Due punti: dove i libri creano relazioni

Intervista alla libreria di Trento

12 Febbraio 2021

Ci sono quei luoghi in cui, appena si entra, si può assaporare un profumo di cose belle, luoghi che ti mettono allegria e in cui si va anche solo per dare un'occhiata e tirarsi su di morale. La libreria Due Punti, a Trento, da quando l'ho scoperta è per me uno di questi posti. E con quest'intervista capirete perchè è così accogliente e magica!

Partiamo con le presentazioni: chi siete, e come descrivereste la vostra libreria?

Federico Per cominciare a raccontare la libreria partirei proprio dal nome; nel 2018, quando abbiamo aperto, ci siamo davvero scervellati per trovarne uno che parlasse anche della genesi stessa del nostro spazio. I “due punti” sono una fotografia dello spazio, poiché abbiamo due porte, una su una via molto trafficata di Trento e una sul nostro quartiere, San Martino. Per noi la libreria è un luogo di passaggio, dove le persone trovano dei libri ma anche un modo per stare insieme. I “due punti” sono poi le due teste che la compongono, ovvero noi due soci. Io ed Elisa ci siamo incontrati nello spazio di coworking in cui lavoravamo entrambi. Io facevo il formatore, mentre lei la fotografa. Ognuno dei due ha deciso di fare una scommessa rispetto alla propria vita, aprendo questa libreria. Infine, i “due punti” sono il segno di interpunzione che indicano una presa di parola: la narrativa, la saggistica, lo scrivere in generale è parte di un discorso che parte da ognuno di noi ma che poi si inserisce in una dimensione collettiva.

Siete uno spazio molto attivo, con presentazioni, eventi, anche corsi. Quanto è importante per la libreria essere viva e attraversata da molte persone, e non un semplice negozio?

Elisa Non abbiamo mai concepito la libreria come un mero negozio. Prima di aprire abbiamo speso molto tempo a scrivere un manifesto, quindi già dall’inizio era qualcos’altro, altrimenti mai avremmo speso tanto tempo ad immaginare questo spazio. Penso che la questione legata all’immaginazione sia una delle cose che rende un luogo certamente commerciale, che comunque dà uno stipendio a due soci, ma allo stesso tempo anche altro.

Federico Aggiungo solamente un aspetto. Questi due anni sono stati certamente complicati; ci siamo però resi conto che quello che avevamo cominciato a seminare dal punto di vista della costruzione di una comunità ha funzionato. Infatti, nel momento in cui abbiamo dovuto chiudere, il fatto di aver provato a reagire, ad esempio con i libri a domicilio (che dal punto di vista economico non avrebbe potuto reggere per molti mesi) ci ha fatto notare che le persone erano molto felici di riconoscerci quando portavamo i libri. Questo vuol dire che la scintilla di una caratteristica che per noi è quella più evidente di una libreria di quartiere, ovvero la vicinanza alla comunità, è qualcosa che può darsi soltanto nella pratica. Se questa non fosse stata un’attitudine messa in atto dall’inizio, ora saremmo stati molto più stanchi, appunto perché il mero dato di vendite sarebbe stato scoraggiante. Secondo me è necessario sentirsi parte di questa comunità, nel bene e nel male.

Elisa Sicuramente evidenza di questo è il fatto che appena un anno dopo aver aperto abbiamo preso in affitto lo spazio accanto alla libreria, che ora è lo spazio Virgolette. È un luogo che non è funzionale a noi come libreria, ma uno spazio che si riempie di attività che vengono dall’esterno, e che possono essere fruite da molte persone, anche da chi non legge. Questo esercizio a lavorare su ciò che non riporta un ritorno economico centra senz’altro con una visione più larga, e anche con il vivere in prima persona il quartiere.

Anche per questo il rapporto con il quartiere per voi è importantissimo. Cosa significa essere parte di un quartiere?

Elisa Innanzitutto per me vuol dire per la prima volta essere ferma in un posto. Prima, con il mio lavoro da fotografa, mi spostavo sempre. La presenza stabile invece è già una cosa che ti mette in relazione.

