costantemente. E’ una finestra pronta ad aprirsi in ogni momento, adoro spalancarla e osservare quel che c’è al di là; spesso mi suggerisce nuove strade, a volte ho rivisto completamente delle fotografie grazie ad una traccia musicale. Reputo l’ascolto della musica importante tanto quanto nutrirsi, perché la musica (l’arte in generale) è cibo per l’anima, indipendentemente dal genere. Negli ultimi due anni ho investito parecchio nell’impianto dedicato all’ascolto audio di casa, grazie all’aiuto di esperti del settore che mi hanno aiutato e consigliato. Sto tornando ad assaporare la bellezza di certe gestualità legate all’ascolto della musica attraverso il supporto in vinile… sebbene io faccia parte della primissima generazione "digital" ho profondi legami con il supporto analogico… infatti ho scolpito dentro di me ricordi d’ infanzia quando osservavo mio padre preparare il giradischi per l’ascolto e posare lentamente la puntina. A casa avevamo una sedia a dondolo, ricordo quando correvo a sedermi per osservare ogni singolo gesto di preparazione… e poi la musica partiva:

"E naviga, naviga, musica naviga va

Tienimi forte stasera qualcuno verrà

Ma perché in questa notte di luna tu dimmi perché

Vado in giro a pescare ricordi e a scordarmi di te

L'importante è chi il sogno ce l'ha più grande

L'importante è di avercela la gioventù"

… per me era magia e spero che queste sensazioni io riesca a trasmetterle anche a mio figlio.

So che hai da poco fatto stampare un libro fotografico che raccoglie alcune delle tue foto. Me ne vuoi parlare?

L’idea di una pubblicazione mi era balenata già nel 2016, in occasione della presentazione di un libro di poesie e testi in prosa di un caro amico, Mattia Venturini, intitolato "Il teatro delle attese" (Ed. Gilgamesh). Fui onorato della scelta di una mia immagine per la copertina del libro e fu poi stampata una serie fotografica omonima, esposta nel giorno dell’inaugurazione. Ho ritrovato molte analogie tra il modo di scrivere di Mattia e la mia fotografia… in quei testi c’è una visione del mondo così intima, profonda, sognante, quasi isterica per certi aspetti; nella lettura ho ritrovato quella sensazione di "salto tra le pozzanghere" di cui ti ho già parlato… pensieri come fossero quasi delle improvvisazioni live di un terzetto jazz… insomma è da quella esperienza che ho iniziato a lavorare all’idea del mio libro. Nel tempo il progetto si è evoluto, sviluppato, modificato, direi che è stato quasi stravolto nella sua struttura ma non nella sua essenza. Il recente periodo del lockdown ha poi contribuito in maniera decisiva a conferire a questo progetto la giusta dimensione ed il corretto tono. Da una concezione iniziale molto simile ad una “fanzine", siamo infine arrivati a pubblicare un oggetto che strizza l’occhio ad un libro d’artista. Ogni dettaglio ha un suo significato: dalle dimensioni 30x30 che rimandano alle cover dei vinili, alla scelta della carta particolarmente ruvida ad elevata grammatura, dalle dimensioni delle fotografie interne che dettano il ritmo, al titolo finale dell’opera… Parlo al plurale perché da solo non sarei mai riuscito nell’intento. Ho avuto la fortuna di poter contare sull’aiuto di persone davvero in gamba: l’amico Paolo Fiaccadori, colui che pazientemente ha curato la parte di editing e grafica, sopportando tutti i miei cambi improvvisi di idee (il che ha significato il dover ricominciare spesso da zero), il fotografo Gabriele Lopez in veste di un vero e proprio cesellatore nel suggerirmi limature, aggiustamenti e piccole sfumature, ed il maestro Massimo Pirotti, autore ed interprete della musica e delle immagini del video che ottimamente rappresenta Sono come Alberi che aspettano il Vento. Titolo perfetto, suggeritomi da mio figlio Alessandro un paio d’anni fa (aveva 4 anni) durante un breve viaggio in automobile, poco prima di un temporale estivo: "Ehi papà guarda, gli alberi… gli alberi! Aspettano il vento", quella fotografia scattata dai suoi occhi e stampata dal suo sguardo mi ha aiutato a chiarire e mettere ordine alle mie idee. In questo libro ho raccontato me stesso, non è stato facile, ho raccolto fotografie a partire dal 2013 sino ad oggi, cercando di amalgamarle in un flusso unico di pensieri e sogni. Il libro si chiude con una poesia scritta,  Nuova Alba, dell’amico Mattia Venturini… ho pensato che quel testo fosse il direttore d’orchestra ideale:

NUOVA ALBA

Ho aspettano che la luce entrasse lentamente

Per sussurrare un nuovo giorno

Ho ascoltato i cigolii dei risvegli di ogni anima

Che barcollante andava verso i pisciatoi.

Ho chiuso di nuovo gli occhi

E prima che ti svegliassi

Ti ho lanciato addosso un pensiero così appuntito

Da far uscire dal tuo labbro

baciato nei miei sogni

un po’ di quel tuo sangue dolce

che da allora mi scorre dentro.

 


 
 

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