Intervista a Matteo di Dischi Soviet Studio

Settima puntata con l'inchiesta sugli studi di registrazione

10 Aprile 2021

Come si evolve un’idea primordiale di musica? Come funziona, oggi, la catena di montaggio acquisizione-editing-mixaggio con i plurimi strumenti digitali? E dopo? Com’è che il prodotto finito arriva sui nostri dispositivi?

Questi sono alcuni degli interrogativi che musici, redattori, appassionati si pongono, specie se, da un decennio a questa parte, molti musicisti perseguono il sogno di ‘emergere’ potendo registrare in fai-da-te con un basilare Mac. Ma c’è ancora bisogno di esperti e di qualità dell’audio in questo mondo?

La pandemia da Covid-19, inoltre, ha sicuramente incrinato alcuni meccanismi di funzionamento di uno studio di registrazione. Sarà interessante indagare su come questo settore abbia reagito. Chissà se varrà ancora la pena fare uno dei lavori più interessanti per antonomasia!

Questo, e tanto altro, cercheremo di comprenderlo al meglio con un a tu per tu con alcuni studi di registrazione partendo dal Triveneto e andando oltre.

Ciao Matteo! Innanzitutto parlaci dello Studio, come e quando nasce?

Matteo Marenduzzo: Ciao Rossella e Radio Sherwood. In primis grazie per aver inserito Soviet all’interno del vostro approfondimento sugli studi di registrazioni italiani. Senz’altro la nostra realtà è piuttosto sui generis, la singolarità sta nel fatto che lo studio nasce come “collettivo” di una serie di band (da cui poi la naturale emanazione in etichetta discografica), che, in un primo momento, si sono impegnate a versare un obolo per trasformare quella che in precedenza era stata una sala prove (nello specifico di Riaffiora, Soviet Ladies e Francesco Cerchiaro, ma anche saltuariamente dei The Junction), in un piccolo studio di registrazione. Questo sul finire del 2009, bene o male lo stesso periodo in cui ha visto la luce il primo ep a marchio Soviet, Francesco Cerchiaro avec la belle epoque, che sfoggiava un primo logo molto “punk” (un mixerino a 4 tracce, con a fianco un paio di cuffie rotte e un posacenere, che ironicamente si contrapponeva agli avatar di studi di registrazioni tratti da MySpace, dove spesso venivano fotografati banchi mixer che si estendevano a perdita d’occhio). L’aneddoto legato a questo primo logo è che il grafico dell’epoca scrisse “SUDIO” anziché “STUDIO”, quindi la prima tiratura del disco ha questa, chiamiamola, chicca esclusiva per feticisti.

Quali sono i servizi che offrite ai musicisti? Di che equip usufruisce lo studio (in grandi linee)?

Matteo:
Il Soviet studio, offre vari servizi, i primis registrazione e missaggio, e, successivamente, l’eventuale distribuzione discografica, con annesso lavoro di ufficio stampa interno. Prendendo ad esempio quanto fatto per gli Heaven Or Las Vegas, il lavoro è cominciato già in fase di preproduzione, che ritengo senz’altro il passaggio più importante per avere un disco di qualità e di cui andare fieri: arrivare ad avere brani con arrangiamenti che li possano valorizzare, suonati con la confidenza necessaria (che in epoca di editing digitale smodato è un aspetto purtroppo a cui si dà sempre meno peso); in seconda battuta viene chiaramente l’aspetto del lavoro in studio vero e proprio, con registrazioni e missaggi, mentre, per quanto riguarda la finalizzazione del master, mi avvalgo quasi esclusivamente di professionisti esterni: la masterizzazione infatti è materia paragonabile alla magia (bianca o nera che sia), meglio non entrare troppo nello specifico e lasciar lavorare chi la mastica da molti anni.
Come equipaggiamento siamo, come tutti, in continua evoluzione, disponiamo però di un discreto parco microfoni, dal classico condensatore AKG 414, una coppia di SHURE KSM32, un must have secondo il produttore losangelino Ronan Chris Murphy, un ELECTROVOICE PL20, diversi SENNHEISER, dal 441 (che arriva da uno studio RAI), a una coppia di 421, oltre ai sempre utili SM57, perfetti per tutte le stagioni. Il sogno, che rimarrà nel cassetto, è il TELEFUNKEN U47, che si trova alla modica cifra di 11.000 euro o giù di lì. Per quanto riguarda gli outboard, lavoriamo con dei preamplificatori FOCUSRITE ISA, MACKIE e, a breve, UNIVERSAL AUDIO, che usiamo anche come convertitori.

Oltre a tanta passione, quali sono le competenze che servono per mettere su uno studio di registrazione? Di quali qualifiche specifiche parliamo per poter intraprendere questa strada?

Matteo: Di sicuro ingegneri del suono non ci si improvvisa, quindi l’aspetto teorico è assolutamente indispensabile per lavorare ad alti livelli. Oltre a scuole dedicate, esistono corsi on line che forniscono conoscenze interessanti e trucchi per migliorare i propri lavori. Allo stesso tempo, la componente pratica è forse ancora più importante, è sul campo che si capiscono molti degli aspetti legati alla “filosofia” della registrazione, perché di questo si può tranquillamente parlare. Esistono talmente tanti fattori che influiscono su una registrazione, tali da giustificare che lo stesso fonico possa essere definito in parte artista, e il percorso che segue per portare a termine un album è spesso molto differente da produzione a produzione, pur mantenendo alcuni “cardini”, che ne definiscono anche stile e personalità.