Federico Essere parte di un quartiere significa starci, abitare il quartiere. Noi ci sentiamo abitanti del quartiere, e gli abitanti sono coloro che fanno parte di un luogo, nel bene e nel male di una convivenza. La pandemia ci ha portato a stare fermi, in un periodo storico in cui invece, grazie ad Airnbnb e a tutte queste cose di breve permanenza, ti viene detto che è possibile essere abitante di una città europea per un weekend, mentre non è così. Abitare vuol dire anche farsi carico delle difficoltà e delle contraddizioni del vivere in comunità, che non sempre sono semplici. La parola comunità non è solo cooperazione, collaborazione, ma anche piena di conflitti, e non solo conflitti positivi e generativi.

Non mi verrebbe mai, se volessimo allargare la libreria, di cercare un altro luogo, appunto perché siamo ormai abitanti.

Altro aspetto è il prendersi cura, sentirsi responsabili del luogo. Senz’altro la pedonalizzazione della nostra via ha avuto un ruolo fondamentale in questo, perché ha rimesso al centro la relazione tra esseri umani. Penso che in questi due anni, con tutti i nostri limiti, questa nostra attenzione alle persone non in quanto clienti, ma in quanto cittadini e cittadine, sia stata apprezzata e sia diventata il nostro valore aggiunto.

Come avete scelto il luogo in cui aprire la libreria?

Elisa San Martino è stata una delle parti di città su cui ragionavamo, anche se inizialmente non la principale. Due fattori hanno determinato la scelta. C’erano già due librerie: una di libri per bambini, e una di libri usati, che quindi appartenevano a due categorie commerciali a cui non ambivamo, e ci pareva molto bello integrare l’offerta. Inoltre, era il posto in cui l’affitto era più basso, e la via era molto vuota. Abbiamo sentito quindi l’euforia di poter riempire e creare questo spazio.

Federico Ci eravamo dati appunto l’obbiettivo di arrivare in un posto in cui potesse contare il nostro intervento. Non avrebbe avuto nessun senso la nostra libreria nel quartiere del commercio. I due punti che avevamo individuato erano questo e la zona di Santa Maria Maggiore, che è considerato il bronx della città e che secondo me ha bisogno non di essere gentrificata ma semplicemente di una vita quotidiana e degli abitanti attivi.

Chi sono le persone che attraversano la libreria, che cosa cercano entrando e che cosa trovano?

Federico Credo che il vero tema sia proprio quello di aver riempito un vuoto. Le persone che entrano in libreria, sono felici di poter trovare (e prima ancora di più, quando c’erano tre, quattro presentazioni alla settimana) la dimensione della comunità. Quindi cercavano sì libri, ma soprattutto la possibilità di parlarne, di discutere. I libri fanno da innesco per una relazione. Prima della pandemia c’era senz’altro una grossa presenza di studenti universitari, ma ci sono anche tanti “vicini di casa”, abitanti del quartiere. Grazie al gruppo di lettura poi si incontrano persone di tutte le età, c’è un incontro intergenerazionale.

Per quanto riguarda la scelta editoriale, non abbiamo mai voluto essere gli snob che non ordinano determinati libri per principio. La lettura non dev’essere un’imposizione, e nemmeno una cosa per eletti. La sfida che ci siamo dati è di scegliere libri che creino interesse nelle persone. Anche le grandi case editrici pubblicano nel marasma alcuni libri interessanti, ed è fondamentale far arrivare ogni goccia di bravura degli scrittori. Però sappiamo anche che ci sono una miriade di piccole esperienze che sbaragliano il campo. Magari sono realtà che pubblicano tre libri all’anno, che fanno però la differenza nella crescita di un’intelligenza collettiva che possa scardinare ogni tipo di modello letterario.

Elisa La libreria si divide in una parte di narrativa e una parte di saggistica, con una divisione per case editrici. Ci sono poi dei focus: femminismo, viaggi in senso ampio, fotografia e graphic novel e cucina. Su tutti i focus cerchiamo di fare una selezione anche per fasce di prezzo. Questo non perché i libri costosi non siano meravigliosi, ma perché osservando le persone che ci frequentano tendiamo a considerare possibile l’acquisto di libri che non vadano oltre un certo prezzo. Una visione popolare, insomma, della cultura.

Cosa serve alle librerie per riprendere in questo periodo difficile?

Elisa Ho pensato un po' a cosa potrebbe essere il motore per riprendere le nostre attività. Ovviamente serve ritrovare l’abitudine a stare insieme, che è quello di cui abbiamo parlato finora e su cui si basa la nostra libreria. Penso però che dovremmo anche trovare la forza di immaginare, sulla base delle cose che sono cambiate. Mi è venuta in mente una frase, che è il titolo di una delle Lezioni Americane di Calvino (lui la mutua da Dante): la fantasia è un posto dove ci piove dentro. La trovo molto adatta quando penso alla libreria e a quello che potrà fare in futuro.

Federico Io ho l’impressione che ci siano un paio di questioni nel mondo dell’editoria in generale che devono essere affrontate. L’introduzione del massimo sconto del 5% non è sufficiente, perché va ad incidere solo sull’ultimo aspetto della catena. I libri costano troppo, forse è stato un meccanismo a reazione della presenza di un soggetto monopolista come Amazon. Penso che ci sia un problema di insostenibilità della filiera stessa. Purtroppo, i libri, per il loro costo, vengono spesso trattati e considerati come un bene di lusso. Bisognerebbe secondo me fare degli interventi strutturali, che riguardino l’accesso e l’invito alla lettura. Per questo, a livello globale e locale, è necessario fare riferimento alle comunità, che continuino a invogliare alla lettura. Qua a Trento è una cosa che si sta provando a fare, sulla base che la cultura, ad esempio il Festival della Montagna, non sia dislocata sempre negli stessi luoghi, ma sia un lavoro diffuso e capillare nel territorio, in modo che tutti possano avervi facilmente accesso.

Ci date dei consigli di lettura?

Elisa

Oregon Hill, Howard Owen, edito da NNE

È il libro che abbiamo in lettura con il gruppo di lettura della due punti. Quando me lo sono trovata davanti, avevo molto bisogno di leggere qualcosa che mi parlasse di un’America diversa, dopo averla vista i primi giorni dell’anno in televisione. Si tratta di un giallo, in cui però il protagonista è una sorta di antidetective, un antieroe.

La città dei vivi, Nicola Lagioia, edito da Einaudi

Racconta di un tremendo caso di cronaca accaduto a Roma nel 2009. Riesce a non tracciare la linea di demarcazione tra i buoni e i cattivi, che è una cosa sempre molto complicata.

Federico

Elogio del margine, bell hooks, edito da Tamu Edizioni

Amo moltissimo la storia di questo libro, è una ristampa di una piccolissima casa editrice che fa capo ad un’altra libreria indipendente. È un grande manuale per ciascuno di noi, su come vivere il margine come luogo della generatività.

Lezioni di anarchia vol. II, edito da Emergenze Publishing, Eleuthera edizioni

Negli ultimi anni ho ripreso in mano i temi della cultura libertaria; il lavoro che fa Eleuthera (casa editrice) e anche Edicola 518 è molto interessante. Ci mostrano come una cultura vandalizzata dal mainstream, che ha sempre associato l’anarchia al disordine, con una serie di titoli che sono stati ripubblicati, hanno portato al centro gli ideali libertari, e il tema della responsabilità collettiva di fronte ad un mondo da cambiare totalmente. Pensare oggi che questo possa essere un tratto di strada intellettuale, pratico, anche militante da percorrere in strada mi dà un po’ di ottimismo. Aver riportato alla luce determinati temi offre degli strumenti innovativi per interpretare il mondo: il mutualismo, la cooperazione, la comunità.

Romantica Marsiglia, Claude McKay, edito da Pessime Idee

Lo propongo per la mancanza dei viaggi, la letteratura sicuramente aiuta a mantenere l’immaginazione attiva. È un libro del 1929, mai pubblicato in Italia. Ha dei tratti di gigantesca attualità rispetto al contesto del Mediterraneo, che noi qui dalla montagna guardiamo sempre con grande passione.

 
 

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