Lavorate a produzioni che vengono proposte dai singoli artisti/band o sei/siete legati a una/più label? In questo caso, come avviene il processo di selezione dei progetti sui quali lavorare? Quanta voce in capitolo ha lo studio di registrazione innanzi all’etichetta?

Matteo: Chiaramente lavoro per un 90% a produzioni dell’etichetta DISCHI SOVIET STUDIO, anche per un preciso interesse personale, e per dare la possibilità alla band/solista di risparmiare parte del budget da reinvestire poi nella promozione. Diciamo che ho la possibilità di scegliere chi registrare, rendendo sempre (o quasi) il lavoro piacevole e stimolante. Ed essendo lo studio di registrazione ANCHE un’etichetta, diciamo che ha anche voce in capitolo, partendo però dal presupposto che la parola finale, dal punto di vista artistico, spetta sempre al musicista stesso, semplicemente perché siamo una realtà indipendente e ritengo che questo sia il nostro maggiore potenziale, cercare disperatamente di omologarsi al lavoro di realtà che puntano a monetizzare (legittimamente sia chiaro), ci porterebbe credo a produrre una sbiadita copia di quanto altri sanno fare molto meglio.

Qual è stata l’esperienza più negativa e, viceversa, più positiva che hai riscontrato durante questo lavoro nel corso degli anni? Ci racconti qualche episodio?

Matteo: Diciamo esperienze realmente spiacevoli fortunatamente non ce ne sono state. Di certo esistono artisti che riconoscono e apprezzano il lavoro che svolgi, il tempo che dedichi loro (che sono la maggioranza, che riconciliano con il piacere di fare musica, e che amo profondamente), mentre altri ritengono di essere una spanna sopra tutti (o anche tre o quattro), e qui diventa più difficile…per gli episodi spiacevoli…meglio evitare (magari ve li racconterò a voce accompagnati da un buon bicchiere di vino): nell’ambito musica (come in molti altri), si vive di equilibri precari e i sassolini dalle scarpe è meglio toglierseli privatamente o quasi!

Come si è evoluto questo lavoro nell’ultimo decennio? Quanto hanno influito le nuove tecnologie?

Matteo: Credo che questo sia uno dei lavori che maggiormente si è evoluto nell’ultimo decennio, e continua a farlo, grazie alla tecnologia della registrazione digitale che progredisce, e non esagero, giorno dopo giorno, Al momento attuale abbiamo la possibilità di emulare, con una buona fedeltà, tramite plugin, moltissimi tra le migliori strumentazioni analogiche dagli anni 60 ad oggi. E, soprattutto, subito a portata di click, ad un prezzo sbalorditivo (considerato anche il valore del relativo analogico, peraltro in ogni caso preferibile, ma per le tasche di pochi), rendendo sempre più abbordabile fare produzioni di alto livello anche in casa, in particolare se parliamo di musica elettronica o “intime canzoni da cameretta”. Il rovescio della medaglia è il concreto rischio di poter soffrire di GAS (Gas Acquisition Syndrome, provate a googolare), che colpisce in particolare il portafoglio.

Come si gestisce la vostra produzione nei confronti dei sistemi di riproduzione moderni? E cioè: nel master prediligete un suono che risulti potente anche da sistemi limitati (come le iper diffuse casse bluetooth) oppure si dà ancora valore all'impianto hi-fi ad altafedeltà?

Matteo: Questo è un tasto decisamente dolente per la musica attuale: il fatto che l’impianto hi fi sia ora esclusivamente appannaggio degli appassionati, mentre il pubblico generalista e, cosa terribile, i giovani, siano ormai abituati esclusivamente ad ascoltare, quando va bene, tramite cuffie se non addirittura dai diffusori degli smartphone. Per quanto riguarda però la produzione, il problema si pone fino ad un certo punto, con un buon master (e un buon mix), un brano potrà suonare bene in qualsiasi supporto (tenuto conto dei limiti del supporto stesso), a maggior ragione quindi su un impianto hi fi (possibilmente seduti su una poltrona comoda).

Parliamo di Covid-19 e di conseguenze su questo lavoro. Lo studio ha tenuto botta alla situazione?

Matteo: Chiaramente molto si è fermato, soprattutto nei periodi di zona rossa, ma, volendo trovare il lato positivo, questo periodo mi è servito per terminare le registrazioni del nuovo disco dei BOB BALERA, per i brani del quale ho sviluppato una ossessione che spero di poter alleviare con farmaci adeguati.

Ti è capitato di co-produrre qualche progetto musicale? Se sì, ce ne consigli qualcuno?

Matteo: Fortunatamente diversi!
Come consigliarne solo alcuni…sono tutti un po’ figli miei, e come tali “so’ piez’ ‘e core”.
Citerò quindi per par condicio le ultime due uscite a cui ho lavorato (oltre agli Heaven Or Las Vegas, precedentemente citati), ovvero FRANCESCO CERCHIARO con il singolo MARE, e i LACOSA con JE SUS. Ah, senza dimenticare il primo album dei BOB BALERA!

 
 

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